Ponendo fine alla solita spasmodica attesa che precede l'uscita di nuovi film di Quentin Tarantino, The Hateful Eight arriva finalmente nelle sale italiane. Non è stata una gestazione facile la sua, se mai lo è: come qualcuno ricorderà, il regista aveva anche considerato la possibilità di rinunciare a girare il film dopo che la sceneggiatura era stata diffusa illecitamente sul web.
E del resto il film stesso non è certamente uno dei più facili del regista di Pulp Fiction, che anche stavolta farà discutere il pubblico nostrano, non solo per le performance di un cast eccellente, formato da Samuel L. Jackson, Jennifer Jason Leigh, Kurt Russell, Walton Goggins, Tim Roth, Michael Madsen e Bruce Dern, tra gli altri, ma anche per i temi e le sequenze più dure.
Anche per questa ragione, come abbiamo fatto in altre occasioni, abbiamo chiesto ad ognuno dei nostri redattori di lasciarci un breve commento sul film. Li potete leggere di seguito, in ordine alfabetico, dopo un estratto della recensione ufficiale, ognuno con uno spunto di riflessione diverso, derivante da sensibilità e approcci al cinema differenti. Nel loro insieme, ci auguriamo che possano darvi un'idea più articolata del nostro giudizio su The Hateful Eight.
The Hateful Eight: un Tarantino feroce e violento, ma sempre più politico (Luca Liguori)
[...] Non si fa fatica quindi a credere che questo The Hateful Eight abbia diviso, sconvolto e infastidito la critica USA come mai era successo prima: perché pur rimanendo un piacevolissimo "divertimento" tarantiniano grazie ai soliti dialoghi al fulmicotone ed almeno tre interpretazioni - Samuel L. Jackson, Jennifer Jason Leigh e Walton Goggins - tra le migliori del suo pur impressionante ruolino da grande regista di attori, questo The Hateful Eight non è certamente un film che si può etichettare come un semplice divertissement. E nemmeno con la spregevole definizione di "solita accozzaglia di generi e citazioni" con cui troppo spesso e troppo facilmente si è soliti minimizzare una filmografia che, però, col passare del tempo si fa sempre più significativa, "pesante" ed impossibile da ignorare.
Perché The Hateful Eight è tutto questo: è un thriller, è un horror, è un western, è un omaggio ai grande classici del cinema americano e di quello italianissimo di Sergio Leone e Sergio Corbucci, è un film divertente ed un film esaltante. Ma è anche e soprattutto un film serissimo di un regista ormai inconsapevolmente maturo e politico; un regista che, anche quando vorrebbe solo dedicarsi alla sua sana passione cinefila, non riesce a fare a meno di dire la sua. E, anche per questo, non è mai banale.[...]
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi la nostra recensione ufficiale e senza spoiler
Le altre opinioni della redazione
"Because We Love Making Movies!" (Valentina Ariete)
Quando su un suo set qualcosa va storto, quando le condizioni sono difficili, o quando semplicemente vuole soddisfare la sua passione maniacale con l'ennesimo ciak, Quentin Tarantino incoraggia la troupe con la frase-mantra "Because we love making movies!". Tarantino non è uno che fa cinema, per lui il cinema è la vita. The Hateful Eight non fa eccezione: tre ore di dialoghi in una locanda, fuori solo neve candida, che filtra a fiocchi danzanti attraverso le assi di legno mostrando tutta la bellezza della fotografia e della pellicola 70mm: solo chi ha un amore spropositato per il cinema può costruire una creatura del genere, in cui il western si fonde all'horror e al dramma da camera, in cui l'ironia nera si mescola alla violenza e a stecche di zucchero alla menta, in cui la dualità dei personaggi e il ritmo delle parole diventano il film stesso, grazie anche alle performance di attori straordinari, usati da Tarantino quasi come fossero strumenti musicali. E allora sì ai 70mm usati in interni, sì al più bel monologo della carriera di Samuel L. Jackson, dissacrante e folle, sì alla maschera di sangue di Daisy Domergue, personaggio diabolico che inquieta senza il bisogno di fare nulla. Non si può non amare il cinema di Tarantino, perché Tarantino è il cinema.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: The Hateful Eight: Cosa cambia nella versione in 70mm?
