Parlare di The Last of Us Parte II sembra essere un'impresa titanica. Al di là di tutte le caratteristiche tecniche del gioco che in questa sede non ci riguardano, a livello narrativo, tematico e contenutistico si ha la sensazione, alla sua conclusione, di avere a che fare con un'opera d'arte densissima, talmente estesa nella sua durata (parliamo di un gioco che viaggia tra le 25 e le 35 ore) che si potrebbero scrivere libri interi a riguardo. Coerentemente con la struttura di questo sequel che tende ad abbracciare più punti di vista nel corso della sua narrazione, credo che il modo migliore per parlarne e analizzarlo sia attraverso un dialogo a più voci invece di un monologo. Mi sono accorto che spesso e volentieri, facendo l'esempio di opere cinematografiche, poter discutere in gruppo a fine visione è sicuramente molto più stimolante che chiudersi nella propria analisi personale senza poterla esprimere.
A volte è stato proprio il dialogo a farmi apprezzare di più o di meno, a seconda dei casi, un'opera che in un primo momento mi aveva lasciato perplesso e spesso sono le opere più profonde e complesse quelle che necessitano di uno scambio di opinioni. Per questo motivo inauguriamo quello che speriamo possa diventare un nuovo format qui su Movieplayer.it, un dialogo a più voci insieme al direttore editoriale Luca Liguori e al collega Giuseppe Grossi, entrambi grandi fan del videogioco, per confrontarci su The Last of Us Parte II, su quello che ci ha lasciato una volta concluso, sugli aspetti tematici più importanti e interessanti presenti al suo interno, sul significato del finale e su quello che potrebbe essere il futuro non solo della saga (ci sarà e avrà senso una Parte III?), ma anche del mondo videoludico dopo l'uscita dell'ultima fatica di Naughty Dog. Senza dimenticare, inoltre, le nostre aspettative sulla serie televisiva targata HBO attualmente in produzione. Attenzione, però, se non avete ancora terminato la vostra avventura: questa conversazione è piena di spoiler!
Un'esperienza senza precedenti
Matteo Maino: Sarò sincero: quando sono arrivato alla fine di The Last of Us Parte II e ho appoggiato il joypad sul tavolo, di primo impatto non ho potuto fare a meno di fare una battuta provocatoria dicendo che è la mia Palma d'Oro del (mancato) Festival di Cannes 2020. È volutamente un'esagerazione, ma ne sentivo proprio la caratura. Arrivato alla fine dei titoli di coda mi sentivo scosso, provato, in un certo senso anche svuotato, faticavo a mettere ordine ai pensieri e soprattutto a descrivere a parole come mi sentivo. È quello che succede nel nostro caso quando vediamo un film che sembra sommergerci e risulta indimenticabile (mi vengono in mente The Tree of Life o 2001: Odissea nello spazio, giusto per dirne due), ma che in generale accade ogni volta che ci troviamo di fronte a un'opera d'arte (può essere un dipinto, un libro o una canzone) che a primo impatto ci sembra il prodotto di un genio ben superiore alla media.
The Last of Us 2, la recensione: un sequel doloroso e rivoluzionario che non smette mai di stupire
Luca Liguori: Hai ragione. Sia per lavoro che per passione siamo abituati a vedere grandi opere, ma quelle che ti lasciano dentro così tanto sono comunque rare. E uno dei piaceri più grandi è proprio quel senso di condivisione con amici e colleghi, vedere nei loro occhi lo stesso entusiasmo e stupore che c'è nei propri. La situazione straordinaria e inaspettata degli ultimi mesi ci ha privato anche di questo piacere e quindi ben venga questa sorta di tavola rotonda virtuale.
Matteo Maino: Ho concluso la mia avventura con The Last of Us Parte II qualche giorno fa e, anche se adesso, a freddo, riesco a razionalizzare i miei pensieri, mi è rimasta la sensazione di aver provato un'esperienza rara e incredibile. Non sono un grande videogiocatore, quindi il mio potrebbe essere l'entusiasmo del neofita. O forse no?
