Lo ammettiamo subito, proprio all'inizio della nostra recensione di The Good Lord Bird - La storia di John Brown: la miniserie targata Showtime, su Sky dal 7 Ottobre, e basata sull'omonimo romanzo di James McBride è uno strano e raro esemplare di prodotto audiovisivo, proprio come il picchio dal becco d'avorio del titolo. A metà strada tra satira e dramma, i sette episodi che la compongono danno vita a una stramba opera che non sempre funziona, alternando alti picchi ben riusciti con altri momenti poco convincenti. Perché se da una parte The Good Lord Bird si inserisce in questo filone storico che negli ultimi anni ha preso parecchio piede (giustamente) e che vuole raccontare le fratture e il razzismo che ancora oggi sono presenti nel territorio americano, dall'altra la miniserie cerca un registro esagerato che richiama l'universo pulp (basterebbe vedere il font utilizzato nei titoli di testa e la divisione a capitoli dei singoli episodi), quasi a voler sdrammatizzare o a rendere meno pesante gli argomenti che vuole affrontare.
Un predicatore per la libertà
La trama di The Good Lord Bird è ambientata nel 1859, alla vigilia dello scoppio della guerra civile americana. Il predicatore John Brown (Ethan Hawke) con un gruppo di miliziani lotta per l'abolizione della schiavitù negli Stati del Sud senza denigrare l'uso della violenza, considerato ormai l'unico mezzo per farsi ascoltare. Un ragazzo schiavo (Joshua Caleb Johnson), il cui vero nome è Henry, ma che viene soprannominato Cipollina - vi lasciamo la sorpresa di scoprire il perché viene chiamato così - si unisce al gruppo di abolizionisti, parteciperà agli eventi del Bleeding Kansas, una serie di rivolte e scontri avvenuti in Kansas e Missouri, e infine al raid al deposito militare a Harper's Ferry, in Virginia. Proprio quest'ultimo evento porterà alla cattura e conseguente condanna a morte di John Brown (tranquilli, non è spoiler, ma semplice Storia), ma anche allo scoppio della guerra civile che, come sappiamo, porterà all'abolizione della schiavitù. La lotta di John Brown, per quanto inizialmente fallimentare, non sarà stata vana. Nel corso dei sette episodi assisteremo a una lenta, ma costante preparazione del raid in Virginia e avremo modo di indagare la situazione sociale dell'America di quegli anni, attraverso varie storie di molti personaggi (solitamente ogni puntata ha un suo tema), e riflettere su come la lotta di John Brown era considerata non solo tra i bianchi, ma anche tra gli stessi schiavi neri. John Brown è stato considerato per molto tempo un pazzo, un folle e, di questo va dato atto alla scrittura della miniserie, non ha trovato sempre il favore delle sue lotte da parte degli stessi schiavi. E proprio questo scontro di pareri, mettendo in mostra tutta l'ambiguità degli eventi, è il lato più interessante di questi sette episodi in cui ritroviamo un'America fratturata dall'interno. In questo amaro ritratto troviamo il vero legame che rendere The Good Lord Bird un prodotto perfettamente inserito nei giorni nostri.