I buoni, i brutti e la cattiva (Max Borg)
Quentin Tarantino, autore irriverente ed iconoclasta ma al contempo innamorato del cinema e delle tradizioni legate ad esso, riconferma tutta la sua poetica in un Western epico e claustrofobico, riflessione sulla Storia americana, sul cinema tout court e sulla filmografia dello stesso Tarantino in particolare. Incrociando Le iene con La cosa di Carpenter, il regista di Knoxville tinge di paranoia e sangue il suo universo verboso ed eloquente, affidando i suoi dialoghi ricchi e logorroici ad otto interpreti eccezionali, in particolare Jennifer Jason Leigh che, alla prima esperienza con Tarantino, ruba allegramente la scena a veterani come Samuel L. Jackson e Tim Roth. Un'esperienza puramente cinematografica come poche, da vedere in pellicola, come Quentin comanda.
Voto ☆☆☆☆☆
Leggi anche: La famiglia cinematografica di Quentin Tarantino: i volti ricorrenti del suo universo pulp
La bufera della passione (Antonio Cuomo)
Un thriller? Un horror? Un film teatrale o un western? The Hateful Eight è tutto questo, ma anche di più. È un film puramente tarantiniamo, pur discostandosi per tanti versi dalla sua filmografia. Un film che nella calma (apparente) dell'emporio di Minnie cela una passione per il cinema potente e inarrestabile come la bufera che incombe e segrega i protagonisti. E fa sorridere che al suo ottavo film sembra ancora che Quentin Tarantino sia l'ultimo arrivato, uno che gioca a fare cinema con divertissement che tanti faticano a prendere sul serio, mentre continua a confermare un talento purissimo, una passione smisurata e una conoscenza della settimana arte, della sua storia, delle sue potenzialità e mille sfaccettature che pochi oggi dimostrano di possedere. The Hateful Eight è un film che ammalia e accoglie lo spettatore con i suoi tempi, i suoi dialoghi, le sue magnifiche interpretazioni, per poi colpirlo con una durezza e teatrale violenza ancora più esplicite per contrasto. Tarantino dimostra di essere un direttore d'orchestra abile, che non si limita a muovere e gestire soltanto le sue pedine su schermo, ma attraverso esse anche l'animo e le emozioni del suo affascinato pubblico.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: The Hateful Eight, la premiere romana: foto e video!
8 piccoli infami (Giuseppe Grossi)
La Guerra Civile è appena cessata ma ce ne metterà per finire davvero. I detriti bellici sono esplosi ovunque, ben visibili nonostante fuori sia tutto coperto di neve. Tra i resti ecco 8 giocatori, 8 pedine mosse da quello stratega di parole di nome Tarantino. Un Risiko giocato nello spazio di un Cluedo dove il tabellone è un emporio sperduto e il regolamento (di conti) scomoda l'America di ieri e di sempre. Questa volta il gioco di Tarantino non è solo quello della citazione, non solo il gusto ludico per sparatorie dialettiche e schizzi splatter. Questa volta giocare è una cosa seria: c'è di mezzo l'etica, la giustizia, la tolleranza. Una microsocietà oppressa da una bufera di inutile retorica, un film nel quale è impossibile schierarsi, un gioco sadico e molto triste senza regole, né vincitori.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: Quentin Tarantino presenta The Hateful Eight: "Le mie iene che giocano nel Far West"
Otto "bastardi senza gloria" per un gioco al massacro (Stefano Lo Verme)
La rievocazione dell'immaginario western, dall'uso del formato 70 millimetri all'incalzante colonna sonora di Ennio Morricone, offre a Quentin Tarantino l'occasione per realizzare una "pastorale americana" in cui sono celebrati gli orrori di una nazione, con un'ironia mai così caustica e feroce. La ventata di progressismo nell'America di Lincoln non è stata sufficiente a spazzar via rivalità e tensioni che ancora ribollono sotto le nevi del Wyoming, e che esploderanno con violenza inaudita nel corso di questo sanguinario kammerspiel. Meno barocco, ritmato e divertente dei precedenti film di Tarantino, The Hateful Eight è un'opera di un nichilismo quasi disperato, in cui ciascuno degli otto comprimari finirà per svelare la propria inesorabile mostruosità. Fra gli interpreti, nota di merito per Samuel L. Jackson e per una memorabile Jennifer Jason Leigh.
