Álex de la Iglesia è tornato e con lui si ripropone il suo immaginario esplosivo e debordante. Negli anni il regista basco ci ha abituato a pellicole grottesche, ultraviolente, ridicole, completamente deliranti. Con la maturità De La Iglesia ha imparato a controllare la locura, quella follia radicata nella cultura spagnola che permea l'opera dell'autore, incanalandola in una critica sociale sempre più aspra. Con The Bar il regista torna a puntare il dito contro le bassezze dell'umanità realizzando un film a tesi in cui si mostra come, in situazione di pericolo, gli uomini siano capaci di tirare fuori il peggio di sé.
Il bar in cui è ambientata la pellicola di Alex de la Iglesia si trova nei pressi della Gran Via, arteria principale di Madrid, ma potrebbe essere in qualsiasi altra città. Pur essendo ben poco elegante, il locale si trova in una zona di passaggio e raccoglie una clientela variopinta che ogni mattina attraversa le porte di vetro per fare colazione o bere un caffè prima di recarsi al lavoro. Il variegato campionario umano riunito in un luogo chiuso e messo di fronte a una situazione di pericolo è un topos del cinema action-horror e de la Iglesia, ben consapevole della tradizione, torna a esplorarlo per dimostrare come l'impulso primario che muove l'umanità sia l'odio.
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Virus letale
Nell'indicare le fonti di ispirazione per The Bar, Alex de la Iglesia cita Luis Buñuel e John Carpenter, ma a una prima visione del film viene piuttosto in mente il George A. Romero de La notte dei morti viventi o La città verrà distrutta all'alba. Coi tempi che corrono, però, la storia lascia spazio alla cronaca: dopo aver assistito all'uccisione a sangue freddo di uno degli avventori del bar, freddato con un colpo di fucile, e dopo che l'evento si ripete con un secondo uomo, nel bar sono in molti a pronunciare la parola terroristi. La reazione parossistica che ne consegue vede clienti e gestori del bar d'accordo nell'aggredire il giovane hipster Nacho (Mario Casas) perquisendo il suo zaino e distruggendo il suo hard disk, scambiato per un ordigno esplosivo, solo perché porta la barba lunga. Alex de la Iglesia rinuncia al realismo prediligendo fin dall'incipit toni grotteschi e caricaturali. Vedendo, però. questi uomini bloccati nel bar in una situazione di pericolo la mente corre agli attentati di Parigi del 2015.
Il legame con l'attualità stavolta travalica le intenzioni dell'autore. Alex de la Iglesia stesso confessa di aver scritto il film prima degli attentati, ma di averli presenti in mente mentre girava. Dal momento, però, che l'adesione a un genere richiede precisi ingredienti e che l'ipertrofico cinema del regista basco rifugge la semplicità, ecco che de la Iglesia innesta un nuovo filone narrativo con la scoperta da parte degli avventori del bar di un uomo sofferente nel bagno. L'uomo, che poco dopo esce di scena con una morte raccapricciante, risulta essere un ex militare di servizio in Africa. Analizzando il suo cellulare, il gruppo apprende che a ucciderlo è stato un virus letale - anticipato peraltro nei suggestivi titoli di testa - e il contagio rischia di espandersi. Per sventare il rischio epidemia la polizia impedisce a chiunque di entrare e uscire dal bar usando, dove necessario, la violenza.
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Galleggiando nel gore
Per garantire il necessario campionario di umanità varia, Alex de la Iglesia attinge al suo parterre di attori abituali. Abbiamo la battagliera barista Amparo (Terele Pávez), gli ex agenti di polizia Andres (Joaquín Climent) e Sergio (Alejandro Awada), un uomo d'affari di mezza età, la timorosa Trini (Carmen Machi), Nacho, la bella e saggia Elena (Blanca Suárez) e l'imprevedibile Israel, ascetico barbone piombato nel bar in cerca di soldi o di una colazione gratis. Fin dall'incipit comico del film, scandito da una raffica di battute, de la Iglesia delinea le varie dicotomie da cui scaturirà il conflitto tra i personaggi: maschi contro femmine, ricchi contro poveri (il barbone Israel, in questo caso), giovani contro vecchi, belli contro brutti. Il primo decesso fuori dalla porta del bar innesca una spirale che trascinerà i personaggi nel baratro della follia facendo emergere il loro vero io. Di fronte alla morte ogni uomo è pronto a sacrificare gli altri per salvare se stesso. Allo stesso modo i clienti del bar di Alex de la Iglesia si trasformano in belve pronte a tutto pur di sopravvivere, dimenticando pietà e solidarietà.
Se a livello tematico la carne al fuoco è tanta, sul piano stilistico Alex de la Iglesia preme il piede sull'acceleratore del gore. Il risultato è un tripudio di liquidi corporei che colano in faccia allo spettatore dando vita a sequenze disturbanti, spesso disgustose. Il regista basco ama gli eccessi, ma stavolta mette in scena un caos controllato. La scelta di concentrare l'azione in interni permette a de la Iglesia il controllo totale sulla narrazione e la perfetta gestione della suspence e genera sequenze claustrofobiche da cardiopalma. Con un uso sapiente della macchina da presa, il regista guida lo sguardo dello spettatore passo passo, manipolandolo a suo piacimento. La maestria tecnica del cineasta trova sfogo nelle spettacolari sequenze ambientate nelle fogne sotto il bar, dove si consuma l'atto finale del film. Pur senza troppe pretese, The Bar colpisce nel segno veicolando una profonda riflessione sulla società contemporanea. E lo fa mentre strappa risate e urla di raccapriccio. Dio benedica Alex de la Iglesia!
Movieplayer.it
3.5/5