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Ethan Hawke e il resto del cast
Volti vecchi e nuovi compongono il variegato cast di The Good Lord Bird. Al protagonista Joshua Caleb Johnson, davvero bravo e sempre credibile nonostante la non facile situazione di dover recitare in abiti femminili (ma il suo volto un po' androgino ben si presta a questo tipo di interpretazione), si affiancano nomi che potrebbero far felici gli appassionati e i più esperti cinefili come Daveed Diggs, già visto nel doppio ruolo di La Fayette e Thomas Jefferson nel musical di successo Hamilton, o Ellar Coltrane, il ragazzo protagonista di Boyhood che qui si ritaglia un ruolo parecchio importante. Nonostante alcune guest star d'eccezione (di cui non vi diciamo assolutamente nulla, ma siamo sicuri sarete sorpresi quanto noi!), anche i nomi poco noti del cast riescono nell'impresa di creare un gruppo eterogeneo, ma unito. Se c'è un motivo per cui proseguire nella visione della serie è proprio nella scelta dei volti, nella lingua, nel linguaggio del corpo dei vari attori. In questo, The Good Lord Bird ha la qualità dei fumetti memorabili: le facce costruiscono già di per sé personaggi, luoghi ed eventi, pur evitando di scivolare negli stereotipi macchiettistici. Cosa che, purtroppo, non riesce sempre ad evitare il vero mattatore della serie. Creatore, produttore, sceneggiatore e interprete principale, Ethan Hawke paga dazio nell'essere completamente libero da qualsivoglia limite, nell'impersonare un personaggio già di per sé sopra le righe e dà vita a un John Brown sicuramente memorabile, capace di ergersi, ma anche di soffocare terribilmente tutto il resto. Urla costantemente, esagera, sbava e sputa mentre pronuncia lunghi monologhi da vero fanatico. Rari sono i momenti in cui rinuncia alle briglie completamente sciolte e riesce a dosarsi (se non nelle puntate finali dove si riesce a rivalutare un po' il personaggio, ma è davvero troppo poco). Nel primo episodio, ormai vero e proprio turning point per decidere se proseguire la visione di una serie o meno, il suo John Brown è ai limiti dell'insostenibile, tanto che la sua mancanza nell'episodio successivo sembra una giusta ricompensa per lo spettatore (e la serie ne guadagna tantissimo con uno degli episodi più belli). Un peccato, perché una mano più decisa in cabina di regia avrebbe sicuramente giovato al tutto.
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Tutto è vero, molto è accaduto
Ogni puntata si apre con una didascalia che annuncia allo spettatore che tutto quello che viene raccontato è vero, ma solo gran parte di questo è accaduto. Una dichiarazione d'intenti che pone la serie a metà strada tra il racconto biografico e una storia di finzione con toni satirici. Come un equilibrista sulla fune, la serie fa di tutto per unire al meglio queste due anime, alternando una dimensione seria con una farsesca o, per dirla usando i toni del protagonista, unendo il sacro al profano. Nel raccontare la lotta di questa testa calda di John Brown che considera la schiavitù dei neri un atto contro Dio e contro lo stesso popolo americano (le Sacre Scritture e la stessa Dichiarazione d'Indipendenza sulla quale si basa la creazione dell'America recitano che tutti gli uomini sono stati creati uguali), The Good Lord Bird non sempre centra il tono migliore. È vero che, soprattutto durante le sequenze più movimentate, la farsa riesce a stemperare e rendere quello che poteva diventare un comune dramma un prodotto che si differenzia e diverte, ma in questo modo sacrifica la potenza dei momenti più seri rischiando di perdere, nel corso della sua narrazione, parecchi spettatori. Occorre, invece, portare pazienza e lasciarsi appassionare, anche nei momenti più "finti", alle vicende: alcuni episodi sono più riusciti di altri, ma, soprattutto nella seconda metà della miniserie, il tutto decolla portando a quello che - non ci nascondiamo - è davvero un gran bel finale che ripaga completamente tutti i difetti (anche grossi) che sono presenti al suo interno.
Conclusioni
A conclusione della recensione di The Good Lord Bird – La storia di John Brown possiamo affermare che la miniserie targata Showtime e interpretata da Ethan Hawke sicuramente non è un prodotto indimenticabile e senza difetti, molti dei quali si legano a un non sempre perfetto equilibrio tra dramma e farsa e dalla recitazione davvero sopra le righe del protagonista. Un peccato perché, nonostante l’attenzione dello spettatore possa risultare altalenante nel corso dei sette episodi che compongono la storia, si tratta di un prodotto ben curato visivamente, con un cast notevole e che, nei suoi momenti migliori, è capace di affrontare discorsi e tematiche che, benché lontane nel tempo, siano ancora più attuali che mai.
Perché ci piace
- I temi affrontati sono, purtroppo, ancora attuali.
- Quando trova un equlibrio tra farsa e dramma, la serie si distingue rendendosi interessante.
- Il finale giustifica i passi falsi e i difetti della miniserie.
- Il cast regge benissimo il peso della storia…
Cosa non va
- …ma Ethan Hawke spesso e volentieri è a briglie sciolte risultando troppo esagerato.
- È altalenante nel trovare l’equilibrio nei toni e nella narrazione.