Se state leggendo questa recensione di The Haunting of Bly Manor, ci sono ottime possibilità che, esattamente come noi, abbiate amato la precedente serie di Netflix, The Haunting of Hill House, ispirata all'omonimo romanzo di Shirley Jackson. A distanza di due anni esatti dalla sua uscita, continuiamo a pensare che il lavoro compiuto da Mike Flanagan su quella prima straordinaria stagione sia qualcosa di eccezionale e probabilmente irripetibile: non solo una delle migliori produzioni originali di Netflix, ma probabilmente anche il miglior horror "seriale" mai realizzato.
Cominciamo subito con il sottolineare l'ovvio: The Haunting of Bly Manor non è un sequel, ma una nuova stagione completamente indipendente; un secondo volume, se così vogliamo definirlo, di un progetto antologico molto ambizioso che si propone di adattare, per ogni stagione, un nuovo classico della letteratura horror. Certo, alcuni attori ritornano (in altri ruoli ovviamente), lo stesso Flanagan dirige e scrive il primo episodio, ma la storia è questa volta ispirata ad un'altra celebre novella gotica, Il giro di vite di Henry James. Già questa premessa dovrebbe essere sufficiente per capire che quello che troveremo in questi nuovi nove episodi è qualcosa di molto differente da Hill House, ma non per questo meno interessante.
Una trama ed un'atmosfera che ricalca l'opera originale...
Il punto di partenza della serie è molto simile a quanto scriveva Henry James sul finire del diciannovesimo secolo, ovviamente declinato in chiave più moderna: siamo nell'Inghilterra degli anni '80, una giovane istitutrice di nome Dani viene assunta da un ricco avvocato per occuparsi dei suoi nipoti, rimasti orfani dopo un terribile incidente, che vivono in una grande dimora di campagna. Ovviamente a Bly non ci sono solo i piccoli Miles e Flora o il resto della "servitù" - il cuoco Owen, la giardiniera Jamie e la signora Grose, la governante - ma anche una moltitudine di presenze inquietanti, se non addirittura letali, che la nostra protagonista finirà con l'incontrare molto presto, a sue spese.
Ma così come l'opera di James è nota per la sua abilità nel creare, nel lettore, non solo tensione ma anche confusione, anche Bly Manor riesce a fare altrettanto, privilegiando allo spavento proprio una sensazione di spaesamento che sembra avvolge tanto i protagonisti che gli spettatori sin dai primi momenti in cui si entra nella casa. Un disorientamento (molto ben reso dall'ottimo montaggio) che troverà il suo culmine in un (bellissimo) episodio centrale e nella definitiva spiegazione soltanto verso la conclusione. Tutta la storia poi ha una vera e propria cornice, in cui una donna racconta tutto quello che noi vediamo ad altri attenti e affascinati ascoltatori: è proprio questa parte ambientata nel 2007, venti anni dopo, che funge a tutti gli effetti come prologo ed epilogo dell'intera serie, a rappresentare uno dei maggiori cambiamenti voluti da Flanagan e gli altri autori, nonché quello che trasforma il racconto originale in qualcosa dal significato completamente differente.
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... un adattamento che privilegia l'amore alla paura
Il compianto David Foster Wallace diceva che "Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi", deve essere per questo allora che in Bly Manor i fantasmi sembrano essere ancora più presenti che nella serie precedente, fino a diventare quasi i veri protagonisti della storia. Al contrario di quel che si può pensare dopo il primissimo episodio, anche questa stagione non ha un'unica protagonista ma racconta comunque una storia corale, con diversi punti di vista: con la significativa differenza che se in Hill House si raccontava la storia di una famiglia su due linee temporali diverse, qui la cosa si fa ancora più complessa perché i tanti protagonisti sono legati tra loro da sentimenti - quale amore, odio, disperazione e vendetta - che trascendono il tempo o il significato di passato e presente.
