È con sentimenti contrastanti che ci apprestiamo a scrivere la recensione di The Crown 5, la penultima stagione della serie Netflix dal 9 novembre sulla piattaforma. Innanzitutto perché ogni volta che arriva spazza via qualsiasi altra produzione del colosso dello streaming per qualità e proporzioni produttive. Secondariamente perché ci troviamo ancora una volta di fronte al cambio di cast voluto dal creatore Peter Morgan ogni due stagioni, per non rendere l'invecchiamento dei personaggi posticcio, dovendo così dire addio ai precedenti interpreti e abituarci presto ai nuovi. In aggiunta, alla luce della recente dipartita della Regina Elisabetta II nella realtà e della successione di Carlo III, vedere gli eventi sullo schermo sapendo quanto l'erede dovrà effettivamente aspettare per salire al trono, fa un certo effetto. Eppure questa potrebbe essere la stagione meno riuscita di The Crown, vediamo insieme perché.
Il Sistema
Ancora una volta, anche nella quinta stagione, che si avvicina molto più ai giorni nostri delle precedenti, la serie Netflix ci ricorda come non sia incentrata sulla Regina Elisabetta II, ma sulla Corona inglese. Tutti sono sudditi al Sistema (come viene chiamata in questa stagione), regina compresa, e tutti devono fare i conti con le scelte compiute (o dettate dall'alto) della propria vita. Proprio come faceva Olivia Colman nella quarta stagione, anche l'Elisabetta II di Imelda Staunton si trova a fare un bilancio anagrafico (ha 65 anni quando inizia la stagione) e lavorativo (40 anni di regno) e si domanda se abbia lasciato qualcosa di proprio al mondo, che non fosse ereditato dai predecessori. La risposta, metaforica come tutta la stagione, arriva dal Britannia, lo yacht reale ideato e varato da lei stessa quando era appena diventata Regina. Un mezzo che oramai dà importanti segni di cedimento, tanto da essere messo in discussione il suo stesso senso di esistenza, se vada ancora una volta restaurato con costi altissimi per le casse del governo e dei sudditi, come simbolo della monarchia britannica, oppure dismesso per sempre. Proprio come la storica tv del salotto di Buckingham Palace, dove c'è solo un canale, la BBC, la tv di servizio pubblico inglese (corrispettivo della nostra RAI), che andrebbe sostituita per passare ai molteplici canali della tv satellitare, da Channel 4 a ITV. L'episodio dedicato alla BBC è uno dei più interessanti e struggenti della stagione, poiché parla continuamente per metafore e similitudini della condizione della monarchia inglese, della visione al passato di Elisabetta e Filippo, e della spinta che Carlo vorrebbe darle verso il futuro, soprattutto in previsione di una sua successione al trono. Erano gli anni in cui si vociferava di una possibile abdicazione al trono di Elisabetta vista l'età, per fare largo al primogenito. Una condizione parallela a quella dei primi ministri, soprattutto il Tony Blair di Bertie Carvel - un po' scialbo rispetto a quanto fu il suo corrispettivo nella realtà - più vicino all'età di Carlo dei suoi predecessori, con cui quest'ultimo sperava di entrare in sintonia anche politica.
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Carlo e Diana
Televisione che ha cambiato la percezione dei reali in seguito all'incoronazione, la prima ad andare sul tubo catodico, così come il matrimonio di Carlo e Diana. La quinta stagione di The Crown, com'era facile aspettarsi, è molto incentrata (fin dal poster) sulla coppia dei Principi del Galles, che ha fatto sognare tutto il mondo con una favola, presto caduta in una parabola discendente sempre più oscura, fatta di sotterfugi, ripicche e vendette. Tutti aspetti che portano alla fine del loro matrimonio ma non (come ci si poteva aspettare da questi dieci episodi) alla di lei morte, rimandata alla stagione successiva, che sarà anche l'ultima. Sapevamo già che The Crown non avrebbe coperto il regno di Elisabetta II d'Inghilterra fino alla fine della sua vita, ma ci aspettavamo maggiori salti temporali, come accaduto nelle stagioni precedenti. Elizabeth Debicki dipinge una Diana complessa, contradditoria, affascinante, potremmo dire magica, mentre Dominic West è forse il meno riuscito del cast poiché il suo Carlo sembra prendere troppo poco da quello del suo predecessore Josh O'Connor e troppo dal proprio modo di recitare, che avevamo già visto ad esempio in The Affair. Olivia Williams (la nuova Camilla) prosegue l'ottimo lavoro fatto da Emerald Fennell.