Luca Liguori: Io (video)gioco da 40 anni e ti dico che quella stessa sensazione che racconti non mi ha abbandonato fin da quando ho finito The Last of Us 2, ormai quasi tre settimane fa. Anzi, proprio l'averlo giocato in anteprima, essere costretto al silenzio per l'embargo o per paura di spoiler mi ha fatto soffrire quanto e più del gioco stesso (e nessuno può saperlo meglio di voi due, avendovi tormentato entrambi con questa mia necessità di discuterne).
Giuseppe Grossi: Hai la sensazione di aver vissuto qualcosa di importante. Quasi epocale. Di esserti trovato davanti a un cambio di passo dell'arte videoludica (e non solo, parlerei di "intrattenimento" a tutto tondo) con una prova di maturità davvero incredibile. E lo dico pensando a quanto The Last of Us alzi l'asticella sotto tanti punti di vista. Secondo me è un gioco pieno di coraggio, che sfida il giocatore e lo fa sentire molto ma molto scomodo.
Luca Liguori: Sentirsi scomodi è forse parte integrante dell'esperienza che è The Last of Us 2. E sottolineo esperienza perché per me chiamarlo videogioco o film sarebbe qualcosa di riduttivo. E lo dico, sia chiaro, non per sminuire il mezzo ma per quello che mi ha lasciato. Lo dico allo stesso modo in cui dichiaro da sempre che per me, giusto per fare un esempio, la trilogia Before di Linklater è molto più che un insieme di film, ma un'esperienza di vita vissuta a braccetto con i due personaggi.
Giuseppe Grossi: Lo sapete che durante tutto quel devastante duello finale, io il joypad volevo lasciarlo andare? Sono arrivato totalmente spossato alla fine. Ero esausto. Quasi nauseato da tutto quel bagno di sangue. E non è un caso che tutti stiamo parlando di "esperienza" perché The Last of Us 2 te lo senti addosso per giorni e te lo porti addosso anche una volta finito. Tutti motivi che mi impediscono di definirlo semplicemente "bello". Per me questo gioco ha lo stesso sapore di film come Million Dollar Baby: qualcosa di meraviglioso, ma che non ho il coraggio di rivedere. Ecco, per quanto possa essere rigiocabile, non credo che rimetterò presto mani su The Last of Us 2. Ce le ho ancora troppo sporche di sangue e di carne.
Matteo Maino: E' interessante il discorso che fai sull'intrattenimento. Durante alcune sessioni di gioco ero talmente preso dalla storia e dall'empatia verso i personaggi che mi dimenticavo di star giocando. Non parlo in riferimento ai filmati d'intermezzo o a tutti quei momenti in cui il joypad lo lasci a riposare. Parlo proprio delle lunghe e a tratti estenuanti ore passate a nascondersi, camminare silenziosamente, procedere con cautela facendo attenzione di non essere visto, uccidere furtivamente. A un certo punto diventa un processo così sfiancante, che mette a dura prova i nervi a tal punto che ti sembra davvero di essere lì. E trovo sia curioso notare come nell'impersonare quel personaggio così colmo d'odio, così brutale, così violento e testardo, mi rendevo conto che, mentre ripetevo quelle azioni, non mi stavo "divertendo". Non è come impersonare un soldato in uno sparatutto in prima persona dove, anche se stai combattendo, c'è un aspetto ludico che filtra tutte le azioni violente che stai compiendo. Qui a un certo punto giochi attraverso emozioni negative e dolorose, non c'è alcun tipo di piacere ad uccidere le guardie ma solo senso di sopravvivenza. Ci sono stati alcuni momenti in cui mi sono sentito veramente a disagio: in un'occasione, una guardia si è protetta il viso urlandomi "No!" poco prima che le fracassassi la testa con un martello. In quel momento ci sono rimasto molto male, proprio da un punto di vista umano. È come se il gioco volesse punirmi implicitamente per le azioni che stavo compiendo e che non potevo fare a meno di compiere.
Giuseppe Grossi: La storia del soldato mi ha messo i brividi solo leggendola. Immagino cosa sia stato vivere quella situazione nel gioco...
Matteo Maino: E questo è uno strano modo di concepire l'intrattenimento e il divertimento. Diventa quasi difficile usare il verbo "giocare" perché il feedback che The Last of Us Parte II ti lascia, molto di più rispetto al primo capitolo dove invece eri più passivo, non è quello del gioco.
