In diverse occasioni il cinema ci ha insegnato che in un ascensore può succedere di tutto: ci si incontra, ci si innamora, si diventa prigionieri o addirittura ci si rifugia da un'apocalisse zombie. È uno spazio metaforico per eccellenza, ricco di spunti drammaturgici, e se dentro ci infili due perfetti sconosciuti (almeno all'apparenza) - una dark lady e la sua vittima designata - una storia di vendetta e un duello in real time, il gioco è fatto. È così che bisogna avvicinarsi alla recensione di The Elevator, film in sala dal 20 giugno, opera prima di Massimo Coglitore, regista appassionato di cinema di genere che a differenza di molti altri autori italiani al debutto, compie uno straordinario atto di fiducia e accetta di dirigere una sceneggiatura scritta da altri, nello specifico da Mauro Graiani e Riccardo Irrera, adottando così una consuetudine che invece oltreoceano è prassi diffusa. La matrice è quella del thriller psicologico, che diventa revenge movie, ma passa anche dal dramma interiore scatenato da un misterioso trauma del passato; forse troppe le ingenuità a livello di scrittura, che lo sforzo registico non riesce a compensare.
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Una trama tra thriller psicologico e revenge movie
I titoli di testa lo rivelano sin da subito: il film è "ispirato a una storia vera", quella di un uomo che alcuni anni fa in Brasile iniziò a indagare sulla morte del figlio undicenne, non accontentandosi della verità medica che liquidava il caso come morte naturale. Scoprì un traffico di organi che coinvolgeva un politico e alla fine fu costretto a lasciare il paese.
La trama di The Elevator riparte proprio da qui e sposta la vicenda nello spazio claustrofobico dell'ascensore di un grattacielo di New York, dove vive Jack Tramell, cinquantenne single e celebre anchorman del gioco a quiz "Tre minuti", che ogni sera tiene milioni di americani incollati davanti alla tv.
La vita di Jack scorre tra gli agi di un uomo sprezzante abituato alle luci della ribalta fino a quando la sera del Labour Day, tornando a casa alla vigilia di un lungo weekend che porterà la città a svuotarsi, non rimane bloccato in ascensore in compagnia di una donna misteriosa, Katherine, pronta a tutto pur di compiere la sua vendetta. Sospettato di aver commesso un crimine efferato ai danni di Katherine, Jack si ritrova nel mirino di un gioco al massacro, in cui il quiz diventa strumento di tortura: in ballo la sua stessa vita. Ogni risposta sbagliata gli costerà l'amputazione di una parte del corpo.
Massimo Coglitore firma un thriller psicologico che segue le regole classiche del genere, sa evitare il pericolo della staticità e sfidando i rischi dell'unità di tempo, luogo e azione riesce a mettere in scena una storia che è insieme vendetta, orrore, western da camera e dramma; l'ascensore è nello stesso tempo microcosmo in cui espiare le proprie colpe, prigione e tomba.
Nessuna concessione a macabre mattanze splatter, la violenza rimane infatti confinata fuori campo in uno spazio che evoca le atmosfere di alcuni horror (Saw, Martyrs, Hostel), che rimangono sullo sfondo solo come suggestione. L'intenzione era un'altra: fare di quell'ascensore un luogo di catarsi e un ricettacolo di drammi, ferite, dolori e fragilità che appartengono tanto al carnefice quanto alla vittima.
Gli echi e i riferimenti sono tanti, da Buried - Sepolto a Panic Room, e non può non venire in mente il confronto un po' impietoso con Piano 17 dei Manetti Bros.
Se registicamente infatti, The Elevator si rivela un timido tentativo di innovazione in termini di linguaggio, i problemi nascono laddove la scrittura sacrifica la suspense sull'altare della verbosità: fiumi di parole che hanno l'ansia di spiegare ciò che le immagini avrebbero saputo fare meglio. Dialoghi e situazioni didascaliche soffocano qualsiasi forma di tensione, prosciugando un soggetto che pure aveva del potenziale.
Un cast internazionale
Non giova neanche il doppiaggio, l'unica versione in cui il film sarà distribuito in Italia è quella doppiata; impossibile per il momento assistere a una visione in lingua originale. Sì, perché The Elevator è un film italiano, realizzato con maestranze italiane, ma con un cast internazionale che varrebbe la pena apprezzare senza l'effetto straniante delle voci doppiate.
E i nomi sono di tutto rispetto: nei panni della carnefice spietata, sadica, a volte ironica e con il piglio delle eroine vendicatrici di un certo cinema tarantiniano troviamo Caroline Goodall, attrice britannica nota al grande pubblico per aver lavorato con Steven Spielberg e Gary Marshall; il ruolo del cinico Jack tocca invece a James Parks, figlio di uno degli attori preferiti di Tarantino, Michael Parks, e che con il regista di Pulp Fiction ha lavorato in Kill Bill: Volume 1, Kill Bill: Volume 2, Grindhouse - A prova di morte, Django Unchained e The Hateful Eight.
Menzione di merito per Burt Young, il Paulie di Rocky Balboa qui reclutato nel ruolo di un portiere di notte, che dopo un passato da pugile (non sarà un caso) ha deciso di appendere i guantoni al muro.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di The Elevator con una convinzione: quella di trovarci davanti a un film riuscito a metà. Una storia con del potenziale che inciampa spesso nella verbosità e nel didacalismo, laddove avvrebbe invece giovato un lavoro di sottrazione. Un thriller psicologico che il regista Massimo Coglitore dirige facendo del proprio meglio ed elevando a terzo protagonista della vicenda un ascensore, luogo di espiazione e resa dei conti. Perchè The Elevator è anche un revenge movie al femminile, di cui prende in prestito alcuni topoi.
Perché ci piace
- La sfida dell'unità di tempo, luogo e azione: la storia si svolge nello spazio claustrofobico di un ascensore, che diventa prigione fisica e metaforicamente luogo di espiazione.
- La capacità di combinare le regole del thriller psicologico con gli elementi di un film sulla vendetta.
Cosa non va
- In alcune scene la storia diventa inverosimile, la suspense si allenta e cede sotto i colpi del didascalismo.
- Manca spesso quella sospensione dell'incredulità che permette allo spettatore di sobbalzare dalla poltrona.
- Il doppiaggio posticcio vanifica qualsiasi sforzo attoriale cancellando ogni sfumatura nella caratterizzazione dei personaggi.