Ascesa, caduta, rinascita. È un percorso narrativo paradigmatico quello attraversato da Noah Solloway: padre di famiglia, (ex) marito fedifrago e docente con ambizioni letterarie destinate ad essere coronate da un sensazionale successo. Il personaggio interpretato dall'attore britannico Dominic West fin dall'ottobre 2014 rappresenta tuttora il cuore pulsante di The Affair, sofisticato dramma sentimentale dai risvolti noir sviluppato da Sarah Treem e Hagai Levi per Showtime, di cui è appena cominciato il terzo capitolo dopo i consensi delle scorse stagioni e la vittoria di tre Golden Globe.
In questi due anni abbiamo assistito alla passione dirompente fra il protagonista e la giovane cameriera Alison Lockhart (Ruth Wilson), che avrebbe provocato la rottura dei rispettivi matrimoni; alla consacrazione di Noah come nuovo talento della scena letteraria grazie a un roman à clef intitolato Descent; e alla voragine in cui è precipitata l'esistenza dell'uomo, fra impulsi autodistruttivi e quel tragico incidente che è costato la vita a Scott Lockhart (Colin Donnell), cognato di Alison: incidente di cui Noah si era assunto la colpa in tribunale, benché non fosse lui alla guida dell'auto. L'ascesa, la caduta e ora l'agognata rinascita... o forse no?
Lo sguardo di Noah, senza controcampo
Innanzitutto, la première della terza stagione presenta una significativa variante rispetto a quello che è sempre stato il marchio distintivo di The Affair, il suo fondamentale paradigma narratologico: la pluralità dei punti di vista. Se buona parte del fascino della serie risiedeva infatti nella sua narrazione 'inaffidabile', con una duplice (o addirittura quadrupla) focalizzazione sugli eventi narrati e la loro conseguente 'deformazione' in base ai meccanismi della psiche e della memoria, l'episodio 301 rinuncia a sorpresa al suddetto approccio. La prospettiva, l'unica concessa a noi spettatori, è quella di Noah, costantemente al centro della scena, nel momento più difficile della sua vita: nell'incipit lo troviamo alla cerimonia funebre per il padre, ridotto in uno stato semi-confusionale, privato dell'affetto dei figli e segnato dalla lunga esperienza in carcere. L'energia e il carisma del Noah che avevamo conosciuto al principio della serie sembrano dissolti, mentre il Noah di oggi è un uomo piegato, succube degli eventi e addirittura con tratti di paranoia.
È evidente che gli autori abbiano deciso di concentrare su di lui tutta l'attenzione, eppure non si può negare che questa scelta susciti qualche perplessità: il senso di The Affair è individuabile nella natura 'liquida' della memoria e nella capacità delle emozioni umane di modificare la nostra percezione della realtà, e privare la puntata di uno sguardo 'altro' equivale ad abbandonare il nucleo tematico della serie stessa. Confidando che nelle prossime puntate si faccia ritorno alla formula canonica, 301 sconta l'assenza della co-protagonista storica (non vi è traccia di Alison) e del Cole Lockhart di Joshua Jackson, mentre alla Helen Butler della bravissima Maura Tierney (reduce dal Golden Globe e dalla nomination all'Emmy come miglior attrice supporter) è riservata solo una fugace ma incisiva apparizione: quanto basta alla Tierney per lasciar trapelare il disagio, il senso di colpa e lo spirito di solidarietà della sua Helen.
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Lancillotto e Juliette
In un periodo in cui la misoginia in generale, e gli abusi sessuali in particolare, sono al centro del dibattito pubblico come mai prima d'ora (tanto da aver occupato uno spazio preminente perfino all'interno dell'ultima campagna presidenziale americana), The Affair prende di petto la questione: e lo fa nel corso di una 'vivace' cena accademica, a nostro avviso la scena più riuscita e accattivante dell'intera première. Noah, sotto contratto come docente di scrittura creativa all'università e talmente frustrato da scaricare le proprie tensioni personali sui suoi studenti, viene coinvolto in un dibattito sul concetto di "predatore sessuale" e sul labile (?) confine fra seduzione e violenza, nel corso di una serata in compagnia di alcuni studenti a casa di una sua nuova collega, la professoressa francese Juliette Le Gall, impegnata in un corso sul ciclo bretone. Accusato di aver scritto "un manuale su come essere uno stronzo" dalla studentessa che poco prima lui stesso aveva umiliato in classe, Noah pare incapace di reagire, lasciando che Juliette accorra in suo soccorso: agli occhi della donna Noah è come un moderno Lancillotto, un "cavalier servente" che ha avuto il coraggio di abbandonarsi a una passione totalizzante.
La professoressa Le Gall, new entry di questa stagione, è il vero asso nella manica dell'episodio, anche in virtù della presenza scenica e della raffinata sensualità sfoderate dalla sua interprete, Irène Jacob, musa del regista Krzysztof Kieslowski in cult come La doppia vita di Veronica e Tre colori: Film rosso. Per quanto la rapidità con cui Juliette si concede all'incallito donnaiolo Noah possa far inarcare più di un sopracciglio (incluso il nostro), la disinvoltura esibita dalla Le Gall nel rapporto con il collega, così come in quello con i suoi ardimentosi studenti, lascia intuire un personaggio intrigante, sfaccettato e deliziosamente ambiguo, con un ottimo potenziale per i futuri episodi.
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Una lama nel buio
L'altra carta vincente, per quanto rischiosissima, lanciata sul tavolo dagli autori in questa première viene calata invece nell'ultima 'mano', ovvero nei minuti finali della puntata, con il più classico - ed efficace - dei cliffhanger: il delitto consumato da una mano misteriosa. Sulla scia dell'intramontabile "Chi ha sparato a J.R.?" Noah, angosciato da una presunta minaccia incombente, viene aggredito da una tenebrosa figura che, nella penombra della sua cucina, lo pugnala alle spalle, lasciandolo riverso in una pozza di sangue. Un colpo di scena che riporta The Affair nella dimensione del giallo vero e proprio: finora una componente minoritaria negli equilibri della trama (la morte di Scott non aveva avuto un ruolo di primo piano fino all'epilogo della scorsa stagione), ma che adesso assume un'importanza non trascurabile.
Pur non nutrendo dubbi sull'ovvia sopravvivenza di Noah, l'elemento mystery potrebbe garantire comunque una salutare dose di suspense a una serie che, nel suo secondo capitolo, aveva sperimentato qualche fase di stanca e mostrato una certa disorganicità fra le diverse storyline; mentre rimangono da chiarire la natura (immaginaria?) e il peso della figura di Gunther, bieca guardia carceraria impersonata dall'attore Brendan Fraser. Insomma, a dispetto della rinuncia alla narrazione binaria, questa terza stagione di The Affair si apre con ottime premesse: un'interessante evoluzione nella parabola di Noah, una sceneggiatura che non lesina dialoghi arguti e scambi di battute intensi e taglienti e numerosi interrogativi in attesa di soluzione. Tenendo bene a mente che, per ogni storia, esistono almeno due versioni differenti...
Movieplayer.it
4.0/5