Da questo punto di vista Bly Manor ha una narrazione molto più frammentata - e proprio per questo, più complessa - rispetto alla stagione precedente, e questo si riflette anche sullo stile e sul tono della serie: se con Hill House Flanagan ci aveva stupito con lunghi e articolati piani sequenza ed alcuni colpi di scena davvero spaventosi e d'impatto, in Bly Manor è sempre il montaggio a farla da padrone, il continuo avvicendarsi di ricordi e personaggi, la ricercata e insistente ripetitività di alcuni dialoghi o situazioni. Il tutto ovviamente è perfettamente coerente con quanto la serie ci vuole raccontare (nonché l'evidente e riuscito cambio di prospettiva tra infestati e infestanti) ma anche con l'opera da cui prende spunto, profondamente diversa da quella di Shirley Jackson che ci aveva conquistato due anni fa, tanto per stile quanto per tematiche.
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Un confronto che terrorizza e non aiuta nessuno
Il più grande difetto di Bly Manor è certamente il seguire quello che oggi possiamo tranquillamente definire un capolavoro e un classico della serialità moderna: Hill House aveva dalla sua non solo la qualità ma anche l'effetto novità, un qualcosa a cui Bly Manor deve necessariamente rinunciare. E lo fa, in maniera perfettamente consapevole, puntando sulla storia, sui personaggi, sulle emozioni piuttosto che sulla sorpresa o su quelle stesse sensazioni che ci aveva già regalato in precedenza. Non per questo rinuncia alla qualità: è vero che Flanagan firma questa volta solo il primo episodio, ma rimane comunque come produttore e coordinatore del progetto e infatti il risultato si vede tanto nella cura delle scenografie e fotografia, che nelle interpretazioni.
Da questo punto di vista un plauso speciale va a tutti i membri del cast che erano già presenti in Hill House e che qui si sono rimessi in gioco con personaggi molto differenti: è il caso di Victoria Pedretti (la "protagonista" Dani) e Oliver Jackson-Cohen (l'inquietante Peter Quint) in primis, ma anche Henry Thomas (lo zio ricco) e Kate Siegel (in un ruolo che non vi spoileriamo). A colpire ancora di più però sono alcune new entry quali Amelia Eve, T'Nia Miller, Rahul Kohli e Tahirah Sharif, ovvero lo staff di Bly Manor, così come i bambini Benjamin Evan Ainsworth e Amelie Bea Smith, entrambi capaci di essere tanto dolci e amorevoli quanto inquietanti. Esattamente come tutto il resto della serie.
Conclusioni
Se avete saltato tutta la nostra recensione di The Haunting of Bly Manor per arrivare direttamente qui sotto, sappiamo già cosa volete chiederci: questa seconda stagione è all'altezza della prima? La risposta è sì e no al tempo stesso, perché sicuramente continua in modo coerente il progetto e propone un adattamento fedele ma personale al tempo stesso, dall'altra sconfina ancor di più, rispetto a due anni fa, dal genere horror e proprio per questo potrebbe deludere che vuole in primis essere terrorizzato. Il nostro consiglio è assolutamente di mettere da parte ogni aspettativa e confronto, e godervi questa nuova storia per quello che è: una ghost love story di grande atmosfera che non dimenticherete facilmente.
Perché ci piace
- Adattamento coraggioso e anche originale di un classico della letteratura gotica.
- Lo stile di regia è diverso rispetto alla prima stagione, ma è coerente con la storia che vuole raccontare. Il lavoro sul montaggio è ottimo e di grande effetto.
- Scenografie ottime, ancora una volta la casa è una protagonista a tutti gli effetti.
- I personaggi sono tutti ben caratterizzati e interpretati, rimangono nel cuore.
Cosa non va
- Meno spaventi e meno horror rispetto Hill House, molti potrebbero rimanere delusi da questo aspetto.
- La qualità di regia e scrittura, pur rimanendo mediamente alta, non sempre è omogenea tra un episodio e l'altro.