La materia degli incubi
Il cinema di James Cameron è sempre stato composto da una materia ben precisa. Un cinema potente e sovraccarico di messaggi espliciti eppure metaforici, che ondeggia tra il fluido e il solido ma resta sempre fedele alla sua natura "elementare". Prima dell'acqua, assoluta protagonista dell'epopea di Abyss e del racconto romantico di Titanic; prima dell'aria e della terra, fondamentali nella missione eroica di Jake Sully in Avatar, venne il fuoco di Terminator. Una scintilla improvvisa che fa luce su un autore innovativo e coraggioso, capace di cogliere con maestria lo spirito del suo tempo; un fuoco che avvolge il metallo, con la macchina che sovrasta l'uomo e l'artificiale che irrompe nella carne. Terminator nasce da un sogno di Cameron (la visione di un esoscheletro avvolto nelle fiamme) avuto mentre era in Italia, durante la lavorazione del suo primo lungometraggio Piraña paura.
Ma i temi della sua storia visionaria hanno un'origine ancora più lontana. Grande appassionato di letteratura fantascientifica (Asimov e Dick su tutti), Cameron scopre la sua vocazione cinematografica nel 1977, una data non certo casuale. È l'anno di Guerre stellari, un film dal quale James viene folgorato assieme ad una buona dose di invidia per l'universo narrativo creato da George Lucas. Sentimenti che scatenano in lui un'ossessione mai esaurita: fare del cinema una sfida continua alle possibilità umane, un territorio di sperimentazione dove rendere possibile l'impossibile.
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La nascita di un'icona
Se Lucas ha spinto la fantascienza "lontano lontano" nello spazio e nel tempo, Cameron opta per un legame stretto e indissolubile con la sua contemporaneità. Terminator attraversa il tempo per lanciare un messaggio dal futuro, una previsione violenta e distopica sui pericoli di una tecnologia che, proprio negli anni dell'ottimismo reaganiano, si introduceva con sempre maggior forza nella vita delle persone. Partito da un soggetto essenziale, Cameron incontra diverse difficoltà nel trovare un produttore e attorno al progetto serpeggiano non poche perplessità (Giancarlo Giannini definì il copione del film "robaccia", mentre Al Pacino replicò con un secco "ma sei scemo?"). Con un budget di 6 milioni di dollari e ispiratosi liberamente al film Cyborg anno 2087 - Metà uomo, metà macchina, programmato per uccidere, il regista canadese riesce a costruire un'opera cult che in qualche modo va a chiudere un' ideale trilogia fantascientifica avviata da Alien e seguita da Blade Runner, entrambi di Ridley Scott.
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È il 1984, data di orwelliana memoria che, coerente con la distopia dello scrittore inglese, fa di Terminator un manifesto visivo sugli atavici timori umani del futuro. Nel 2029 tutto il pianeta è dominato da Skynet, sistema informatico che si ribella all'esercito statunitense per poi innescare un disastro nucleare. In questo futuro estremo, dove l'essere umano è al limite dell'estinzione, l'eroico John Connor si ribella attraverso un'ultima, disperata resistenza. Così il Terminator T-800 viene mandato indietro nel tempo sotto sembianze umane per eliminare la fonte di ogni problema: sua madre, Sarah Connor.
Terminator è una caccia claustrofobica, cadenzata da un incedere oppressivo, vissuta dentro un incubo notturno. Cameron riprende una dinamica classica e sempre efficace del cinema, ovvero l'inseguimento, elogiato diversi anni prima dallo splendido Duel di Steven Spielberg di cui cita spesso l'inquietante camion. Poi, intuisce le potenzialità iconiche di Arnold Schwarzenegger (inizialmente scelto per Kyle Reese) e sul suo corpo statuario costruisce un personaggio spietato e monolitico (a cui concede meno di venti battute), molto lontano dai cyborg capaci di sentimenti immaginati da Scott in Blade Runner. Anche se ancora immerso nella prima metà degli anni Ottanta, il film riesce a cogliere molti elementi emblematici di quell'epoca come la cultura punk e la disco music, ma allo stesso tempo stravolge la messa in scena cinematografica con effetti speciali realistici nel loro essere cruenti e carnali. Quello che rimane nel pubblico è una penetrante sensazione ansiogena e l'impossibilità di una convivenza pacifica tra umano e meccanico, assieme alla consapevolezza di non aver vinto una guerra ma di essere solo sopravvissuti ad una battaglia, di aver rimandato l'incontro con le conseguenze estreme di un progresso senza freni.
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I'll be back
Lo aveva promesso nel primo capitolo con una frase minacciosa e cult: "I'll be back" (doppiata in italiano con "aspetto fuori" per esigenze di adattamento), entrata tra le migliori cinquanta battute della storia del cinema. Terminator ha rispettato i patti e, forte dei 78 milioni di dollari incassati sette anni prima, ritorna nel 1991, ancora una volta un anno fatidico. La fine della Guerra Fredda, espressamente citata nel film, non impedisce a Terminator 2 - il giorno del giudizio di portare dentro di sé le scorie di una tensione lunga quasi mezzo secolo. Lo spauracchio del nucleare è centrale nella storia e la tecnologia militare si trasforma da essere solido in minaccia liquida.