Voto ☆☆☆ ½
Leggi anche: Ennio Morricone: 10 colonne sonore capolavoro del grande Maestro
The Hateful Eight, le origini del futuro di Quentin Tarantino (Sandra Martone)
Tornare alle origini e guardare al futuro della propria cinematografia: questo è ciò che è riuscito a Tarantino con The Hateful Eight, lungometraggio che prosegue il filone politico del regista iniziato con Bastardi senza gloria, andato avanti con Django Unchained - che ha sciorinato e giocato sulla matrice razzista dei film western - e culminato con questo nuovo lavoro che dà all'antieroe nero un nuovo ruolo sociale. La scelta dell'Ultra Panavision come formato sorprende e non tanto per il suo anacronismo (quando si tratta di Tarantino nulla lo è) ma per l'uso di tale pellicola in un film che sfrutta la modalità più aperta e profonda, il 70 mm, di fare cinema in un lungometraggio ambientato all'interno delle quattro pareti di un rifugio nel Wyoming. Tutto è ovattato, surreale e meticolosamente gestito dal cineasta che pecca di una squisita presunzione ergendosi a Dio per armonizzare la vita e la morte in una lunga parabola che tanto somiglia, nella cruda morale, al passo biblico di fantasia che il personaggio Jules Winnfield recita tre volte in Pulp Fiction.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: Pulp Fiction, venti volte cult
Non c'è due senza tre: The Hateful Eight, Quentin Tarantino e la Storia (Luca Ottocento)
A partire da Bastardi senza gloria Tarantino ha iniziato a portare avanti un'operazione molto riconoscibile, legata a doppio filo all'innesto della propria peculiare poetica nel contesto della Storia. A fare da sfondo alle sue avvincenti narrazioni piene di violenza, ironia, flashback e dialoghi scritti magistralmente, infatti, dal 2009 non c'è più stato il contesto contemporaneo ma la Francia occupata dai nazisti (Bastardi senza gloria) e gli Stati Uniti poco prima o poco dopo la guerra di secessione (Django Unchained e The Hateful Eight). Con questa ultima fatica, però, il nostro è riuscito per la prima volta a far emergere con forza temi politici e sociali, proponendo così una riflessione storica non più in grandissima parte scanzonata e sopra le righe, ma anche profonda, cupa ed amara. Al terzo tentativo, Quentin ha trovato il giusto equilibrio e ha fatto centro.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: La recensione di Django Unchained: Hollywood perdona... Django no!
The Hateful Eight: tutto e il contrario di tutto (Damiano Panattoni)
Gli ''Odiosi 8'' di Tarantino non vogliono piacere allo spettatore. E, il regista cult che più cult non si può, lo dichiara subito, dipingendo la sua opera più complessa - siamo molto, molto lontani dalla perfezione di Pulp Fiction, Bastardi Senza Gloria o Django Unchained. Infatti, se ognuno con il proprio film ci fa quello che gli pare, Tarantino si beffa del pubblico facendo di tutto per farlo smaniare sulla poltrona del cinema: lo spinge a odiare le espressioni dei protagonisti (ma tutti, a loro modo, splendidi, interpretati da un cast perfetto); lo spinge ad invocare la fine (per poi, magia della scrittura, portandolo a volerne ancora); lo spinge in una bufera di neve asfissiante. Dunque, The Hateful Eight, che forse è un film politico o forse no, che forse è teatrale o forse è cinematografico che più cinematografico non si può, per scelta lecita e consentita di Tarantino (che si può pure detestare, nonostante la genialità di almeno tre dei suoi otto film) ha dentro tutto e il contrario di tutto. Che sia un bene o un male, poi, lo decide chi guarda.
