The Good House, la recensione: un'ottima Sigourney Weaver non basta

La recensione di The Good House, film dove l'amata attrice veste i panni di un'agente immobiliare che finisce nelle grinfie dell'alcoolismo in seguito a eventi burrascosi. Su Sky e NOW.

The Good House, la recensione: un'ottima Sigourney Weaver non basta

Hildy Good un tempo era l'agente immobiliare più popolare della piccola comunità di Wendover, ma dopo il traumatico divorzio - il marito l'ha lasciata per uomo - non è più la stessa ed è caduta nelle spire dell'alcoolismo, tanto da andare in rehab su spinta della sua famiglia. Ma ora Hildy è tornata e intende recuperare il terreno perduto, ritrovandosi a fare i conti con la sua ex segretaria Wendy che, durante la sua riabilitazione, le ha soffiato i clienti i migliori.

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The Good House: Sigourney Weaver in una foto

Come vi raccontiamo nella recensione di The Good House, la donna comincia a frequentare di nuovo il suo ex fidanzato Frank Gretchell, che vive in una catapecchia isolata dove custodisce la sua amata barca, ma una serie di eventi turbolenti nella sua quotidianità la riportano a bere progressivamente ogni giorno di più, rischiando di far crollare definitivamente non soltanto la sua carriera ma anche la propria salute.

Questione di sguardi

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The Good House: Sigourney Weaver e Kevin Kline in una scena del film

Dal costante voice-over che accompagna l'intera narrazione agli altrettanto continui sguardi di Sigourney Weaver rivolti in camera, con l'obiettivo di rompere la quarta parete, The Good House intende apparire come una sorta di monito per lo spettatore, affinché non compia gli stessi errori della tormentata protagonista. D'altronde la pellicola già dalle premesse si inserisce in una serie di titoli a tema prodotti da Participant Media e incentrati sulla giustizia sociale, portandosi dietro un alone per quanto potenzialmente condivisibile inevitabilmente moralizzatore. In questo caso a essere demonizzata è una delle dipendenze più diffuse, ovvero l'alcoolismo, che rischia di rovinare l'esistenza a questa donna di mezz'età reduce da una serie di fallimenti privati e che ha cercato rifugio in quello stato di frequente ubriachezza, caratterizzante gran parte della sue giornate, soprattutto nottate.

Un altro giro, recensione: e il naufragar m'è dolce in questo alcool

A casa tutti bene...o forse no

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Morena Baccarin e Sigourney Weaver in una scena

Il titolo così ha un doppio significato, non soltanto quella "casa buona" che la Nostra cerca di vendere a potenziali compratori nel suo lavoro da agente immobiliare, ma anche quelle quattro mura domestiche che dietro un'apparenza rispettabile nascondono una persona fragile e insidiata dai propri demoni, che nemmeno le persone che le ruotano attorno sembrano voler vedere. Il solo ad avvicinarsi effettivamente a lei è un altro ipotetico "dimenticato", quel Frank preso di mira per uno stile di vita ai margini ma uomo di buon cuore che ama ancora profondamente Hildy. Il problema principale dei cento minuti di visione risiede in un'eccessiva verbosità, con molte delle figure secondarie che si ritrovano spesso sedute a pranzo a cena a parlare del più e del meno, o ancora confessioni improvvisate tra la protagonista e alcune delle controparti chiave: succede poco o nulla di effettivamente significativo, tolta l'escalation tensiva finale parzialmente gratuita.

Doppia coppia

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The Good House: Sigourney Weaver e Kevin Kline in una scena del film

Tra rimandi più o meno voluti a un grande classico degli anni Ottanta come Le streghe di Eastwick (1987) citando la presunta discendenza dalle streghe del personaggio della Weaver, il maggiore spunto di interesse risiede guarda caso nell'interpretazione dell'amatissima attrice e in quella di un altrettanto convincente Kevin Kline nel ruolo di complementare spalla romantica: la chimica tra i due è palpabile ed è grazie a loro che lo spettatore è portato ad andare avanti nel racconto. D'altronde The Good House è diretto da una coppia di registi e sceneggiatori, formata da Maya Forbes e Wally Wolodarsky, qui lucidi nel tratteggiare le dinamiche sentimentali anche al netto di alcuni luoghi comuni figli di una modernità ostentata e non sempre verosimile, lasciando ampia libertà di manovra alle due star per infondere la giusta personalità alle relative controparti.

Conclusioni

Una redditizia carriera da agente immobiliare prima rovinata dal burrascoso divorzio e poi dalla conseguente caduta nell'alcoolismo, che le ha fatto tagliare i ponti e perdere credibilità. Ora la protagonista è pronta a riprendersi ciò che le spetta, ma nuove insidie e quel demone interiore rischiano di condurla di nuovo su una brutta strada. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di The Good House, il film vive soprattutto sulle ottime performance di Sigourney Weaver e Kevin Kline, capaci di illuminare una sceneggiatura spesso schematica e verbosa, che mette il messaggio sociale sul piedistallo, dimenticandosi di offrire un contorno degno di interesse.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • Sigourney Weaver e Kevin Kline valgono la visione.
  • Il messaggio è sicuramente condivisibile...

Cosa non va

  • ...ma messo in scena in maniera pedante e forzata.
  • Personaggi di contorno poco interessanti.
  • Grandi discussioni - esistenziali e meno - per tutto il film, ma poco altro.