Intrighi-tradimenti-cospirazioni (e parenti serpenti). Ancora. La serialità americana è stata sedotta dalla soap in costume elevata da cospicui budget e pretese ricostruzioni storiche. Il fascino corrotto e sfarzoso di I Tudors - Scandali a corte di Michael Hirst si insinua ancora alle corti della cable, le lotte per i vertici del potere conditi da delitti e depravazioni imbandiscono il banchetto al quale si servono festosamente il superbo fantasy "medievale" Game of Thrones, la riscrittura camp dei miti arturiani Camelot (co-prodotto da Hirst), e la sontuosa ricostruzione storica The Borgias (indovina un po', co-prodotto da Hirst). Showtime, seppellito Enrico VIII Tudor, si lascia sedurre da Rodrigo Borgia (poi papa Alessandro VI), e dai suoi figli, figure contorte e affascinanti del Rinascimento italiano, che i contemporanei additarono come mostri di manipolazione e perversione, sebbene non fossero corrotti né più né meno dei loro accusatori. I posteri sono ancora morbosamente attratti dal papa presunto incestuoso con la figlia Lucrezia, a sua volta accusata di insaziabile lussuria e pratiche "velenose", e dal figlio Cesare, stratega così voluttuosamente ambizioso e magnetico da incantare il contemporaneo Machiavelli.
The Borgias, dramma storico già rinnovato per la seconda stagione, contempla una prima composta da nove episodi tutta basata sull'oscuro fascino della famiglia di origini spagnole che conquistò Roma a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento. Il gusto dell'intrigo politico condito dall'eleganza dei suoi perpetratori, deviazioni innominabili, avvelenamenti, macchinazioni, soprusi elaborati come le vesti dei nobili e ricercati come gli arredamenti di un Vaticano piagato dalla simonia blandiscono un pubblico che si crede legittimato dalla confezione superba e da un soggetto ammantato di veridicità storica a prendere le distanze dalle telespettatrici-casalinghe avide di telenovela à la Cuore selvaggio. La sigla vagamente alla Spartacus già gronda seduzione, inganno e la promessa del guilty pleasure, tuttavia i titoli di testa citano nientemeno che Neil Jordan come produttore esecutivo e Jeremy Irons protagonista. Jordan è uno che ha donato al Cinema In compagnia dei lupi e La moglie del soldato, Irons sarà sempre oggetto di idolatria per il cronenberghiano Inseparabili, questi da soli dovrebbero bastare ad abbattere ogni pregiudizio. O forse no.
L'audience americana è più facilmente sedotta dalla messa in scena di The Borgias, per quella specificatamente italiana la serie cade sotto parametri di giudizio differenti: un patrimonio culturale e conoscenze storiche più precise - per noi è più facile riconoscere le numerose licenze narrative - ci rende più disincantati (con il rischio di associare The Borgias a uno sceneggiato della Rai incredibilmente osceno), e soprattutto soffriamo di un distinto fastidio per le raccapriccianti pronunce di nomi e luoghi (orrore riservato a chi segue in originale). L'insieme contribuisce sensibilmente a privare la serie dell'allure che la avvolge estasiando l'audience statunitense che, tuttavia, può oggettivamente godersi un prodotto di alta fattura divertentissimo e di grande intrattenimento, con un cast... ambivalente. Jeremy Irons, spregiudicato Rodrigo spagnolo disposto a ogni nefandezza per il papato di solito spartito tra le famiglie romane (Orsini e Colonna in testa), affezionatissimo ai figli ma spietato nello sfruttarli come pedine politiche, vanta la pronuncia italiana peggiore del cast e viene costretto da esigenze di copione a scene involontariamente risibili (la visione, nel delirio del senso di colpa, di Lucrezia versione madonna immacolata, certi numeri tra le lenzuola con Giulia Farnese). Si voleva vedere ben altro da un attore e da un personaggio così maestosi e sfaccettati, tuttavia è François Arnaud, attore televisivo canadese cui è andato il ruolo del carismatico e imperscrutabile