Prima Alessandro Magno, poi Einstein ora... Mosè. Con un avviso, ad aprire il primo episodio: la ricostruzione e le parole degli intervistati non vanno presi per oro colato. Sono bensì frutto di opinioni di teologi e storici appartenenti a correnti e contesti diversi, e dunque non devono essere intese come opinioni dominanti. Dopo, ecco entrare in scena "il protagonista", accompagnato da una quote leggendaria, che risuona come una sorta di monito: "Io sono colui che sono, e colui che sarà". Siamo nella penisola del Sinai, e seguiamo subito il cammino pericoloso che spinge un uomo verso qualcosa di potente. Cosa? La Fede.
Inizia così Testament: La Storia di Mosè, docu-serie in tre episodi approdata su Netflix. Come per Alessandro Magno (ve l'avevamo raccontato qui), anche qui ci ritroviamo davanti ad un ibrido: ricostruzioni storiche, drammatizzate a più non posso, e interviste ad esperti, storici, studiosi. Sotto, una voice-over che accompagna "lo spirito innato di Mosè" - in originale troviamo Charles Dances -, tra messa in scena ed enfatizzazione, puntando tanto alla spettacolarizzazione della figura religiosa quanto alla storiografia didattica in formato seriale. Si analizza la religione ebraica, si racconta la figura del profeta giudeo raccontato, però, nel Corano. Una storia "affascinante" che trasforma un "assassino" in "liberatore", come sottolinea Bishop Andy Lweter, storico della Full Gospel Baptist Church Fellowship, durante la prima puntata.
Testament: La Storia di Mosè, tra fiction e storia
Testament: La Storia di Mosè, avvolto da un costante accompagnamento musicale, ridondante e potente, vuol ripercorre la figura profetica per mezzo di una narrazione che punta al mistero che aleggia su Mosè. Si parte "dal tempo dei tempi", eccoci in Egitto, sulle sponde del Nilo, e poi nel deserto, attorno al monte Sinai, finendo tra le acque separate del Mar Rosso, per quello che sarà il momento topico della docu_Testament: La Storia di Mosè-serie. Nel profondo, la docu-serie, vuole poi analizzare - tramite una continua sottolineatura, che arriva dai toni costantemente drammatici - la multi funzionalità di Mosè, legandosi ai testi sacri del Cristianesimo, ma anche dell'islamismo e dell'ebraismo.
Va da sé che la scelta distributiva di Netflix non poteva non coincidere con il periodo pasquale. Questa opzione apre ad una riflessione: le piattaforme streaming - Netflix in primis - stanno poco a poco spostando i diversi baricentri, puntando ad un intrattenimento che si potrebbe definire eterogeneo. Anche perché l'operazione di _ ricorda gli impolverati documentari che vedevamo a scuola, magari durante l'ora di religione: tuttavia, il regista Benjamin Ross prova a spolverare il concetto, spingendo al massimo sulla messa in scena, che ricorda i classici peplum ma, anche, la più scadente delle telenovela (nel ruolo di Mosè c'è Avi Azulay). Punto di forza, però, le voci "autorevoli" che si legano alla drammatizzazione senza alterarne il ritmo.
Un nuovo modo di fare... streaming?
Anzi, sono proprio le interviste che arricchiscono le molte nozioni che arrivano da Testament: La storia di Mosè. Le parole, che irrompono nelle sequenze fiction, provano a tradurre la conflittualità della figura: un bambino adottato, il suo legame con Dio, il tormento proveniente dall'aver ucciso un uomo, le fughe e, poi, il suo essere in qualche modo leader di un popolo. Tra religione, misticismo, fatti e cronaca, la docu-serie in tre puntate (tutte dalla durata nettamente superiore ai sessanta minuti, sigh!) diventa allora un viaggio che ricompone Mosè nei suoi rispettivi tre aspetti principali: c'è il Profeta legato allo scopo divino, e poi ancora il suo rapporto con il potere e con il Faraone, per una liberazione incompiuta che scaturirà le famose "piaghe d'Egitto", e si prosegue con il miracolo del Mar Rosso che porterà libertà al popolo israelita.
Al netto della sua riuscita - è un prodotto da prendere o lasciare, che non aspira ad essere né più né meno di come si presenta - diventa curioso lo spunto che arriva dal suo successo: in una manciata di giorni, Testament: La Storia di Mosè è riuscita ad imporsi come una delle serie più viste su Netflix, almeno in Italia. Se, come abbiamo detto, lo streaming cerca ormai una trasversalità (aggiungendo pure gli eventi in live), questo potrebbe anche essere sintomatico di quanto il pubblico guardi alle piattaforme digitali come una sorta di contenitore di prodotti, a metà tra la libreria, la videoteca didattica e, a giudicare da Mosè, anche la catechesi. Che piaccia o no il futuro passa sempre attraverso il passato.
Conclusioni
Un po' ricostruzione, un po' fiction, un po' documentario classico. Un ibrido, insomma, quello che troviamo in Testament: la storia di Mosè. Come scritto nella nostra recensione, la docu-serie targata Netflix porta l'universo digitale verso altri standard distributivi, puntando anche ad una narrazione didattica e, in questo caso, quasi catechista. Se le voci degli intervistati approfondiscono la figura di Mosè, l'aspetto spettacolare prova ad acchiappare il pubblico il più possibile, sconfinando però nell'eccesso e nell'enfatizzazione.
Perché ci piace
- Le diverse voci intervistate.
- L'aspetto spettacolare...
Cosa non va
- ... che a tratti sfocia nell'eccesso.
- I toni da telenovela nei segmenti fiction.
- La durata di ogni puntata.
- Il cast, diremmo poco "convincente".