Un sequel superiore all'originale
Luca Liguori: Questa parte II ha completamente cambiato la mia percezione del primo The Last of Us. Sapete benissimo quanto abbia amato il primo gioco e come l'abbia più volte provocatoriamente definito uno dei "film del decennio". Eppure questo secondo capitolo è talmente tanto più ricco, stratificato e soprattutto ambizioso da fare impallidire il precedente. E non è solo una questione di storia ma proprio di sensazioni che ti lascia.
Giuseppe Grossi: Pensa a quanto sono incredibilmente importanti tutte le lettere, gli appunti e i diari che si trovano rovistando in giro. Anche in questo, secondo me, hanno persino superato il primo gioco, che già era molto raffinato sulla lore raccontata attraverso questi stralci di vita altrui. Mi sono trovato più volte a leggere e rileggere questi testi, a voltare e rivoltare ogni maledetto foglietto, trovandoci dentro davvero di tutto: la disperazione, la speranza, la frustrazione.
Luca Liguori: Il finale del primo era un capolavoro proprio perché faceva venir fuori l'essenza del personaggio di Joel e quindi del gioco stesso. In pochi minuti prendeva tutti gli stereotipi del genere post-apocalittico (che erano comunque presenti nelle ore precedenti nonostante la scrittura sopraffina) e li metteva da parte per arrivare ad una naturalezza, una sincerità e un'umanità sconvolgenti. Questa seconda parte fa lo stesso in modo più esteso e profondo ma soprattutto attraverso cambi di prospettiva che rendono l'esperienza qualcosa di unico. Qualcosa che è più dell'insieme di videogioco e film, forse perché per la prima volta a questi livelli storia e gameplay convergono verso un unico scopo. E ricollegandomi alle lettere che citi tu Giuseppe, alcune davvero bellissime ed emozionanti, ritrovarsi faccia a faccia con alcuni degli autori (vedi Isaac) assume tutt'altro valore.
Giuseppe Grossi: The Last of Us 2 ti rievoca ogni volta dei fantasmi. Immagini i posti morti in cui vaghi abitati da persone, attraversati da una vita che non c'è più. Ho perso un sacco di tempo a gironzolare per provare a capire che tipo di persona abitasse quelle case devastate. E ogni volta potevo trovare degli indizi: passioni, hobby, letture, dischi, PlayStation 3 che prendono polvere. Incredibile come tutto in The Last of Us sia racconto.
Luca Liguori: A proposito di fantasmi, io ho vissuto tutta la seconda parte del gioco (per me molto più bella della prima) proprio come una storia di fantasmi. Con Abby vaghi per una parte di città che è molto più viva e vissuta però comunque segnata da una faida senza senso e da un senso della morte quasi ineluttabile. A questo si aggiunge l'incontro con personaggi che abbiamo appena ucciso poche ore prima impersonando Ellie, ed è proprio qui che la narrazione comincia ad elevarsi in un modo che mai mi sarei aspettato. Perché tutta quella violenza senza senso di prima, ora acquista un significato molto diverso.
Matteo Maino: Credo che The Last of Us Parte II sia proprio, nella sua interezza, una storia di fantasmi. Fantasmi che non solo appartengono a un mondo desolato e che si trovano nelle lettere e nei biglietti come ci stiamo raccontando, ma anche fantasmi che perseguitano i protagonisti e in alcuni casi li salvano pure. Ellie è perseguitata dal fantasma di Joel e prima ancora è perseguitata dal fantasma di Riley, la sua migliore amica di cui forse era innamorata e che è morta lasciandola sola (la storia raccontata nel DLC del primo The Last of Us). Abby, invece, dal fantasma di suo padre ucciso proprio da Joel (era il chirurgo che stava per operare Ellie alla fine del primo episodio). Due figure paterne che vengono a mancare e che causano una catena di vendetta e odio senza fine. Nel caso di Ellie, però, è proprio il fantasma di Joel a fermarla durante lo scontro finale in quel momento epifanico incredibile. Non è casuale, secondo me, che alla fine Ellie si ritrovi senza casa, senza famiglia, senza persone amate e di nuovo da sola. E' una ripartenza che le permette di tornare a vivere da zero e ci riesce esorcizzando i suoi fantasmi interiori (allo stesso modo, Ellie è viva perché Joel ha esorcizzato, nel primo episodio, il fantasma di sua figlia Sarah). La stessa cosa accade con Abby che è proprio nella sua dimensione materna (e infatti quando iniziamo la sua sessione a Seattle è tutta basata sul prendersi cura degli altri) che trova invece l'elaborazione del lutto staccandosi dalla sua vecchia vita e vivendo con Lev nell'isola di Catalina. Certo, è un processo doloroso e non facile. Così come credo sia stato difficile per tutti noi affrontare certi momenti topici del gioco.
