La storia d'amore tra la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e Netflix è ormai lunga sei anni, e dopo un primo momento di tensione prosegue oggi meglio che mai. Era il 2018 quando il colosso dello streaming acquistò i diritti di distribuzione internazionale di Roma di Alfonso Caron, presentandolo in anteprima mondiale e in concorso proprio al Lido insieme a La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen e a 22 luglio di Paul Greengrass. Fu però Roma a vincere il Leone d'Oro come Miglior Film della rassegna, bissando poi a Toronto e a New York e permettendo a Netflix di ricevere i suoi primi e ambiti riconoscimenti cinematografici.
Il problema si presentò quando venne candidato come Miglior Film agli Oscar di quell'anno, attirando critiche da parte di registi come Steven Spielberg e aprendo un vero caso mediatico in America circa la sua eligibilità nella stagione dei premi a causa della limitata distribuzione nei cinema, accusato di essere "stato interamente pensato per la visione casalinga". Iniziava proprio sei anni fa la diatriba tra sala e streaming, con la seconda additata come causa principale della rovina dell'esperienza comunitaria cinematografica e dello scombussolamento del settore. Un dibattito che si trascina ancora oggi seppure in forma differente, con il Festival di Cannes guidato da Thierry Fremaux primo e strenuo oppositore delle produzioni streaming e con la Venezia di Alberto Barbera invece convinta e furba sostenitrice delle stesse, soprattutto di Netflix, tanto che quest'anno avrà in rassegna la bellezza di cinque lungometraggi della piattaforma di Hastings tra i più attesi e importanti della stagione.
La forma del cinema
Mentre Cannes tende a discriminare le grandi produzioni streaming, Venezia le accoglie, le abbraccia e le promuove apertamente, scegliendo di adattarsi a una forma di cinema ibrida, pensata per il grande e il piccolo schermo insieme e preferendo il giudizio di merito al pregiudizio e alla presa di posizione. Al netto della sua estesa natura discount, così ricolma di "titoli da cestone" necessari a rispondere alle esigenze del pubblico occasionale e racimolare abbonati e finanziamenti, sono ormai anni che Netflix è in prima fila alla stagione dei premi con grandi film diretti da grandi autori e interpretati da grandi attori. Oltre a Roma, possiamo pensare a Pieces of a Women di Kornel Mundruzco, Mank di David Fincher o a Storia di un matrimonio di Noah Baumbach. Titoli dal profondo e raffinato taglio autoriale e finto-indipendente che hanno conquistato meritatamente critica e pubblico, molti dei quali presentati in super anteprima proprio al Lido.
Un'usanza - per così dire - a cui Barbero e la stessa Netflix non vogliono (e non possono) in alcuno modo rinunciare, ed ecco allora che da un massimo di quattro film finora presentati all'evento, l'Edizione 80 del Festival di Venezia godrà della presenza di ben cinque lungometraggi d'autore targati Netflix. Mai come quest'anno, insomma, Venezia dimostra il suo imperituro amore per il colosso dello streaming, che nonostante il problematico sciopero del SAG-AFTRA ha garantito la partecipazione dei film alla Mostra anche in assenza di una promozione guidata da star del calibro di Michael Fassbender, Tilda Swinton, Bradley Cooper, Matt Boomer, Carey Mulligan, Benedict Cumberbatch e Sir. Ben Kinglsey (anche se gli interpreti inglesi potrebbero forse partecipare alla rassegna se iscritti al sindacato britannico e non americano).
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La cinquina da sogno
Dicevamo della qualità dei titoli presentati al Lido, e anche il 2023 non sarà da meno. La prima e più attesa carta del colore in mano a Netflix è sicuramente The Killer di David Fincher, con il ritorno di uno dei più grandi maestri del thriller psicologico contemporaneo al suo genere prediletto e di riferimento, confezionando di fatto un cinecomic - tratto da una graphic novel francese. In concorso potrebbe attirare il favore di giurati quali Martin McDonagh e Gabriele Mainetti, affascinanti dalle sensibilità di genere e sicuramente amanti del cinema di Fincher. In competizione ufficiale troviamo anche l'intrigante e dissacrante El Conde di Pablo Larrain, ormai habitué del Lido dove ha presentato tutte le sue ultime fatiche, da Jackie con Natalie Portman fino a Spencer con Kristen Stewart, appena due anni fa. Talentuoso e sofisticato regista di donne, con El Conde Larrain si dà alla satira più nera, inventiva e fantasiosa, miscelando insieme elementi del Dracula di Bram Stocker a una fotografia espressionista in bianco e nero per immaginare un Augusto Pinochet vampiro e mai defunto che decide però di morire a causa del disonore riservato alla sua figura. Giocando inoltre con il la Barbie-mania del momento, la promozione spinge sul rosa shocking nel poster e nel trailer, creando un gustoso contrasto cromatico con la base neutra della produzione. Tra l'altro uscirà su Netflix già il prossimo 15 settembre. Neanche a dirlo, Damien Chazelle, Jane Campion e Santiago Mitre in giuria potrebbero innamorarsi follemente del progetto.
Si passa poi a La società della neve, survival thriller spagnolo-cileno-uruguaiano scritto diretto da Juan Antonio Bayona e basato sulla vera storia del disastro aereo della Ande del 1972. Anziché puntare a grandi stelle internazionali come accaduto ad esempio per Everest di Baltasar Kormakur, Bayona ha scelto un cast d'interpreti misti cileni e uruguaiani per lo più sconosciuti, alcuni dei quali persino alla loro prima esperienza cinematografica. Qualcosa di nuovo e curioso per l'autore di The Impossible e Sette minuti dopo la mezzanotte, sicuramente un progetto piccolo e coraggioso distante dalle sue ultime partecipazioni a immense produzioni hollywodiane tra cinema e televisione. La società della neve sarà presentato fuori concorso, esattamente come il cortometraggio di 37 minuti diretto da Wes Anderson, La meravigliosa storia di Henry Sugar. Tratto dall'omonimo racconto breve di Roald Dahl, il corto è interpretato da un cast eccezionale capitanato da Benedict Cumberbatch e composto anche da Ralph Fiennes, Sir Ben Kinglsey, Dev Patel e Rupert Friend. Un evento di colore e buoni sentimenti che porterà emozioni e spensieratezza al Lido e che potrebbe arrivare persino agli Oscar nella categoria di riferimento. Ultimo ma non per importanza, essendo anzi il più promettente di tutti, è Maestro di Bradley Cooper, seconda prova autoriale dell'attore, regista e produttore e seconda volta al lido dopo il successo riscosso nel 2018 dal suo A Star Is Born.
Al suo ritorno dietro la macchina da presa, Cooper dimostra il suo interesse per il dramma sentimentale e lo conferma anzi come una massima del suo cinema d'autore (avendo anche scritto e prodotto il progetto), scegliendo però di raccontare la vera storia d'amore forte ma travagliata tra il mitico compositore Leonard Bernstein e Felicia Montealegre. Dal trailer emerge un visione matura e ricercata dalla vicenda, con tratti cinematografici importanti e uno studio della composizione dell'immagine che potrebbe portare Cooper a ottenere anche la sua prima candidatura agli Oscar come Miglior Regista. Insieme a Oppenheimer di Christopher Nolan e a Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, al momento, proprio Maestro è il preventivo favorito a un'incetta di premi agli Academy Awards, raccontando non solo una delle massime autorità nel mondo della composizione musicale, ma anche una storia di delicata intimità che attraversa un intero secolo. Che proprio Maestro possa imitare Roma e suggellare ancora una volta l'amore tra Lido e Netflix?