Se c'è una persona con cui è interessante approfondire i temi di una serie tv, non può che essere il suo showrunner, quella figura così particolare che tiene le fila di tutto ciò che accade e assicura continuità e compattezza. Per The Boys questa figura è Eric Kripke, già creator di Supernatural e Revolution, responsabile ora di aver adattato con intelligente il fumetto provocatorio di Garth Ennis per Amazon. Con lui abbiamo approfondito i temi della serie, con particolare riferimento a The Boys 2 che è resa disponibile sulla piattaforma streaming con cadenza settimanale dal 4 settembre al 9 ottobre.
The Boys 2, tra personaggi e cameo
Che ci dici dell'apporto di Giancarlo Esposito in questa nuova stagione?
Giancarlo è un attore brillante e alza il livello di quello che scrivo. Ho lavorato con lui per Revolution qualche anno fa e per fortuna ha acconsentito a collaborare nuovamente con me. Il suo personaggio rappresenta la serietà di Vought come multinazionale per me, il capitalismo di quella multinazionale, mentre Madeline Stillwell era un manager di talenti, che si prendeva cura di loro, si complimentava con loro e li gestiva. Star Edgar è il CEO di una compagnia di armi e prodotti farmaceutici e ritiene i supereroi un mero intrattenimento per bambini di cui occuparsi. Abbiamo parlato molto di come Rupert Murdoch doveva sentirsi riguardo 20th Century Fox, una vera azienda che faceva veri soldi con il reparto d'intrattenimento, e per lui doveva essere una perdita di tempo e non l'avrebbe presa seriamente. Stan Edgar si sente così a proposito dei supereroi. Ovviamente non è così per il Patriota, che era una delle persone più importanti al mondo, anche perché così l'ha fatto sentire Stillwell, ma ora che lei non c'è più si rende conto di essere solo un piccolo ingranaggio in una macchina enorme.
Abbiamo visto Haley James Osment nella prima stagione e in The Boys 2 c'è Patton Oswalt. Ho sentito che hai avuto contatti con Jeffrey Dean Morgan, possiamo aspettarci di vederlo nella terza stagione?
Sì, abbiamo diversi cameo in The Boys 2. C'è Patton Oswalt, c'è ovviamente Giancarlo e abbiamo un paio di altre sorprese. È stato più facile della prima stagione, dove la logica di selezione per finire nella serie era "chiunque abbia richiamato Seth Rogen". Quest'anno avevamo fan della serie che contattavano noi ed è stato divertente. Per quanto riguarda Jeffrey Dean Morgan, ne abbiamo parlato, ci siamo scambiati molti messaggi per capire come organizzare la cosa, ma devo mettere in guardia tutti: il Covid-19 ha rovinato un po' tutto. Il suo cameo o ruolo è una delle cose, tra le tante, che Covid-19 ha rovinato, ma se la quarantena viene sospesa e qualche altra cosa va al posto giusto, ne riparleremo.
Cosa puoi dirci di Stormfront e dei nuovi personaggi?
Ne sono stato contento per un paio di motivi. Prima di tutto Stormfront è un personaggio che è presente nel fumetto, ma ne abbiamo cambiato il genere da uomo a donna. L'abbiamo fatto perché abbiamo voluto creare consapevolmente il peggior nemico del Patriota e doveva essere qualcuno che non dovesse aver paura di lui e potesse rubargli la scena, perché lui è una voragine di insicurezze, qualcuno che potesse tormentarlo. Anche se Stormfront ci appare ragionevole, al terzo episodio gli piomba addosso come una palla da bowling e si capisce che non è un personaggio così piacevole, così attraverso di lei possiamo parlare di alcuni dei temi del nazionalismo bianco che sono presenti nel fumetto e applichiamo alla società contemporanea. Credo che sia molto pericoloso quello che alcune ideologie stanno facendo nella cultura odierna, che sfruttano social media e mezzi di comunicazione, appaiono come liberi pensatori e attraggono molta gente e giovani. Non sono più i vecchi antiquati o campagnoli dell'America degli anni '60, ma si presentano impacchettati in modo moderno. Questa è stata l'ispirazione per Stormfront.
Il genere che parla del mondo
La serie parla di supereroi, ma critica molti aspetti della società americana. Pensi che il genere aiuti ad affrontare questi temi così delicati?
Sì, penso che lo faccia in due modi molto importanti. In generale tutta la buona fantascienza o il fantastico sono metafore del mondo in cui viviamo. I miei eroi sono quelli come Rod Sterling, che usava la fantascienza per parlare di cose di cui non avrebbe potuto se si fosse limitato a scrivere narrativa. Questo vale anche per questa serie. Ho iniziato a lavorarci semplicemente perché volevo prendermi gioco dei supereroi, ma facendolo mi sono reso conto che parlava del momento esatto che stiamo vivendo in America, in cui autoritarismo e celebrità sono combinati e in cui la gente usa i social media e i reality per promuovere il fascismo. Di questo parla la mia serie, in cui gli eroi sono intrinsecamente fascisti, perché vogliono controllare la popolazione e usano film, televisione e intrattenimento per sviluppare il loro programma, manipolare il pubblico e portare avanti i propri interessi. Insieme agli scrittori della serie abbiamo capito di poter usare la serie per parlare di tutto ciò che sta succedendo del mondo. Pensate a cosa c'è nelle news in questo momento e di come nella stagione 2 parliamo di xenofobia, di come le figure di spicco spaventano la gente per poterla controllare. La stagione 3 non parlerà in modo specifico di Covid-19, ma lo vedrete rappresentato metaforicamente nella serie, in un modo o nell'altro. Per me è una fortuna avere una serie che mi permette di fare tutto questo e sfogare la mia frustrazione.
