Non ti ho tradito, dico sul serio. Ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c'era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c'è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette, non è stata colpa mia, lo giuro su Dio!
Erano in missione per conto di Dio. E la missione è compiuta: The Blues Brothers, che oggi compie 40 anni (usciva nelle sale americane il 20 giugno 1980), è diventato un cult movie, e non a caso è entrato a buon diritto tra i film del nostro libro Cult. I film che ti hanno cambiato la vita. La frase qui sopra è una delle battute simbolo del film. E allude a un disastro. E The Blues Brothers è uno di quei gloriosi film che si sono trovati spesso sull'orlo del baratro, ma sono riusciti a entrare nella storia del cinema, a fissare i suoi personaggi come icone. The Blues Brothers è qualcosa di unico, un film che sfugge ai generi. È stato definito il primo kolossal comico-musicale della storia del cinema, costato all'epoca 30 milioni di dollari. È uno di quei casi in cui le congiunzioni astrali per un grande film ci sono tutte: una comicità demenziale e irresistibile, due attori unici come John Belushi e Dan Aykroyd, il loro look inconfondibile, la regia di John Landis, una serie di apparizioni ad effetto, e la grande musica: il blues.
Il blues e un omaggio bianco alla cultura musicale nera
Partiamo proprio da qui, per entrare in un territorio quanto mai attuale. Perché The Blues Brothers è stato un grande tributo bianco alla cultura musicale nera. Il blues e il soul sono il "credo" che permea tutto il film, nella loro versione più energica e coinvolgente, ne dettano il ritmo, sono la colonna sonora e danno vita a grandi numeri musicali. The Blues Brothers non è un musical, come spesso viene definito, ma è un film estremamente musicale, dove la musica è il fine, il mezzo, l'anima del racconto. E, soprattutto, l'omaggio alla musica nera non è di quelli teorici, non è fatto di citazioni furbe. È sentito, sincero, ed è realizzato portando in scena i più grandi della musica nera: James Brown, Cab Calloway, Ray Charles e Aretha Franklin, che si esibisce, in pantofole, nell'indimenticabile Think (senza contare Big Walter Horton, Pinetop Perkins e John Lee Hooker). E pensare che avrebbero potuto non esserci: nessuno di loro, a parte Ray Charles, aveva avuto grandi successi e la produzione chiese a Landis di sostituirli. Non lo fece. E questa fu una delle cose che fece lievitare un budget che stava già crescendo a dismisura. In The Blues Brothers si ascoltano canzoni immortali come Gimme Some Lovin', Everybody Needs Somebody to Love, Sweet Home Chicago e Jailhouse Rock, solo per citarne alcune.
John Belushi e Dan Aykroyd: dal Saturday Night Live al cinema
I protagonisti, Jake e Elwood Blues, erano nati dal genio di John Belushi e Dan Aykroyd, che li avevano lanciati durante il Saturday Night Live (era stato Howard Shore ad avere l'idea del nome). Nel 1978 John Belushi era una star assoluta grazie al successo di Animal House e del suo numero dei Blues Brothers nel famoso programma televisivo. Una volta saputo che si sarebbe fatto un film sui Blues Brothers, le major si "litigarono" il film, e la spuntò la Universal. Della sceneggiatura si occupò Dan Aykroyd. Che però... non era uno sceneggiatore. Il risultato fu uno script pieno di descrizioni, backstory dei personaggi, descrizioni di riprese, per un totale di ben 324 pagine, il triplo di un copione medio. Aykroyd, rendendosene conto, lo recapitò dentro la copertina di un elenco del telefono... Alla sceneggiatura poi mise mano John Landis, il regista che era stato scelto per aver diretto Belushi in Animal House. La storia è semplicissima: Jake (John Belushi) e Elwood (Dan Aykroyd) devono recuperare 5mila dollari per pagare le tasse e salvare l'orfanotrofio in cui sono cresciuti. Per questo vogliono rimettere insieme la loro blues band. Ma metteranno ferro e fuoco Chicago.