Costato quasi 100 milioni di dollari, Terminator 2 - Il giorno del giudizio evolve la rappresentazione del nemico tecnologico, rendendolo fluido e quindi ancora più imprevedibile ed invasivo, quasi epidemico. La forma melliflua dello spietato T-1000 è una metafora riuscita dei sistemi informatici che negli anni Novanta crescevano in maniera esponenziale. Affascinato ed impaurito dalla tecnologia, fondamentale per il suo il cinema ma pur sempre temuta, con questo sequel Cameron ribalta molti elementi cardine del suo predecessore. Sarah Connor (in continuità con la Ripley di Alien), da giovane preda impaurita e indifesa, si trasforma in predatrice muscolosa e pronta alla violenza pur di impedire la nascita di Skynet; Arnold Schwarzenegger invece, non solo abbandona i panni del cacciatore per diventare un affidabile guardia del corpo del piccolo John Connor, ma lascia spazio all'ibridazione tra freddi circuiti e sentimenti umani.
In un'atmosfera meno asettica ma più polverosa ad arida di Terminator, sostenuta da una colonna sonora incalzante, il regista dimostra di essere cresciuto (dopo aver diretto Aliens - Scontro finale) e aumenta la potenza del racconto grazie ad un maggiore approfondimento drammatico dei personaggi, alleggerito da una perfetta dose di ironia e spensieratezza. Il re dell'intrattenimento conferma la forza di un blockbuster capace di mischiare l'action movie con riflessioni esistenziali da epopea sci-fi e incassa quasi mezzo miliardo di dollari.
Nuovi automatismi
L'eco del successo dei primi due Terminator col tempo si tramuta in mito, facendo della serie un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli appassionati di fantascienza. A dodici anni dall'ultimo capitolo, James Cameron, dopo il clamoroso successo di Titanic, è già immerso nella sua grande sfida chiamata Avatar e di cyborg coinvolti in viaggi spazio-temporali non vuole più sentirne parlare. Dopo il suo "no" arrivano anche quelli di Ang Lee, impegnato con Hulk, e della stessa Linda Hamilton, non convinta dal poco spazio previsto per la sua Sarah. Alla base della macchina produttiva di Terminator 3 - Le macchine ribelli c'è la ferrea volontà dello stesso Schwarzenegger che, dopo diversi flop (Giorni contati, Il sesto giorno), ha bisogno di visibilità positiva in vista della sua prossima candidatura al governo della California. L'impellente desiderio di Schwarzy, anche finanziatore della pellicola, trascina nella missione pseudo-propagandistica il regista Jonathan Mostow, noto per il buon lavoro svolto tre anni prima con il bellico U-571.
Con questi presupposti si intuisce come Terminator 3 - Le macchine ribelli nasca da necessità poco artistiche e molto commerciali, premesse che vengono confermate da un film in cui manca una visione davvero autoriale ed emerge un prodotto ben confezionato nella forma da un buon mestierante. Mostow spinge al massimo sulla spettacolarità dell'azione e, consapevole dell'arduo confronto con i capitoli diretti da Cameron, cambia il tono del racconto cedendo al citazionismo e a un'ironia più evidente.
Non agevolato dallo scarso carisma di Nick Stahl e dell'eterno talento inespresso di Claire Danes, Terminator 3 - Le macchine ribelli si regge sulle possenti spalle del T-850 e, con un finale inaspettato, fa venire a galla una morale di fondo che tradisce quella delineata da Cameron tanti anni prima. Il libero arbitrio non esiste e il destino scritto dal fato schiaccia gli essere umani con il suo inesorabile incedere. Inesorabile come il sistema di merchandising che accompagna la pellicola, impreziosita da action figures e ben due videogame (Terminator 3 - Le macchine ribelli e Terminator 3 - The Redemption). Nonostante le diverse perplessità, sollevate da critica e pubblico, il terzo capitolo della saga chiude in positivo: costato 170 milioni di dollari, ne incassa 430.
Un'altra serie di eventi
Sin dal primo film il franchise Terminator ha sempre utilizzato un linguaggio che sarebbe poi diventato proprio della serialità televisiva. Flashback, flashforward, riferimenti a personaggi citati e poi rimandati a pellicole successive. Per questo la storia di Sarah e John Connor non poteva esimersi da espandersi in una narrazione transmediale. Ecco che nel 2008 la Fox produce Terminator: The Sarah Connor Chronicles, una serie tv che per diversi motivi rappresenta una vera e propria marcia indietro rispetto a Terminator 3.
