Bloccaggi, strangolamenti, gomiti stretti, corpi che si stringono con forza, si strattonano perfettamente ancorati a terra, vanno a tappeto e si rialzano. In una gabbia da combattimento dell'MMA, le arti marziali miste, su cui Massimiliano Zanin si gioca l'esordio alla regia di un lungometraggio di finzione, dopo le incursioni nel mondo del documentario (Istintobrass e Inferno Rosso) e i quindici anni passati come sceneggiatore e assistente sui set dei film di Tinto Brass. Un classico dramma sportivo declinato interamente al femminile e che ripercorre canoni e tematiche tipiche del genere, pur aprendosi a suggestioni nuove e contemporanee, come leggerete nella recensione di The Cage - Nella gabbia. Dopo la presentazione ad Alice nella Città, durante la scorsa Festa del Cinema di Roma, il film arriva in sala dal 22 febbraio.
Lo sport come liberazione e riscatto
Il cuore di The Cage - Nella gabbia rimane lo sport come opportunità di riscatto sociale ed espiazione: nulla di nuovo nella parabola narrativa dell'outsider che trova su un ring o un campo da gioco, la propria rivincita sul mondo. Ma il film di Massimiliano Zanin si rivela un unicum nel panorama italiano per essere stato il primo a occuparsi di Arti Marziali Miste femminili e uno dei pochi a rendere il ring protagonista di una storia di finzione - qualche anno fa ci aveva provato Fabrizio Moro con un film sulla boxe, Ghiaccio, che aveva riscosso ottimi consensi di critica e pubblico, e anche in quel caso si trattava di un'opera prima. Qui gli anelli del ring cedono il passo alla gabbia, ma il debito verso i classici modelli cinematografici del genere sono evidenti, su tutti l'ombra di Million Dollar Baby: anche in questo caso la protagonista è una donna, Giulia (Aurora Giovinazzo), un'ex-promessa delle Mixed Martial Arts, fuori dai giochi ormai da quando un tragico incidente nella gabbia da combattimento le ha fatto perdere il bambino che portava in grembo.
Una lottatrice che non fa eccezione alla lunga galleria di combattenti segnate dal passato tormentato e traumatico: cresciuta in una comunità di accoglienza, con un padre sparito da un giorno all'altro e una madre morta di overdose, oggi è prigioniera di una relazione tossica con Alessandro (Brando Pacitto), il fidanzato con cui lavora in un piccolo zoo a conduzione familiare. È la vita "tranquilla" che si è scelta dopo quell'ultimo incontro che ha segnato la fine della sua carriera, anche se il desiderio di tornare a lottare nella gabbia di MMA non l'ha mai abbandonata. Un'idea che non piace affatto all'inquieto e problematico compagno di lei, per il quale stare "chiuse dentro una gabbia come degli animali" non è "una roba adatta alle donne". L'unica a supportarla sarà la nuova allenatrice, Serena (Valeria Solarino) con la quale Giulia stabilisce un legame profondo che la sosterrà durante il difficile percorso di liberazione che la porterà dritta all'incontro della rivincita con la bionda Beauty Killer (Désirée Popper).
The Cage - Nella gabbia: Giovinazzo e Solarino lottatrici per liberarsi dalle gabbie sociali
Le interpretazioni muscolari di Valeria Solarino e Aurora Giovinazzo
Restare sotto e saper gestire la situazione, perché "è a terra che si vede se sei una vera fighter" quando l'avversaria ti strangola fino a farti mancare l'aria. È questo che dovrà imparare a fare Giulia, una lotta a terra a gomiti chiusi per superare le proprie paure e liberarsi dalla gabbia in cui rischia di rimanere rinchiusa. La parabola sportiva della protagonista non è solo quella che la vedrà cadere e rialzarsi per permetterne alla fine il riscatto e la rinascita come la narrazione del genere ci insegna, qui quel cammino fatto di duri allenamenti, colpi incassati o assestati, volti tumefatti e corpi aggrovigliati è soprattutto metafora di liberazione dalla morale, dalle convenzioni sociali, dalle gabbie di genere e dai dogmi della religione. Un corpo a corpo estenuante nel corso del quale Giulia lotterà con tenacia per liberarsi dalle gabbie che la opprimono: la comunità religiosa nella quale è cresciuta con le sue convenzioni soffocanti, la relazione tossica con un compagno problematico e controllante, il senso di colpa per aver perso un figlio.
Certo i simbolismi messi in scena da Zanin sono spesso ovvi e ridondanti, come l'insistenza sul parallelismo tra la "cattività" in cui è costretta a vivere Giulia e quella della tigre nello zoo in cui lavora quando non deve allenarsi, ma gli spunti restano originali almeno nelle intenzioni. Il resto è un calco stanco di cliché e situazioni tipiche del genere di riferimento, ma gli attori ce la mettono tutta e ne escono vincenti: l'interpretazione muscolare di Aurora Giovinazzo, che ancora una volta mette il corpo (da campionessa di balli caraibici) al servizio della storia, la spigolosità di Valeria Solarino, l'inquietudine di Brando Pacitto, nei panni del disturbante e contorto Alessandro, uno sguardo sull'abisso. Il tutto sotto la supervisione dell'ex pugile Patrizio Oliva, che qui interpreta l'allenatore Salvo.
Conclusioni
Come già ampiamente spiegato nella recensione di The Cage – Nella gabbia, l’esordio di Massimiliano Zanin ha sicuramente il merito di aver portato per la prima volta la gabbia da combattimento dell’MMA al centro di una storia di finzione. Un classico dramma sportivo declinato interamente al femminile che ripercorre canoni e tematiche tipiche del genere, ma capace di aprirsi a suggestioni nuove e contemporanee: la parabola sportiva della protagonista non è solo metafora di un percorso di riscatto, ma è anche liberazione dalla morale, dalle convenzioni sociali, dalle gabbie di genere e dai dogmi della religione. Nel complesso un film che si lascia godere, peccato per qualche didascalismo di troppo e aver lasciato poco spazio a figure che ne avrebbero meritato di più.
Perché ci piace
- Un classico dramma sportivo declinato interamente al femminile.
- La capacità di aprire il genere a suggestioni nuove e contemporanee: il conflitto di genere, la mascolinità tossica, l’oppressione delle convenzioni sociali e religiose.
- Le interpretazioni del cast.
Cosa non va
- La combinazione della dimensione simbolica e di quella realistica appare spesso ridondante, il rischio è quello di banalizzare e didascalizzare il tutto.
- Una riproposizione stanca di cliché e situazioni tipiche del genere di riferimento.
- Molti personaggi che restano sullo sfondo avrebbero meritato più spazio.