Luca Liguori: È una storia molto dolorosa e paradossalmente è proprio la parte di "gioco" a renderla ancora più tale. Perché a differenza della vita reale, nel gioco puoi provare strade diverse, puoi imparare dai tuoi errori e ripartire. Ma qui non c'è nulla di tutto questo così come non c'era alla fine del primo capitolo. Lì la storia si concludeva proprio nel momento più difficile, quello più moralmente ambiguo, e stava solo a te eventualmente ragionare sulle conseguenze, capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato. The Last of Us Parte II ti costringe ad affrontare proprio le conseguenze delle tue azioni, più volte, e ti fa capire come tutto e nulla al tempo stesso possano essere giusto o sbagliato, buono o cattivo, bello e brutto. Ti costringe ad odiare il personaggio che ami e ad amare quello che pensavi di odiare. Da questo punto di vista, nonostante la violenza inaudita, è quasi un gioco "educativo".
Giuseppe Grossi: Sì, questo gioco è un'occasione, anzi un invito a comprendere quanto le persone, in certe situazioni, non vadano giudicate, ma capite. È un esercizio di empatia straordinario e faticosissimo, perché mettersi nei panni degli altri richiede sempre uno strappo bello forte, che può fare male. E questo gioco fa male. Non solo alle ossa ma alla coscienza. Come diceva giustamente Matteo, ti infesta la mente con i suoi fantasmi. Con il rimorso, il senso di colpa, la vendetta che inquina quel poco di buono che ancora resiste a tutto quell'orrore. Per questo dico che Naughty Dog ha avuto coraggio, perché si affida totalmente alla sensibilità del giocatore. Lo ferisce volutamente per scuoterlo, lo fa sentire in colpa con i suoi continui cambi di prospettiva e lo mette alla prova moralmente. Mi è capitato più volte di interrogarmi immaginando cosa avrei fatto io in quella determinata situazione. Il tocco di classe davvero sadico del gioco, a proposito di "cambio del punto di vista", arriva quando giochi con i cani. Gli stessi cani che avevi odiato, maledetto e magari ammazzato brutalmente qualche minuto prima.
Luca Liguori: E proprio i cani sono un esempio perfetto: in qualsiasi altro gioco non sarebbero altro che un nuovo tipo di nemico. Nella seconda parte, così come per tante altre cose, ti accorgi di come quello che sembrava una mera aggiunta di gameplay in realtà è parte integrante del racconto e dell'esperienza.
Giuseppe Grossi: Ogni cosa in questo gioco ha una storia. I locali, le case, le città, le persone, gli animali (vogliamo parlare della chicca dello scheletro del brontosauro che richiama la giraffa?), gli oggetti. Tutto ha un vissuto che ti attraversa completamente. Ecco, The Last of Us è un gioco che ti fa innamorare delle storie. E vuole fartele conoscere il più possibile per renderti consapevole di quello che sei e di quello che fai.
Perché The Last of Us è più di un videogioco, ma una storia che ci ha contagiato il cuore
Giocare con il giocatore
Luca Liguori: Ecco, vedi, non è solo una questione di scrittura sopraffina o di game design intelligente, ma di unire entrambe le cose, in modo oserei dire quasi "subdolo". Anche perché Naughty Dog all'inizio sembra quasi dare a intendere che il gioco sia davvero un more of the same del precedente (addirittura in un flashback c'è una sequenza "spaziale" che richiama quella dei videogiochi arcade di Left Behind). Solo dopo capiamo che diventa molto, ma molto di più, forse perfino più ambizioso di quanto fosse lecito sperare. E a questo proposito, chiedo io a voi, avete avuto l'impressione che le aspettative e quindi in qualche modo anche i propri pregiudizi, anche in senso lato, siano parte integrante sia del gioco che della storia? Gli autori giocano molto con tutto questo e si prendono quasi gioco di tutti noi a momenti.
