Si apre e si chiude con un'esplosione, The Diplomat. Ed è alla ricerca di quella deflagrazione continua, di quei colpi di scena posti al centro di un racconto speculare, che si sviluppa l'intera serie ideata da Debora Cahn (già autrice di Homeland e The West Wing) e ora disponibile su Netflix.
Eppure, come sottolineeremo in questa recensione di The Diplomat, la forza delle parole che abitano e occupano il fulcro di un racconto suddiviso in otto puntate non sempre sgrana gli occhi, e seduce la mente. I piani diplomatici di una narrazione che parla, parla, ma non sempre concretizza, si perdono nello spazio immane di un bucolico paesaggio inglese.
The Diplomat: la trama
Un'esplosione improvvisa e 41 marinai inglesi perdono la vita. È questo il caso che porta Kate Wyler (Keri Russell), ambasciatrice neo-eletta degli Stati Uniti nel Regno Unito, al fine di trovare una mediazione tra il paese di sua maestà e un carnefice da identificare. La donna è brava nel suo lavoro; ha un talento nell'atto della mediazione. Ma se riesce a muoversi con sicurezza e pragmatismo tra momenti di crisi e conflitti internazionali, davanti al marito Hal - a sua volta ambasciatore apprezzato e ambizioso - la donna si fa piccola e insicura. A Londra Kate dovrà cercare di sventare casi internazionali, formare alleanze strategiche e trovare il proprio posto sotto i riflettori, il tutto mentre cerca di far sopravvivere il proprio matrimonio ormai in crisi.
Il teatro della politica
Il mondo della politica è un palcoscenico di maschere dissimulatrici e sguardi enigmatici. La bocca proferisce parole, mentre il dubbio sulle vere intenzioni di quei pensieri avanza, come se nello spazio di sale e riunioni tutti stessero seguendo un copione prestabilito. Ed è nelle vesti di uno spettacolo teatrale nascosto tra le mura di ambasciate e stanze di palazzi, che The Diplomat viene costruito. Nessuna musica ad accompagnare fiumi di parole che trascinano lo spettatore in acque profonde, lasciandolo senza fiato. Parlano e parlano i personaggi di The Diplomat, trainati da un sistema narrativo dove ogni tassello si aggiunge all'altro per istituire un colpo di scena pronto a destare lo spettatore dal proprio torpore, così da disorientarlo e lasciarlo a bocca aperta. Eppure, la bomba a orologeria attentamente costruita e pianificata per esplodere in tempi prestabiliti, non scoppia.
Al suo posto un vortice di botta e risposta su attacchi terroristici e capri espiatori, paesi traditori e ambasciatori da difendere. Ne consegue un crogiolo di pensieri e ipotesi, tattiche e piani diplomatici che si accumulano senza seguire un ordine, raggruppandosi nella mente del pubblico in maniera confusionaria e caotica. È difficile a volte seguire il flusso di coscienza che abita gli spazi della serie di Debora Cahn; ogni battuta si tramuta in mattoncino di un labirinto in cui perdersi è facile, un po' meno lo è ritrovare la giusta via. Intenti a ritrovare il filo di Arianna (o, semplicemente, un filo del discorso) che li aiuti a uscire da tale confusione narrativa, gli spettatori pongono meno attenzione a ciò che viene rivelato loro, indebolendo inconsciamente la potenza intrinseca di ogni punto di svolta, o colpo di scena. Le rivelazioni diventano così dei semplici punti di raccordo in attesa che il prossimo episodio inizi, perdendo di pregnanza, vagando nello spazio di una campagna inglese, o di un bistrot parigino.
Dal "Divo" Andreotti a Churchill, 10 film sui grandi leader politici della storia
Portatori attoriali di parole in circolo
Senza un corpo che le prenda, le studi e dia loro sostanza, le parole che battono come pulsazioni cardiache all'interno di The Diplomat sarebbero solo lettere gettate al vento. Chiamati a rendere vivo un mondo altrimenti piatto, inerme, come un encefalogramma di un corpo esanime, gli attori si dimostrano perfettamente calati nella propria parte. Riempiti di parole, questi interpreti sono comunque riusciti a cucire un abito decorato di personalità e sentimenti complessi, risultando credibili, unici, reali. Keri Russell e Rufus Sewell diventano una versione (anti)diplomatica di una coppia in crisi. Mr. e Mrs. Smith della politica estera, sono due ambasciatori che amano ostacolarsi a vicenda, in un rapporto dicotomico e pieno di spine, che punge e colpisce solo quando le bocche tacciano e gli sguardi si incrociano.