Cesare Borgia (il realtà secondogenito e non primogenito di Rodrigo) a deludere maggiormente. Il carisma, la determinazione, il mistero di una personalità in grado di sedurre uomini e donne poco traspaiono dallo scarso appeal e dalla bellezza anonima di Arnaud, tanto che il duca Valentino di carta degli shojo manga (e parliamo della mediocre Madonna della Ghirlanda di quella sciamannata della Saitō, non solo di Cesare il creatore che ha distrutto della lucida Sōryō) è più suggestivo di questa versione televisiva. Al contrario, toglie il fiato un personaggio secondario (prodigiosamente incarnato nello sparuto inglese Sean Harris) come il fedele sicario di Cesare Micheletto (Michelotto Coreglia, in realtà conobbe il Borgia in ambiente universitario) dal volto scavato dal peccato e dalla morte, in grado di offrire uno sguardo raggelante su di una figura oscura, lacerata, imperscrutabile nelle sue ragioni e moventi. Altrettanto attraente - in modo parecchio malsano - il principe Alfonso di Napoli, morboso, provocatore e lucidamente folle nell'interpretazione di Augustus Prew, capello a paggetto e voce melliflua alla Malcolm McDowell. La giovanissima ed eterea Lucrezia ha il volto di Holly Grainger - irriconoscibile rispetto alla timida outsider Ruby di Demons per ITV - pedina del padre Rodrigo, intelligente e consapevole del proprio destino, oggetto delle illazioni più fantasiose di contemporanei e storici, qui offerta come moglie a un Sforza prevaricatore e assatanato (anche se: il matrimonio non fu consumato a lungo - ufficialmente mai - e Lucrezia si innamorò del messo del padre e non del giovane stalliere con la pelle scura di Luke "Skins" Pasqualino).
In contrasto con l'iconografia tramandata, la matronale e bionda locandiera Vannozza, amante ventennale di Rodrigo e madre di quattro dei suoi figli, è compressa nella figura esile di Joanne Whalley-ex-Kilmer- serialmente lanciatissima e regale guest star "monegasca" di Gossip Girl - compagna del Borgia costretta nella serie a sopportare la relazione di questo con la giovanissima Giulia Farnese. Questa figura, con cui Rodrigo mantenne sempre ottimi rapporti, maritandola a compagni di copertura e sgravandola della responsabilità dei figli, viene trasformata in partner rifiutata, gelosa e avvezza a scenate, a voler rimarcare la tendenza soap operistica della serie. L'indulgenza nei confronti di Alessandro VI è evidenziata anche dalla riscrittura della sua relazione con la bella Farnese (Lotte Verbeek): Jordan preferisce mostrarci Rodrigo salvare Giulia da un matrimonio orribile per farne la sua amante e la confidente della figlia, piuttosto che narrare la folle mania possessiva del papa ormai sessantenne per la 14enne da lui stesso condannata a un'unione di copertura con il ributtante Orsino Orsini. The Borgias piega alle proprie esigenze la realtà storica già di per sé sufficientemente scandalosa per essere tradotta in finzionalità e già abbondantemente asservita alla morbosità dei tempi, ma non deve sforzarsi di di tradurre le dinamiche del potere rinascimentale in specchio dei tempi contemporaneo. Il pubblico nostrano certamente sogghigna tristemente alla nomina da parte di Rodrigo di una dozzina di cardinali ordinati dal nulla solo per premiare alleanze politiche. L'historical drama di Jordan, per quanto scarso ad accuratezza storica, comprensibilmente seduce e appaga il pubblico americano incantato da un allestimento impeccabile, nonché l'audience italiana meno puntigliosa e incurante dell'inaccuratezza storica, altresì lieta di cedere al guilty pleasure insito nella visione di pentolate di intrighi mirabilmente confezionati. Inoltre, presto si presenterà l'occasione di passare ai confronti con i Borgia di Tom Fontana (nel suo curriculum Homicide, Oz, You Don't Know Jack), scabrosa serie europea prodotta da Canal + di cui verranno presentati i primi due episodi (di 12) su Sky Cinema prossimamente.