The Kill Team, la recensione: nella coscienza sporca dei soldati

La recensione di The Kill Team: il film di Dan Krauss, con Alexander Skarsgard, Nat Wolff e Adam Long è un thriller bellico ispirato ad una storia vera.

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The Kill Team: Nat Wolff durante una scena

C'è una bella differenza tra un soldato e un guerriero. Ed è da questa distinzione fondamentale che vogliamo partire nella nostra recensione di The Kill Team. Un soldato è parte di un tutto, è una pedina su una scacchiera, un dito che non sarebbe nulla senza il resto della mano. Un soldato obbedisce, mosso dalla sua devozione e dal suo senso del dovere. Un guerriero della scacchiera non sa che farsene, non si fa manipolare da nessuno e risponde solo e soltanto a se stesso. Guidato dalla propria moralità, dal suo concetto di Giusto e Sbagliato, il guerriero è però destinato alla solitudine.

Ecco, The Kill Team parla anche di questo: di un giovane soldato costretto a trasformarsi in guerriero. Con tutta la fatica che comporta. Perché in questa mutazione non sono previste glorie o luci della ribalta, ma soltanto dolore, sacrificio e tanta, tanta paura. Ispirato a una storia vera già diventata un documentario (omonimo) diretto sempre da Dan Krauss, The Kill Team è un torbido viaggio nella coscienza sporca dei soldati. Quelli vili che nascondono il proprio dito dietro una mano, quelli che si sentono più forti solo in un gregge di pecore nere, quelli che riescono a sentirsi vivi soltanto lasciando una scia di morte dietro di loro. Krauss ci racconta questa brutta storia con un thriller teso, severo, asciutto. Un film che scava impietoso nel putridume degli uomini. Dentro potreste trovarci una piccola perla chiamata The Kill Team.

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The Kill Team: una scena del film con Nat Wolff

La trama: nella ragnatela della guerra

The Kill Team: Nat Wolff e Alexander Skarsgård nella prima foto ufficiale
The Kill Team: Nat Wolff e Alexander Skarsgård nella prima foto ufficiale

Dan Krauss non ha tempo da perdere. Il regista ha urgenza di raccontare una storia che gli sta a cuore. E così The Kill Team parte senza fronzoli, dritto nel cuore del faccenda. Siamo in Afghanistan. Nel 2010. L'esercito americano sonda il terreno per stanare cellule terroristiche più o meno dormienti. Il giovane Adam Briggman, figlio di un militare che gli ha insegnato a rispettare la divisa, entra in una squadra di ricognizione chiamata a setacciare il distretto di Maywand. A capo del plotone c'è il sergente Deeks, uomo algido e imperscrutabile, che sugli stinchi mette in bella mostra una sfilza di teschi tatuati. Uno per ogni persona ammazzata in guerra. Bigliettino da visita emblematico di un feroce predone privo di scrupoli. Sotto l'ala "protettrice" di Deeks, il giovane Adam inizia a rendersi conto che il suo gruppo non è in Afghanistan per studiare il territorio, ma per estirpare il presunto problema alla radice, compiendo omicidi preventivi senza indagare.

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The Kill Team: Nat Wolff in una scena del film

Spietato e diretto, The Kill Team è come un ragnatela tessuta lentamente attorno al suo acerbo protagonista, un ragazzo dallo sguardo buono costretto a guardare l'orrore dritto negli occhi. Krassu riesce a calarci benissimo nella sua prospettiva, a farci rendere lentamente conto della trappola in cui ci siamo immersi, del labirinto da cui è difficile uscire. The Kill Team ha solo le sembianze del film bellico, ma in realtà non è altro che un thriller claustrofobico, che opprime il suo protagonista sino a spremerlo per tirarne fuori una scelta etica. Nascondersi nel gregge o mordere quel lupo famelico di Deeks? Tradire il folle credo del gruppo o provare a pulirsi a coscienza? The Kill Team arriva alle risposte facendoci sentire tutto lo sforzo che serve per trovarle.

Il destino infame della pecora bianca

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The Kill Team: Alexander Skarsgård in una scena del film

È nato tutto da una fotografia paradossale. Nel 2011 Krauss legge un articolo dedicato alla vera storia di Adam Winfield e si imbatte nell'immagine del giovane che abbraccia i suoi genitori. Peccato che la foto strida con il titolo che recita: "Il soldato che ha cercato di avvisare l'arma sugli omicidi di civili è accusato lui stesso di omicidio". Una stranezza approfondita da un regista che in questa storia ha riversato studio, interesse e passione. Tutte cose che si notano e riversano in The Kill Team, un film che mostra tanta consapevolezza e misura nell'affrontare un tema delicato. Privo di retorica e impreziosito da dialoghi taglienti, asciutti e credibili, The Kill Team ci ha colpito per la naturalezza con cui i suoi attori hanno rievocato questa vicenda balorda.

Alexander Skarsgård, demone biondo

Se Nat Wolff regge alla perfezione un personaggio afflitto da dilemmi più grandi di lui, Alexander Skarsgård è semplicemente sopraffino nel dare vita a un demone biondo, un manipolatore mellifluo con la faccia d'angelo e gli occhi iniettati di cattiveria. Il suo ricattatore, che ammalia giovani reclute a suon di bistecche al sangue o ben cotte, è una fonte inesauribile di tensione e paranoie. Peccato solo per un finale forse troppo brusco e sbrigativo, ma coerente con una ricostruzione priva di orpelli. Perché The Kill Team è un film sussurrato, mai urlato, fatto di espressioni, sguardi e fiati tutti da decifrare. Un film sulla guerra mai roboante, in cui si spara poco, ma in cui ogni volta che si spara si avverte il tanfo della morte. E il coraggio dei soldati pronti a diventare guerrieri.

Conclusioni

In questa recensione di The Kill Team abbiamo lodato l'ottimo lavoro svolto dal regista Dan Krauss. Ispirato a una storia vera, già alla base di un suo documentario omonimo del 2013, The Kill Team è un thriller bellico spietato, claustrofobico e ansiogeno. La storia di un giovane costretto a sporcarsi le mani con una violenza insensata a scegliere da che parte stare: con un branco di vili o con la propria idea di Giustizia. Una piccola perla assolutamente consigliata.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.2/5

Perché ci piace

  • La regia asciutta, essenziale, capace di calarci subito nella prospettiva di un protagonista assediato dall'inizio alla fine.
  • La prova maiuscola di un eccelso Alexander Skarsgård, antagonista davvero ripugnante.
  • I dialoghi taglienti, misurati e sempre credibili.

Cosa non va

  • Il finale ci è sembrato un po' brusco e sbrigativo, ma comunque coerente con il tono crudo del film.