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I Blues Brothers: un look entrato nell'immaginario
Belushi e Aykroyd sarebbero entrati nell'immaginario collettivo grazie al look inconfondibile dei loro personaggi: l'abito nero, la camicia bianca e la cravatta stretta e lunga, gli occhiali Ray-Ban Wayfarer scuri e il cappello nero ben calcato in testa. I grandi film sono anche quelli in grado di imprimere nella cultura le icone e The Blues Brothers è uno di questi. Tranne che nelle scene in prigione, l'Elwood di Dan Aykroyd, non si toglie mai gli occhiali e Jake, John Belushi, non si toglie mai il cappello, e indossa anche lui gli occhiali a lungo. All'epoca la cosa fu notata dal critico del Washington Post: disse che era un'"imbecille stramberia" nascondere gli occhi espressivi di Belushi con degli occhiali da sole (e non fu l'unica delle recensioni negative). Ma quegli occhiali, in realtà, salvarono spesso le riprese, quando Belushi arrivava sul set sotto l'evidente effetto di droghe.
John Belushi, la droga e il budget
Sì, quello di John Belushi con la droga è stato uno dei grandi problemi dalla lavorazione del film, e anche una delle cause della lievitazione del budget (non dimentichiamo, però, le 13 Bluesmobile utilizzate, di cui una costruita solo per essere distrutta, e il record detenuto a lungo per il film con il maggior numero di auto danneggiate...). Le continue feste di Belushi, le nottate in giro per Chicago a base di droga e alcool, portavano a continui ritardi sul set. Belushi spesso non rispondeva alle chiamate di inizio riprese, veniva trovato addormentato nella sua roulotte, o si presentava in stato di semiincoscienza. Una volta fu trovato addormentato sul divano di una casa vicino al set, dopo che ne aveva saccheggiato il frigorifero. Belushi e Aykroyd crearono un bar privato, il Blues Club, dove invitare amici e membri del cast, e dove i baristi erano in grado di procurare qualsiasi sostanza stupefacente.
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Carrie Fisher al naturale
A raccontare questo aneddoto fu Carrie Fisher, la ragazza di Aykroyd del tempo. A un certo punto John Landis chiese a lei di controllare che Belushi stesse lontano dalla droga. Sapendo i problemi che l'attrice avrebbe avuto con le droghe, la cosa oggi suona piuttosto beffarda. The Blues Brothers è stata anche una delle prime occasioni di vedere Carrie Fisher al "naturale", in abiti contemporanei, dopo i famosi costumi e le acconciature della principessa Leia Organa di Guerre stellari e L'impero colpisce ancora. In The Blues Brothers Carrie Fisher è bellissima: guardate la famosa scena del monologo delle "cavallette". Carrie Fisher indossa un semplice maglioncino di lana e ha i capelli sciolti. A risaltare sono gli occhi e le labbra carnose e lucide. Il sorriso non è più quello dolce di Leia, ma un ghigno indotto dall'esasperazione... Il monologo di John Belushi, in quella scena, fa il resto, ed è l'apice di una serie di battute cult ("Il pistone è andato". "Ma ritorna?").
Da set catastrofici nascono grandi film
Apocalypse Now ce lo ricorda: molto spesso, da set catastrofici nascono grandi capolavori. E così The Blues Brothers, accolto in maniera tiepida - per usare un eufemismo - dalla critica (il Los Angeles Times scrisse che era un "disastro da 30 milioni di dollari" e il New York che era una "saga presuntuosa"), ebbe la sua rivincita, e oggi è considerato un cult assoluto. All'epoca ci aveva preso più Variety, che accostava la comicità dei due fratelli Blues a quella di Gianni e Pinotto. Ma la grandezza di The Blues Brothers non è solo qui. Come scrive Paola Malanga è "un attentato dinamitardo all'America che vuole chiudere a chiave l'animo ribelle degli anni Settanta. E probabilmente buttare la chiave". Il cinema americano degli anni Settanta, quello geniale e immaginifico della New Hollywood, si sarebbe presto trasformato in un altro cinema, più muscolare e commerciale, e l'America negli anni Ottanta sarebbe diventata quella di Ronald Reagan. Nell'America di oggi, quella di Donald Trump e di una tensione etnica e sociale insostenibile, The Blues Brothers è un film ancora più importante: un omaggio, sentito e non dettato da disclaimer e trovate politically correct, alla cultura black. Una storia che racconta come in America anche la cultura dei bianchi ha radici nere, e che quella cultura, in realtà, è da decenni fonte di ispirazione per tutti, è patrimonio di bianchi e neri. E che possono stare uno accanto all'altro, come su un palco, come in una grande blues band.