Recensione The Front Runner: se il privato è il nemico pubblico

La recensione di The Front Runner: il film di apertura del Torino Film Festival 2018 sulla vera storia di Gary Hart, dalle presidenziali USA a uno scandalo fatale.

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The Front Runner: Hugh Jackman in un'immagine del film

Diceva che fare politica è un po' come giocare ad Asteroids: tenere sempre alta la guardia, scansare meteoriti ed evitare l'impatto con i tuoi avversari. Pensava che un discorso dovesse essere letto e riletto, corretto e curato in ogni sua singola parola, perché ogni termine poteva fare la differenza. Il senatore Gary Hart, nome e presenza scenica rassicurante (da divo hollywoodiano), ci sapeva fare. Il protagonista di The Front Runner - Il vizio del potere, era un politico preparato, appassionato, in perfetto equilibrio tra idealismo e pragmatismo. Per questo Gary Hart era il favorito alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America. Correva l'anno 1988.

Solo quattro anni prima il leader del partito democratico aveva subito una cocente sconfitta, ma quel tonfo era servito soltanto a fargli rimboccare le maniche con ancora più determinazione. Il nuovo film di Jason Reitman scolpisce sulle possenti spalle di un affabile Hugh Jackman un politico umano e per questo credibile. Realistico e per questo fallibile. Film di apertura del Torino Film Festival 2018, The Front Runner: Il vizio del potere racconta le ultime tre settimane della campagna elettorale che vedeva Hart il netto favorito alla Casa Bianca. Tre settimane di lavoro duro, scelte ponderate e caute speranze ingurgitate da un clamoroso scandalo capace di macchiare in un solo colpo la candida nomea del buon padre di famiglia Gary Hart.

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The Front Runner: Hugh Jackman in una scena del film

Da sempre interessato a esplorare il dietro le quinte delle grandi facciate americane (Thank You for Smoking e Tra le nuvole), Reitman spia con vorace curiosità una stagione fondamentale per la società occidentale. Quegli anni Ottanta che, dopo aver messo al potere un ex attore come Ronald Reagan, hanno reso la politica uno show. E gli uomini di Stato protagonisti di un infinito reality.

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La giusta distanza e il potere del vizio

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The Front Runner: un primo piano di Hugh Jackman

Il sottotitolo italiano di The Front Runner potrebbe essere fuorviante. Quel "il vizio del potere" fa pensare facilmente a un abuso da parte di Hart, forte della sua posizione dominante, imposta agli altri con prepotenza. Così non è. No, perché l'errore fatale di Gary Hart sarebbe potuto capitare a chiunque, non solo a un quasi Presidente degli Stati Uniti d'America. Senza mai essere troppo indulgente e protettivo nei confronti del suo protagonista, Jason Reitman è abilissimo a guardare le cose dalla giusta distanza, a tratteggiare con cura un uomo di famiglia che prende pian piano coscienza dei suoi errori di padre e di marito, ancora prima che di politico. Lui che aveva lavorato con cura zelante alla costruzione di una figura pubblica inattaccabile e invidiabile (e per questo invidiata).

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The Front Runner: Sara Paxton in una scena del film

Lui che era un abile oratore, capace di sbrogliare la nodosa matassa del "politichese" parlando alla gente con parole chiare e accessibili. Verboso (le parole sono importanti anche per gli sceneggiatori) e aperto a una grande pluralità di punti di vista (giornalisti, addetti stampa, stagisti, mogli, figlie), The Front Runner è un tumultuoso andirivieni di cose pubbliche e spazi privati in cui Reitman riesce a fare la cosa più difficile: non schierarsi. Il film non condanna: racconta. Il film non prende una posizione morale (e lo fa per scelta, non per ignavia), ma lascia allo spettatore il compito di trovare dentro di sé la morale etica della faccenda. Di certo rimane il potere deflagrante di un vizio umano. Un vizio che, dato in pasto a una platea voyeur, trasforma un errore in una macchia indelebile.

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Il baratto della politica

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The Front Runner: Hugh Jackman in un momento del film

Schietto, pieno di un'ironia amarognola e con una trama lineare, The Front Runner a metà film si siede un po' e perde ritmo, il che non scalfisce la riuscita di un film interessato a raccontare un punto di non ritorno per la politica contemporanea. Reitman mette in scena un grande compromesso a cui la politica occidentale non ha potuto rinunciare: barattare la sfera privata con il bisogno di popolarità. Negli Ottanta inizia a diventare necessario mettere sul palcoscenico il backstage della persone e non accontentarsi del personaggio ingessato. Bisogna mostrare il bravo padre di famiglia americano, raccontare le origini del buon statista, aprire le porte e dare il benvenuto agli elettori nel cuore intimo del candidato. Una volta fatto questo, una volta che il consenso si costruisce anche grazie al privato in prima pagina, ne vanno accettati i vantaggi, i rischi e le conseguenze.

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The Front Runner: J.K. Simmons in una scena del film

E per quanto possa essere difficile rispondere alla domanda "è giusto giudicare un bravo politico per la sua condotta familiare?", quel baratto resta un solco da cui non siamo più tornati indietro, anzi. Reitman non ne fa una colpa soltanto politica, ma lo rende un fatto sociale. Per questo The Front Runner sembra voler diluire le colpe di questo disastro tra gli errori del singolo e il cinismo di molti, tra la voracità di una stampa che gioca goffamente a fare l'FBI (tra appostamenti e retate) e un pubblico pronto a dimenticare la stima davanti al grande sexgate e al proprio dito indice puntato contro l'illustre vittima di turno. È una storia vera di 30 anni fa che non è cambiata molto. Magari oggi la politica non sarà più come Asteroids, ma si specchia in un western (Red Dead Redemption 2) dove si parla di frontiera. Chissà perché.

Movieplayer.it

3.5/5