Ci sono stati diverse incarnazioni di supereroi ironici, come Deadpool, ultimamente. Ti hanno influenzato in qualche modo nel lavorare a The Boys?
Non realmente, perché abbiamo lavorato alla serie molto a lungo e già eravamo operativi quando Deadpool è uscito. Alla fine tutti annusiamo la stessa aria e c'era questa preponderanza di supereroi che andava affrontata, così come è accaduto nel mondo del fumetto con autori come Alan Moore, Garth Ennis e Neil Gaiman che hanno iniziato a decostruirli. La stessa cosa sta accadendo nel mondo del cinema e della televisione.
Ho letto che Sam Raimi ti ha consigliato di mettere in piedi personaggi che ami e poi torturarli. È quello che stai facendo nella seconda stagione?
Sì, direi che stiamo sicuramente torturando i nostri personaggi quest'anno! Quando arrivi alla seconda stagione di una serie, un errore comune è cercare di fare le cose più in grande, ma non è sostenibile e ti ritrovi presto a fare il salto dello squalo, a fare cose stupide. Quel che bisogna fare è cercare di andare più a fondo e mettere alla prova i tuoi personaggi, di rendere le cose più difficili per loro, in modo da non aver bisogno del grande spettacolo. Hai bisogno di una storia più intensa e incentrata sui personaggi, ed è quello che abbiamo fatto con The Boys 2: abbiamo pensato a quale potesse essere il peggior incubo per ognuno di loro e l'abbiamo realizzato. Per tutti loro c'è una maggior pressione, sono tutti alle strette e disperati, e le persone disperate rivelano nuovi aspetti di sé, perché sono costrette. Questo è stato l'obiettivo della seconda stagione.
La serie può diventare ancora più scioccante nella terza stagione? Ci sono limiti che non hai ancora superato?
Sì e no. Non è quello il nostro scopo, per i motivi che ho spiegato prima. Bisogna avere una consapevolezza dei personaggi e di quello che stanno vivendo, in modo da trovare qualcosa che sia veramente scioccante per loro e in tal senso non c'è nulla che eviteremmo a prescindere. Va dato ad Amazon credito per averci dato abbastanza corda con cui impiccarci e abbiamo intenzione di usarla tutta.
La musica e il passato
Da Supernatural a The Boys, musica e canzoni sono una parte importante delle tue serie. Ci racconti come ci lavori e come hai scelto le canzoni per la seconda stagione?
La musica è molto importante per me, e non solo come produttore televisivo, ma proprio come appassionato. Ascolto molta musica e la trovo qualcosa di fondamentale. Non la pensiamo in fase di scrittura, però, è un lavoro che facciamo con i montatori. Stiamo lì e proviamo moltissime canzoni, dozzine, per ogni particolare momento finché non troviamo quella che funziona. Ormai mi conoscono e sanno che non devono propormi canzoni scritte dopo il 1983. Molte serie usano canzoni attuali, ma trovo che nove volte su dieci quella musica sia superata un anno o due dopo l'uscita e nessuno l'ascolta più. Per me è molto più efficace usare canzoni che hanno superato la prova del tempo, che siano senza tempo che tu le ascolti ora o tra dieci anni. Rende la serie più mitica e a sua volta senza tempo. Abbiamo perso molto tempo a scegliere accuratamente le canzoni della seconda stagione di The Boys.
Cosa cambia tra lavorare a una serie di cui produrre venti episodi a stagione e una come The Boys che ne ha otto?
Sono infinitamente più contento di fare otto episodi all'anno piuttosto che 23. Non c'è paragone! Non tornerei mai indietro e quel periodo della mia vita è finito. Sia chiaro, non è meno lavoro, perché ti ritrovi a scrivere e riscrivere e mettere a fuoco ogni dettaglio di otto blocchi di storia piuttosto che 23, perché puoi far progredire la storia in ognuno di essi, mentre quando ne fai venti e passa è inevitabile che ci siano dei riempitivi, perché non puoi sostenere una buona storia per un numero così elevato di ore. È meglio dal punto di vista creativo, più efficace. Se la gente sapesse quanto era caotica la realizzazione di Supernatural, sarebbe terrorizzata. Mi ritrovavo a scrivere scene che sarebbero state girate 24 ore dopo. Non hai il tempo di pensare. A volte porta a momenti brillanti, perché senza avere il tempo di riconsiderare ciò che si è fatto, ci si ritrova con situazioni che con più tempo non avresti inserito. Ma per la maggior parte dei casi, avere la possibilità di ripensare una scena è un'ottima cosa e con soli otto episodi puoi farlo. Il risultato finale è un prodotto migliore e se guardi alla qualità delle produzioni da network contro quelle dei canali a pagamento o streaming è mediamente più elevata, perché hanno più risorse e meno episodi.