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Imelda Staunton ci regala invece un'Elisabetta stanca, provata e perplessa, che deve fare i conti col mondo che va irrimediabilmente avanti, il popolo che non è più soddisfatto della monarchia e lei che forse, per la prima volta, è rimasta indietro. Un tema attualissimo se pensiamo ai giorni nostri e che già lo era negli anni '90. Un sentimento che si protrae anche sui matrimoni reali che nel periodo raccontato vivevano una profonda crisi - non solo Carlo e Diana, ma anche Anna con Mark Phillips e Andrea con Sarah Ferguson. Interessante e ancora una volta metaforico - questa stagione punta forse un po' troppo su questo aspetto - è l'episodio dedicato al tribunale dei divorzi, in cui quello tra Carlo e Diana alla fine della fiera verrà trattato come tutti gli altri, trascendendo la sedicente identità divina della Corona legata alla Chiesa Anglicana. Un divorzio, quello tra i principi del Galles, che la Regina ad un certo punto si troverà addirittura a chiedere, nonostante fosse sempre contraria, per la quiete sia dell'opinione pubblica che della monarchia, non conoscendo ancora il triste epilogo che li attende. La televisione, insomma, dopo essere stata centrale nell'aspetto favolistico della Corona e della relazione tra i due, diviene centrale per contrappasso anche della fine della stessa, con le rispettive interviste pubbliche rilasciate da Carlo e da Diana in momenti diversi, quasi come se fossero state l'una la ripicca dell'altra. Assistiamo a una guerra reale senza esclusione di colpi, che non riesce a trovare pace.
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Episodi monografici
L'inquietudine è sicuramente il sentimento centrale di questa quinta stagione di The Crown. Un'inquietudine che attraversa tutti i dieci episodi, che propongono un'impostazione più "classica" e con un finale maggiormente legato alla struttura seriale "generalista". Episodi ancor più monografici rispetto al passato, quasi oscurando Elisabetta II che diviene lo specchio in cui si guardano i personaggi e che reagiscono di conseguenza. Particolarmente riusciti sono quelli dedicati a Jonathan Pryce, che ci regala un Filippo estremamente energico, in contrapposizione alla consorte, stanca e che cerca pace e tranquillità, e a Lesley Manville, che propone una Margaret ancora ancorata agli amori del passato, rappresentati da un super affascinante Timothy Dalton. O ancora quello dedicato agli Al-Fayed, Dodi (Khalid Abdalla) e Mohamed (Salim Daw).
Il cast continua ad essere uno dei punti di forza dello show, insieme alle ricostruzioni puntuali, alle scenografie curatissime, ai costumi impeccabili, al trucco e alla fotografia, rendendo il serial un vero e proprio specchio degli anni della Corona inglese. Allo stesso tempo però non tutti gli interpreti sembrano in parte fino in fondo, ed è soprattutto la scrittura di Peter Morgan, lodata fin dai tempi di The Queen, a perdere qualche colpo risultando meno coesa delle precedenti annate. Nella prossima, sesta ed ultima stagione dovremmo vedere messo in scena proprio quanto Morgan aveva raccontato nel film diretto da Stephen Frears, e ci auguriamo sia un finale col botto e che riprenda tutti gli elementi che hanno fatto la fortuna, la forza e l'unicità di The Crown. Anche perché dovremo aspettare solamente un anno e non due per il gran finale.
Conclusioni
Alla fine della recensione di The Crown 5, troviamo come, pur stando una spanna sopra a tutte le altre produzioni originali Netflix, si conferma la stagione meno riuscita finora e allo stesso tempo ci ricorda come la migliore, più avvincente, accattivante e sorprendente, sia stata la quarta. La messa in scena rimane il fiore all'occhiello dello show, mentre scrittura e casting perdono qualche colpo.
Perché ci piace
- Scenografie, costumi, regia e messa in scena sono sempre impeccabili.
- Le metafore dello yacht reale e della BBC per raccontare la parabola della Corona.
- Non dovremo aspettare due anni per l'ultima stagione.
- Il cambio di cast ottimamente scelto...
Cosa non va
- ...anche se non tutti gli interpreti offrono una recitazione in parte, in primis Dominic West e Bertie Carvel.
- La scrittura di Peter Morgan sembra perdere qualche colpo e diventare un po’ ridondante, soprattutto nella struttura degli episodi.