Quando si è ad un festival cinematografico, in particolare ad uno dell'importanza e la tradizione di quello di Cannes, ci si confronta con i film nel senso più ampio del termine, con l'arte cinematografica in ogni sua declinazione. E bisogna esser pronti a voler fruire di ogni sfumatura in cui questa ci si presenta. Oltre che grati di averne l'opportunità.
Si passa, nel giro di giorni, talvolta di ore, dalla pellicola più tradizionalmente accessibile e commerciabile ad opere d'autore che richiedono una dedizione e predisposizione d'animo più focalizzata.
Ci sono poi casi estremi, come può essere la proiezione dell'ultimo lavoro di una leggenda del cinema come Jean-Luc Godard.
Già a Cannes quattro anni fa con il suo precedente Goodbye to Language - Addio al Linguaggio, il regista ne prosegue il discorso, o almeno la ricerca formale, nel nuovo The Image Book, confermando una voglia di sperimentare e seguire una strada astratta e personale del tutto invidiabile per un autore che si avvicina ai novant'anni. Anche questo nuovo progetto, infatti, è un'opera ambiziosa, complessa, di non facile fruizione, che chiede allo spettatore attenzione e ragionamento.
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Immagini...
The Image Book è una tempesta di immagini che travolge il suo pubblico. Diviso in diversi capitoli portati avanti attraverso un misto di immagini, testi, suoni e voci fuori campo. Segmenti da altri film si susseguono, saturati, deformati, scomposti per poi essere ricostruiti e rimontati in modo da veicolare il messaggio che l'autore intende comunicare. Un messaggio che si cela tra queste costruzioni visive, nascondendosi allo spettatore che non può far altro che cercare il filo conduttore che ha guidare Godard nella costruzione di quella che appare più come una imponente installazione artistica che ad un film nel senso più tradizionale del termine.
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... e parole
Un lavoro simile è fatto sul versante audio, nel costruire l'accompagnamento al caleidoscopio di immagini che viene proposto: le tracce stesse dei film usati nel montaggio, effetti sonori, musica dilatata e astratta accompagnano i testi recitati fuori campo, alcuni dei quali dallo stesso Jean-Luc Godard. Un lavoro sul comparto audio che conferma l'assoluta modernità dell'autore, capace di usare la sala cinematografica stessa in ogni possibilità offerta dall'evoluzione tecnologica: se Adieu au language affrontava la tecnologia stereoscopica sperimentando col 3D, qui è il suo stesso a scomporsi e sfruttare le possibilità dell'audio multicanale, con riverberi, echi e frammentazioni del parlato sui diffusori posteriori così come sui laterali.
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La fine del cinema
Un mosaico che va a comporre i temi sviluppati dall'autore, in alcuni casi solo ipotizzabili, in altri più facilmente identificabili: se c'è infatti un evidente critica del mondo contemporaneo, è altresì chiaro il riferimento all'Olocausto, sia nella scelta di immagini di treni sia nella selezione di pellicole che fanno riferimento alla Seconda Guerra Mondiale, è ugualmente chiaro, oltre che sorprendente, il riferimento al Medio Oriente e soprattutto all'incapacità occidentale di comprenderlo. Si tratta di idee veicolate attraverso un flusso di coscienza audiovisivo, fatto di suggestioni e connessioni, in una decostruzione del concetto di film tradizionale e sembra portare avanti un vero e proprio attacco all'idea di cinema. Il risultato è un'opera difficile da classificare e soprattutto valutare, l'equivalente di una poesia, un'opera alla quale abbandonarsi senza la pretesa di volerne capire ogni sfumatura. E non è per tutti.