Matteo Maino: Ci hanno preso in giro fin dall'uscita dei trailer tanto che il primo colpo di scena, cioè la morte di Joel a tre ore circa dall'inizio del gioco, è stato un momento veramente destabilizzante. Su quello che succede dopo, invece, mi sento di muovere una critica. Tutta la sezione in cui giochiamo con Ellie nei tre giorni a Seattle è davvero una ripetizione su larga scala del primo capitolo ed è lunghissima. Addirittura io ho notato un dislivello tra le prime tre ore, molto varie e a loro modo anche spettacolari (la prima cavalcata, mentre scorrono i titoli di testa, mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta) e questa lunga sezione dove il gioco sembra adagiarsi senza regalare grossi sussulti tanto che a un certo punto ho rischiato pure di annoiarmi. Non credo fosse un problema di aspettative anche se ritengo che proprio questa lentezza estenuante della prima metà arrivi a valorizzare molto di più la seconda parte con Abby. Credo che sia voluto, proprio a livello di scrittura e di idea, rallentare molto con Ellie che è un personaggio che già amiamo e abbiamo imparato a conoscere e lasciare "il meglio" alla novità: crea un legame emotivo più forte con il personaggio nuovo che a quel punto della storia detestiamo per aver ucciso il nostro eroe.
Luca Liguori: Tutto il gioco si basa sulla scommessa molto azzardata di farti empatizzare e amare con chi ha appena ucciso il protagonista del primo gioco e che rappresenta, per le prime 15/20 ore di gioco, il nemico principale, il boss finale, la causa di tutto l'odio. Per fare in modo che tutto questo accada - e già raccontato così sa di miracoloso - devi necessariamente trovare il giusto equilibrio e posso solo immaginare quanto sia stato difficile in fase di scrittura. Leggevo che tantissime scene e parti intere della storia sono state cambiate e tagliate in questi anni di lavorazione e non faccio assolutamente fatica a crederlo, perché è evidente che anche solo una frase di troppo o in meno avrebbe potuto cambiare completamente il nostro rapporto sia verso Ellie che verso Abby.
Giuseppe Grossi: Sul discorso del sadismo, mi viene in mente tutto l'ultimo atto, quello in cui Ellie si fionda a Santa Barbara per trovare e uccidere Abby. In quel momento è molto probabile che il giocatore si senta trascinato controvoglia e non perché sia stanco del gioco, ma perché a quel punto è davvero difficile sentirsi Ellie, comprendere Ellie, essere Ellie e accompagnarla verso quel suo schiaffo in faccia alla pacifica normalità che era riuscita a ritagliarsi con Dina e JJ.
Matteo Maino: Il gioco sembrava finito e invece si trascina. Eppure in questo trascinarsi si nasconde il vero cuore di questa Parte II.
Giuseppe Grossi: Ammetto molto sinceramente che quel momento, quando Ellie cade ancora una volta nella trappola della vendetta (una vendetta che non è solo vendicare Joel, ma liberarsi di tutto quello che il ricordo di Joel si porta dietro, come il senso di colpa e la rabbia, l'ho maledetta. E tra me ho pensato: "No, ti prego. Di nuovo. Ancora. Altro sangue, altra rabbia". In quell'istante qualcosa si incrina e si spezza. E quella crepa nella complicità tra Ellie e il giocatore è fondamentale per il duello finale (estenuante come poche altre cose). Perché prima di tutto temi davvero che una (o entrambe) possano morire. E poi fai davvero fatica a premere quei pulsanti per ammazzare Abby.
Luca Liguori: Io nelle ultime ore di gioco ero assolutamente strabiliato proprio da come la mia fedeltà verso entrambi i personaggi fosse assolutamente identica e di come, proprio per questo motivo, alcune scelte fossero tanto strazianti quanto impossibili. Ecco, diciamo che se alla fine ci avessero dato la scelta tra quali delle due protagoniste far sopravvivere, il gioco si sarebbe trasformato in una sorta di remake de La scelta di Sophie. Per fortuna scegliere non è mai un'opzione in TLOU2: aspetto coraggioso, anche sadico se vogliamo, ma per me assolutamente vincente e sensato.