I due interpreti lasciano cadere le maschere rivelando un'espressività mai eccessiva, ma sempre funzionale alle tempeste interne che si abbattono dentro di loro. Ogni gesto reiterato, ogni tic nato in seno a un'ansia incontrollabile, sono tappe fondamentali alla lettura di personaggi perfettamente caratterizzati anche nella loro ambiguità. La calma apparente di un mare in tempesta come quella di Hal; la mano che si tocca i capelli come quella di Kate; la postura impeccabile, quasi regale di Stuart (Ato Essandoh), o la sbruffonaggine del primo ministro Trowbridge (Rory Kinnear) sono tutti piccoli indizi di un processo creativo alla fine del quale un nuovo essere umano prende vita, prendendo il proprio posto in un microuniverso tanto lontano, eppure così vicino, a quello che governa e domina il nostro mondo al di là dello schermo.
The Americans, le spie della porta accanto: perché recuperare una serie imperdibile
Keri Russell e l'arte dell'essere convincenti
È un'attrice poliedrica Keri Russell; ciononostante è innegabile quanto questa interprete si trovi a proprio agio all'interno di un political drama: lo aveva già dimostrato con The Americans e lo riconferma con The Diplomat. Due opere, queste, accumunate da una serie di analogie tematiche e narrative (le relazioni con le altre nazioni; la capacità di negoziazione dei propri protagonisti; un matrimonio in crisi che compromette la professionalità dei due coniugi) ma distanti per una divergenza sostanziale. Se in The Americans la spia russa Elizabeth Jennings (Keri Russell) aveva bisogno dell'altra metà della mela per compiere il proprio destino, in The Diplomat il punto nevralgico dell'intera struttura corrisponde all'anima e al corpo di Kate. Hal è solo un'estensione delle proprie insicurezze e dei propri pensieri, perché è lei, l'ambasciatrice statunitense venuta da lontano, a prendersi il peso di tutta questa struttura diplomatica caricandosela sulla propria schiena.
La sua Kate è solo l'ultima di una portavoce di quella emancipazione femminile avanzata negli ultimi anni da parte di produzioni dove ruoli solitamente designati a personalità maschili, vengono finalmente affidate a una controparte femminile. Eppure, in questo nuovo turnover di genere, anche in The Diplomat nulla è forzato, o ammantato di retorica, ma tutto appare naturale, istintivo, meritocratico, soprattutto perché sostenuto da un personaggio come quello di Kate Wyler e dalla sua interprete, Keri Russell.
È un dialogo diplomatico, assertivo, compiuto alla ricerca di un precario equilibrio tra una sceneggiatura troppo dispersiva, e un manipolo di interpreti perfettamente in parte, The Diplomat. Colti al centro di strutture architettoniche imponenti, e ambienti naturali che contrastano con aride elucubrazioni mentali, e machiavellici intenti politici, i personaggi sono marionette di un'avidità di potere che sconfina dalla cornice televisiva per riflettere sprazzi di realtà di una politica ipocrita, narcisista e autofinanziata dalle proprie ambizioni. Ma qualcosa in questa mediazione di pace va storto, e così la forza verbale di bocche che parlano, e menti che corrono veloci, mandano fuori strada uno spettatore lasciato disorientato ai margini della storia. Solo e abbandonato, il pubblico si mette in attesa di un cliffhanger che lo tragga in salvo, ribaltando quanto di sbagliato lo abbia preceduto, così da lasciare un sapore dolce al palato, ed eliminare il gusto acido di un piatto masticato a forza, ma adesso improvvisamente apprezzato.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di The Diplomat sottolineando come la serie Netflix ideata da Debora Cahn riesca, grazie al talento del proprio comparto attoriale, a tenere per mano il proprio spettatore anche quando questo si perde nella nebbia fitta di parole lasciate girare in circolo. In The Diplomat si parla e tanto; sono tanti i nomi in ballo, complessi i piani da seguire e contorti i passaggi messi in bocca a interpreti capaci con la propria forza espressiva di colmare eventuali lacune e orientare i propri spettatori in un labirinto intricato.
Perché ci piace
- Le performance degli attori, in particolare Keri Russell.
- La profonda ambiguità di Rufus Sewell.
- La quasi totale assenza di musica che infonde all'opera un ulteriore senso di realismo.
- Il finale, capace di ribaltare quanto mostrato di negativo in precedenza.
Cosa non va
- La complessità dei dialoghi e il poco tempo dato allo spettatore di assimilare quanto dettogli.
- I continui spostamenti dei personaggi e la mole di battute che riempiono lo spazio, disorientando lo spettatore.
- La sceneggiatura contorta e a tratti confusionaria.