Da sempre nella storia del cinema esiste una numerosissima categoria, discendente dal teatro, composta da attori più o meno celebri, più o meno fortunati, che rientrano sotto il nome di caratteristi. Si tratta di interpreti che solitamente affiancano le Star (soprattutto quando parliamo di cinema statunitense) in ruoli da non-protagonista grazie alla loro straordinaria capacità di riempire il proprio personaggio riuscendo ad andare oltre l'aspetto macchiettistico, e arricchendo il film con poche ma complete sfumature. Attori che hanno saputo ritagliarsi una credibilità, seppur lontani dalle luci della ribalta non avendo il giusto appeal produttivo. Ma sono attori appartenenti ad una classe sempiterna, la più importante. Perché un film è sempre un lavoro corale, e se non ci sono quelli che legano il gioco e danno l'impronta giusta allora tutto rischia di rimanere più anonimo.
Anche per questa tipologia di interpreti può capitare però il film della vita, quello che finalmente li porta sul proscenio davanti a tutti gli altri, e che permette loro di accedere ad una dimensione nuova, quella che solitamente occupano le famigerate grandi star. Quando arriva questa opportunità è sempre un'occasione preziosa per lo spettatore, che ha l'occasione di poter ammirare il lavoro di un artigiano del cinema sempre abituato a massimizzare il risultato in ogni modo, dato il tempo concessogli, finalmente libero di potersi esprimere. Un professionista abituato a costruire la sua interpretazione metodicamente, mattone su mattone, non lasciando nulla al caso e che lavora sul corpo e sulla prossemica nella stessa maniera con cui lavora sui tic nervosi, il tono della voce e l'altezza dello sguardo. Come viene dimostrato in The Holdovers - Lezioni di Vita di Alexander Payne (qui la nostra recensione) sorretto dalla prova di Paul Giamatti.
Candidato all'Oscar per miglior attore protagonista nel 2024, l'interprete del Connecticut corre da underdog al cospetto di nomi più importanti o che con la loro candidatura hanno legittimato uno status che finora non gli era stato ancora riconosciuto, eppure in The Holdovers c'è l'interpretazione che vale una carriera. Aspettata, agognata, guadagnata e poi curata con la consapevolezza di poter, finalmente, elevare la qualità del proprio lavoro come mai prima d'ora. Per Paul Giamatti un'occasione speciale in più, visto che gli è capitata sotto la direzione di uno dei registi che più è stato in grado di valorizzarlo in passato. E visto che parliamo di un attore con una carriera straordinaria, perché non ripercorrerla per capirne meglio caratteristiche e qualità?
Il segreto di Paul Giamatti
Paul Giamatti compie i suoi primi passi sul piccolo schermo, anche se al cinema ci arriva appena dopo un anno attraverso la classica strada dei caratteristi di talento, ovvero in ruoli minori in film di registi maggiori, che li vogliono perché consapevoli che la differenza di un cast lo fanno gli elementi secondari, o terziari. Questo spiega un inizio di carriera costellato da collaborazioni con registi come Woody Allen, Sidney Pollack, Mike Newell e Peter Weir, prima di passare al ruolo di sparring partner dai mille volti. L'irriverente ostaggio ne Il negoziatore di F. Cary Gray, il cantante con problemi di rabbia in Man on the Moon di Miloš Forman e per gradire anche l'orangotango de Il pianeta delle scimmie di Tim Burton. Una lenta salita verso il primo ruolo di spicco, arrivato in un genere cinematografico dove solo i veri caratteristi sanno brillare sul serio: il biopic.
Giamatti interpreta il fumettista Harvey Pekar, creatore della serie American Splendor, che è anche il nome del film del 2003 di cui vi stiamo parlando, una semi-trasposizione dal mondo dei_comics_ diretta da Shari Springer Berman e Robert Pulcini. Qui l'attore dimostra la sua incredibile capacità di giocare le proprie interpretazioni in contrapposizione a ciò che suscita il suo aspetto, riuscendo a piegare la sua figura goffa e il suo volto buffo in modo da conservare una fragilità ferita e mettere invece in mostra un'aggressività affascinante. Ecco il Giamatti introverso, buio e depresso, ma in grado di far emergere a proprio piacimento una personalità profonda, analitica e magnetica. Il segreto di una qualità da trasformista di primo livello, coadiuvata da una metodo rigoroso, e che allo stesso tempo cela una personalità fuori dal comune.
Forse questo è il motivo per cui Alexander Payne si innamora di lui e lo mette al centro di Sideways per interpretare l'insegnante d'inglese dal cuore spezzato, Miles Raymond. L'attore statunitense qui mette in scena un percorso di auto-consapevolezza in cui riesce a destrutturare il proprio personaggio per ricostruirlo da zero, dando ancora una volta prova della sua capacità di far brillare chi gli sta accanto: un attore democratico anche quando fa la parte del primo violino. Una regola che vale anche per il suo ruolo in The Holdovers - Lezioni di vita.
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Il cosiddetto "ruolo della vita"
La dolcezza di Giamatti, così piena di sfumature, ricca di volti e di toni, che l'attore è in grado di piegare a suo piacimento, a volte tradendola e a volte brandendola, è ciò che lo porta a conquistarsi i suoi ruoli ne La versione di Barney, Cinderella Man (candidatura all'Oscar al miglior attore non protagonista), in Lady in the Water di M. Night Shyamalan e persino in Billions e in Cosmopolis, continuando sempre a cambiare forma, costumi, colori, barbe e generi, ormai in grado di far vivere qualsiasi personaggio anche con due pose. Quasi venti anni esatti prima di tornare in un film di Payne e poter riprendere in mano un discorso che non ha mai avuto il giusto riconoscimento, non solo in fatto di premi, ma anche per un fatto di pubblico.
Nel costruire il suo Paul Hunham, Giamatti sembra guardarsi indietro, recuperando i ruoli che hanno segnato la sua straordinaria carriera e pescando anche dalla sua vita privata, segnata dalla scomparsa di un padre docente di letteratura, come il personaggio che interpreta nel film. Per arrivare al risultato si mette sullo stesso percorso di Sideways, ribaltando le premesse del personaggio interpretato nel film di Richard J. Lewis e traendo spunto anche da ruoli per i quali è meno conosciuto, ma in cui ha dato prova della sua straordinaria capacità di rendere come personaggio istrionico (per chi l'ha visto, pensate a Mosse vincenti) e impreziosendo il tutto con la sua capacità di duettare con gli altri interpreti.
In The Holdovers - Lezioni di vita però porta con sé (forse per la prima volta, e sicuramente in un modo mai così convincente) anche la sua capacità di sentire lo sguardo della camera e quindi di riempire gli spazi del film utilizzando il suo fisico con una maestria fuori dal comune. Egli è portatore di un segreto che pian piano svela, come uno straordinario direttore d'orchestra, in perfetta armonia con il ritmo del film, riuscendo a coordinarsi al punto da tessere tutti i passaggi della storia, divenendo l'anima della narrazione e riuscendo ad armonizzarla in tutti i suoi aspetti, in modo che suoni in maniera tale da esaltare tutte le note. Una qualità che appartiene solamente ai grandi. Che siano caratteristi, o no.