Giuseppe Grossi: In questa fastidiosa dissonanza tra quello che stai facendo e quello che invece vuoi fare c'è tutta la grandezza di The Last of Us 2. Perché, nonostante sia una saga incensata per la sua narrazione e per trascendere il videogioco grazie al suo stile cinematografico, in quel preciso momento Naughty Dog rivendica a gran voce la sua natura videoludica. Quella nausea la puoi provare così forte solo con un pad tra le mani.
Parte II e Parte 3
Matteo Maino: Che è poi il motivo per cui questa "Parte II" surclassa la prima di sette anni fa, a mio parere, ma ne è anche un compendio. Mi piace molto la scelta di usare la terminologia della "seconda parte" e non il semplice numero 2. Dietro c'è tutto il significato del gioco: non una nuova avventura, ma un completamento di quanto già narrato.
Giuseppe Grossi: Il titolo è di una raffinatezza rara nella sua semplicità. Il classico "altro lato della medaglia" che ti fa andare letteralmente dall'altra "parte". Questo gioco è a tutti gli effetti un altro pezzo di un puzzle che alla fine del primo gioco viene riversato sul tavolo. Qui ogni tassello va al suo posto e dopo averlo giocato la scelta del titolo l'apprezzi ancora di più. E provi quel senso di completezza, nonostante tu ti senta svuotato come Ellie (e come casa sua), che non mi fa sperare in un terzo capitolo. Per me è stato già detto tutto. Basta così. Per quanto capisco che Abby e Lev adesso siano perfetti per un passaggio di testimone, ma anche no. Grazie.
Matteo Maino: Credo anch'io che una Parte III sia improbabile. Certo, mai dire mai, ma la sensazione è che la storia di Ellie (che è la vera protagonista della saga) sia davvero terminata, il suo viaggio dell'eroe ha compiuto il ciclo. E pure il finale, molto meno aperto rispetto al primo capitolo, ha il sapore di una vera e propria conclusione.
Luca Liguori: Anche io fatico a immaginare una terza parte. O meglio, una parte di me vorrebbe tantissimo tornare a quelle atmosfere, a quel mondo, e ovviamente a quei personaggi. Soprattutto Abby che per me è stata una vera e propria rivelazione e che reputo un personaggio bellissimo con ancora moltissime cose da dire. Ellie invece ha in qualche modo concluso il suo viaggio, ha finalmente trovato il posto nel suo mondo: per quanto la adori, non penso serva aggiungere altro. A questo proposito però vogliamo parlare di quello che è forse il maggiore tocco di classe del gioco? La canzone Future Days dei Pearl Jam che canta Joel all'inizio (If I ever were to lose you/I'd surely lose myself) e che sembra inizialmente raccontare solo i suoi sentimenti verso Ellie e quanto successo nel gioco precedente, ma in realtà è un enorme foreshadowing di quello che accadrà ad Ellie. Lei con quell'epifania finale ritrova Joel, ritrova il perdono e ritrova se stessa.
Matteo Maino: Senza dimenticare Take on me cantata all'amata ,Simple Man accennata da Joel: tutte le canzoni contribuiscono a raccontare i personaggi e ciò che provano.
Giuseppe Grossi: A proposito di Future Days e di quell'epifania finale con Joel che suona sereno, confesso senza vergogna due cose. La prima: non mi sono mai commosso durante il gioco, ma mi sono commosso più volte ascoltando (e riascoltando, e riascoltando) più volte la canzone. La seconda: quel flash mi è rimasto stampato in fronte tutto il tempo, assieme a quell'espressione affranta finale di Joel quando Ellie lo saluta. Quel suo accusare il colpo mi ha davvero trafitto. In generale, a livello di scrittura, mi è piaciuto tantissimo come hanno "usato" Joel in questa seconda parte. La sua presenza/assenza nel gioco è uno degli aspetti più belli e coraggiosi.
Luca Liguori: Parliamo sempre di scrittura sopraffina, ed è vero. Ma in molti casi, tipo questa eccezionale epifania che tu citi, è proprio questione di grande regia. Così come per entrambe le inquadrature "finali", quella di Ellie seduta in mezzo al mare e la barca di Abby che va via o quella sulla chitarra appoggiata alla finestra come abbiamo analizzato nel nostro approfondimento sul finale di The Last of Us 2. Menzione d'onore poi sul bellissimo flashback al museo con la già citata sequenza "spaziale": un gioiello.