Voto ☆☆☆ ½
Leggi anche: Da Le iene a The Hateful Eight, la violenza nel cinema di Tarantino: i momenti cult più scioccanti
Un western politico da camera (Manuela Santacatterina)
Un Wyoming gelido e nevoso. Otto persone cariche d'odio (razziale, sociale, ancestrale) e un emporio a fare da palcoscenico al loro verboso quanto sanguinoso confronto. The Hateful Eight è l'ideale prolungamento dell'altrettanto ideale trittico, preceduto da Django Unchained e Bastardi senza gloria, con il quale il regista dà vita ad un cinema sempre più politico e ancorato al presente ma trasfigurato dalle storie raccontate. Questa volta, però, Tarantino costruisce un film più cupo, senza "eroi", mettendo in scena - in una pellicola colma di riferimenti cinematografici e sfumata di giallo - l'America di oggi attraverso i suoi personaggi. La violenza, il razzismo, le tante realtà che vivono ma non convivono e comunicano al ritmo di insulti e proiettili. Dalle ceneri della guerra di secessione alla sua triste eredità.
Voto ☆☆☆☆
The Hateful Eight, la narrazione delle tempeste interiori (Erika Sciamanna)
The Hateful Eight, l'ottavo film di Quentin Tarantino è decisamente la pellicola più politically incorrect del regista. Le immagini dei grandi spazi del Wyoming fanno presto spazio all'ambientazione più angusta e teatrale dell'emporio di Minnie, dove gli otto personaggi, legati dal filo dell'odio (razziale, di genere...), si muovono proprio come su un palcoscenico, scoprendo un po' alla volta, come in un gioco di carte, tutti gli intrecci che li legano e le motivazioni che li spingono. Per fare questo Tarantino cerca di entrare nel campo visivo dello spettatore, gioca con la messa a fuoco per concentrare l'attenzione su ciò che desidera, cela e mostra con sapienza e arte, pone a confronto la furia della natura con quella umana, mostrando quanto forti e violente siano le tempeste dell'animo e quanto la follia a volte sia più devastante della più letale delle bufere. Ho avuto la sensazione di essere stata portata fin nell'occhio del ciclone, con la sua calma apparente, per poi piombare di nuovo nei violenti impeti dell'animo umano.
Grazie a questo il tempo scorre e le quasi tre ore di durata sembrano passare in un lampo, merito di una trama solo esteriormente prevedibile e di dialoghi non privi di umorismo, vivaci e pungenti.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: The Hateful Eight: le nostre foto di Quentin Tarantino a Roma!
Le provocazioni del western da camera (Alessia Starace)
Come per pressocché tutti i cinefili della mia generazione, anche per me Pulp Fiction fu un film fondamentale, una sorpresa elettrizzante che cambiò in qualche modo il mio rapporto con il grande schermo. Da lì in poi, però, il mio idillio con Quentin Tarantino è stato altalenante, con l'aggravante di non amarlo particolarmente come personaggio e di sopportare sempre meno quel misto di arroganza e ingenuità che invece in tanti trovano amabile. Ma probabilmente il fatto che io abbia amato tanto The Hateful Eight in barba alla mia avversione per le sparate del suo autore e per il culto della personalità tarantiniana è un'ottima testimonianza della sua bravura. Se Bastardi senza gloria e Django Unchained mi avevano divertito senza lasciarmi molto, questa volta sono uscita dalla sala - e che sala, che esperienza straordinaria la visione in Ultra Panavision 70 mm a Cinecittà! - con la sensazione di aver assistito a una delle opere che davvero assicureranno a Mr. Tarantino un posto nella storia del cinema.
Una tempesta che è invincibile rancore, insinuante sospetto, nauseante vendetta, una stanza che è come l'America e un manipolo di assassini senza redenzione: pochi ingredienti forti per un mix ipnotico di tensione e provocazione, fascino e repulsione. Il film più coeso, maturo e cattivo di un regista che non ne vuole sapere di rientrare nei ranghi, e alla fine ha ragione lui. Fino a che parla attraverso i suoi film, ha ragione lui.
Voto ☆☆☆☆ ½
Leggi anche: La recensione di Bastardi senza gloria: Cinema e nazismo, è lotta impari