Cosa ci aspettiamo dalla serie tv
Matteo Maino: Spero che questa regia così raffinata riesca a farsi spazio anche nella serie tv HBO in produzione.
Giuseppe Grossi: Su questo non ho dubbi. Sia perché Druckmann sarà coinvolto attivamente, sia perché non ci sono mani migliori di quelle HBO per sperare in una grande serie tv. Tra l'altro attraverso i tempi seriali potranno approfondire ancora di più il discorso del cambio di prospettiva, facendoci sbirciare dentro varie comunità, senza fossilizzarci solo su Joel ed Ellie.
Luca Liguori: Sinceramente anche io non ho dubbi in merito considerati i nomi in ballo e anche il coinvolgimento di Naughty Dog.
Giuseppe Grossi: Voi che aspettative avete sulle serie? Una parte di me vorrebbe qualcosa di altrettanto "insolito" come questa seconda parte ovvero una serie antologica. Ogni stagione (non me la immagino lunga, massimo tre stagioni) dedicata a protagonisti diversi. E perché no, magari Ellie e Joel arrivano solo alla fine della prima. Il modello che ho in mente, insomma, è True Detective (ma con una continuity per forza di cose meno slegata tra stagioni).
Luca Liguori: Mi piace l'idea di una serie antologica anche se la vedo poco probabile, ma diciamo che con la serie potrebbero effettivamente spaziare di più, raccontarci anche più storie e più personaggi rispetto a quanti visto finora e l'idea non mi dispiace affatto. Non vi nascondo che sarei anche curiosissimo di vedere Neil Druckmann alle prese con il cinema e le serie TV, magari addirittura come regista.
Matteo Maino: L'idea della serie antologica è interessante ma non la trovo vincente. Sono molto più tradizionale in merito e secondo me The Last of Us deve essere proprio la storia di Ellie e Joel. Ad ogni modo anch'io mi immagino una serie relativamente breve di circa tre stagioni. Resta da capire se tolto l'aspetto ludico la storia possa funzionare anche attraverso la passività dello spettatore. Senza joypad sarà un'esperienza altrettanto forte? Se dovessi considerare solo il primo capitolo direi di sì. Se l'adattamento televisivo prenderà in considerazione anche la parte II la faccenda diventa più interessante e complicata.
Luca Liguori: Il primo gioco è già perfetto così com'è per la serie, ancor di più se aggiungi Left Behind e gli dedichi tutto un episodio. La parte II è molto più complessa da adattare ma secondo me non impossibile, anche mantenendo la stessa struttura narrativa. Ci vuole però un piglio autoriale e soprattutto un'interprete perfetta per Abby perché se mantieni il repentino cambio di prospettiva devi assolutamente conquistare gli spettatori in pochi episodi o rischi di mandare a puttane la serie. Ma d'altronde è lo stesso enorme rischio che si sono presi quelli di Naughty Dog.
Giuseppe Grossi: Secondo me l'idea della serie televisiva è arrivata assieme alla complessità e agli orizzonti allargati della Parte II, per cui ne terranno conto, secondo me. Per questo mi aspetto qualcosa di molto articolato e corale. Pur sperando che Joel ed Ellie rimangano il cuore pulsante della storia, non ne sarei così certo. Non so perché, ma ho questa sensazione.
Matteo Maino: Ricordo che al momento non si sa assolutamente nulla sulla serie se non i nomi del team creativo che sono gli stessi dell'acclamata miniserie Chernobyl: lo sceneggiatore Craig Mazin e il regista Johan Renck. Devo ammettere che se mantengono quella scrittura e quel ritmo blando e rarefatto può uscirne un prodotto veramente speciale perché è proprio in questa delicatezza, anche di ritmi narrativi, che The Last of Us trova la sua forza. Come dicevamo all'inizio (e prendendo in esame un aspetto che molto probabilmente nella serie non ci sarà) sono i biglietti e i messaggi che leggiamo nelle case abbandonate che rendono unica quella che a prima vista è una tipica storia di sopravvivenza in un mondo di zombie. L'ambiente costruisce i personaggi, i personaggi costruiscono la storia.
Luca Liguori: Esatto, proprio nella costruzione del mondo e dell'universo narrativo penso che dovranno lavorare e cambiare diverse cose. Ma per quanto riguarda la storia di Ellie e Joel (e Abby), meno la tocchi e meno rischi di sbagliare.
Il momento che non dimenticheremo mai
Matteo Maino: Ci sono molte cose che, a distanza di tempo, mi sono rimaste impresse di The Last of Us Parte II: le morti improvvise di alcuni personaggi, la cavalcata al tramonto, il bacio tra Ellie e Dina con la musica dei Crooked Still. Ne avrei moltissimi di momenti indimenticabili tanto che faccio abbastanza fatica a sceglierne uno che possa riassumere tutta la mia esperienza di gioco. Però vorrei concludere questa nostra chiacchierata sfidandovi a trovare il vostro momento indimenticabile, quello che racchiude per voi tutte le trenta ore di gioco e che vi tornerà in mente ogni qual volta ripenserete a questo titolo. Lo so, non è facile...
Luca Liguori: Come dici tu ce ne sono tanti, ma io non ho dubbi, perché c'è un'immagine che mi è rimasta in testa in queste settimane e non riesco a scrollarmela di dosso. Si tratta del cinema-teatro a Seattle in cui si rifugiano Ellie e Dina e in cui si svolge il primo drammatico scontro con Abby. La cosa che più mi è rimasta impressa è stato il momento in cui mi trovavo fuori da quel cinema, nei panni di Abby, e non avevo il coraggio di entrare. Perché sapevo quali sarebbero state le conseguenze del mio proseguire, sapevo che presumibilmente avrei dovuto mettere contro le due protagoniste... C'era una parte di me che assolutamente voleva andare avanti e capire cosa sarebbe successo, ma al tempo stesso ero bloccato. Questo per me è stato The Last of Us 2, e mi ha colpito molto più di quanto avrei mai potuto immaginare.
Giuseppe Grossi: In generale penso che Abby rimarrà un personaggio indimenticabile. Nel bene e nel male (mi riferisco a chi, invece, l'ha profondamente odiata e ripudiata). I suoi occhi in particolare mi hanno colpito tantissimo. Sono grandi, espressivi, pieni di tante cose dentro. Ho amato il contrasto quasi paradossale tra il suo fisico possente e quelle espressioni spesso dolci, smarrite e spaventate. Però, dovendo scegliere un souvenir di The Last of Us 2 da portare a casa, mi prendo il primo piano di Ellie dentro lo shuttle. Quel sorriso limpido mi è sembrato quasi un ultimo addio alla spensieratezza. Così pura e innocente non la vedremo mai più. Lei e Joel in quel momento sono davvero su un altro pianeta. Da soli, protetti, complici, padre e figlia anche solo per la durata di un ritornello.
Matteo Maino: Io mi trovo in difficoltà perché mi sono accorto, ripensandoci, che l'universo narrativo di The Last of Us mi ha segnato e colpito in maniera inaspettata e potente: mi piace l'ambientazione, ma soprattutto mi piacciono i personaggi, mi piace il modo in cui parlano tra loro, la fatica che fanno a comunicare i loro sentimenti, la loro naturalezza, i loro difetti. Tutto il lato umano che a tratti sbuca fuori e fluisce come un ruscello mi emozionava: ogni volta che un personaggio si disperava o piangeva (penso all'epifania finale di Ellie, straziante) piangevo con lui, quando si ritrovava a chiudersi nei suoi pensieri era come se riuscissi a leggergli nella mente percependo chiaramente le sue riflessioni. E' stata un'esperienza veramente empatica e faticosa anche per questo. Ma dovendo scegliere un solo momento, tra i tanti, credo che voterei quella pausa romantica nel negozio di musica a Seattle, quando Ellie dedica "Take on me" in una dolcissima versione acustica a Dina. La regia indugia sul primo piano di Dina che continua a osservare Ellie che suona e lì non puoi fare a meno di sentirti parte del viaggio e della storia. Gli occhi di Dina diventano i tuoi occhi così le parole che Ellie sta cantando (quanto si sposa bene il testo degli A-Ha con quel momento) non sono solo una dedica, ma un invito. "Prendimi prima che sparisca", un brano pop che diventa un urlo disperato. Un momento indimenticabile. Uno dei tanti di questa incredibile storia.