Se Mostow aveva fatto a meno dell'eroina Sarah, lo sceneggiatore Josh Friedman punta sul suo ritorno da vera protagonista, anche grazie al carisma di Lena Headey. Ambientata nel 1999, la serie ignora totalmente il terzo capitolo, in quanto naturale seguito di Terminator 2 ed esordisce con episodio pilota visto da diciotto milioni di spettatori. Sarah e il sedicenne John vagabondano per gli Stati Uniti sotto false identità, braccati dall'FBI per la morte di Miles Dyson. La prima stagione, composta da nove episodi, si dimostra convincente grazie ad un respiro corale, con personaggi interessanti (tra cui un nuovo Terminator donna, interpretato da Summer Glau) e ambigui. Le incertezze arrivano con la seconda stagione in cui i continui salti spazio-temporali complicano una storia che diventa sempre più di nicchia e poco appetibile per chi non conosce a memoria i capitoli cinematografici. Colpa anche dei ventidue episodi (troppi) che diluiscono la narrazione assieme agli ascolti, sempre più bassi. Ideato per svilupparsi idealmente nel corso di quattro stagioni, Terminator: The Sarah Connor Chronicles viene interrotto nel maggio del 2009, quando gli spettatori medi diventano meno di quattro milioni. Non un bel preambolo per la nuova incarnazione cinematografica ormai imminente.
Terminator Salvation?
Anno 2009. John Connor ha avuto tanti volti, ma adesso non si può sbagliare ancora e si va sul sicuro, affidandolo ad uno degli attori più talentuosi della sua generazione. Consacrato da tre notevoli lavori di Christopher Nolan (Batman Begins, The Prestige e Il Cavaliere Oscuro) Christian Bale accetta l'eredità di un personaggio amato e trova il giusto equilibrio tra prestanza fisica e un'espressione provata da una lotta estenuante. Di Nolan non rimane soltanto l'attore-feticcio ma anche la sceneggiatura scritta da suo fratello Jonathan assieme al premio Oscar Paul Haggis, Michael Ferris e John D. Brancato. Nomi che sovraccaricano di responsabilità il compito del regista McG che finalmente mostra al pubblico la tanto celebre Resistenza, ambientando il film (per la prima volta nella storia della saga) nel futuro dominato da Skynet. L'ambientazione è immersiva nella sua deriva post-apocalittica, la maggiore linearità della storia permette di approfondire la forza d'animo umano messa a dura prova da un mondo ormai automatizzato e gli attori si dimostrano tutti a loro agio (con una nota di merito per Sam Worthington, non a caso adottato da Cameron per il quasi contemporaneo Avatar).
Nonostante questo, Terminator Salvation si rivela un altro film poco coraggioso che si preoccupa sin troppo bene della forma ma latita nel concedere ai contenuti la potenza emotiva che conservano. Questo quarto capitolo, abbellito da un inaspettato cameo digitale di Schwarzenegger, risponde involontariamente al dilemma sollevato da Cameron tanti anni prima: forse hanno vinto le macchine, perché lo stesso McG risulta vittima della cinepresa che ha in mano e di effetti speciali impeccabili ma, in questo caso, nemici assoluti dell'emotività umana di personaggi e pubblico. Partito come progetto ambizioso a lungo termine, il primo di una trilogia, Terminator Salvation (da cui è stato tratto un omonimo, dimenticabile, videogame) chiude con un saldo positivo di "appena" 170 milioni di dollari, risultato che fa naufragare la continuità del piano commerciale. E allora, forse, la celebre sfuriata di Christian Bale sul set (furibondo nei confronti del direttore della fotografia che disturbò una sua performance) era un messaggio premonitore degno del primo Kyle Reese.
Quale futuro
Nel quarto capitolo ha "aspettato fuori" ma Terminator non può salutare il pubblico senza la sua presenza fisica e imponente. Tornato timidamente a lavorare come comprimario nei Mercenari di Stallone, Arnold Schwarzenegger sta conoscendo una nuova stagione da attore anche da protagonista (The Last Stand - L'ultima sfida, Contagious) ed è intenzionato a riportare la saga fuori da un bel ricordo ormai sbiadito. Stanco della nostalgia che avvolge il titolo, l'ex Governatore della California ha incoraggiato la produzione di una nuova pellicola, con tanto di benedizione di un James Cameron prodigo di consigli. Il film arriva in sala a metà del 2015 e si intitola Terminator: Genisys. Alla regia troviamo Alan Taylor, cresciuto ne Il trono di spade e consacrato nel cinema commerciale da Thor: The Dark World, mentre (sempre da Westeros) alla morbida Emilia Clarke tocca l'arduo compito di ridare forza e carisma alla spigolosa Sarah Connor. Il risultato è un tiepido tentativo di legare le varie linee narrative sviluppate dal 1984 ad oggi, evidenziando una certa indecisione sulla strada da percorrere. Reboot, sequel e in parte remake, il quinto capitolo del franchise è una via di mezzo a tre corsie che non porta molto lontano. I rapporti tra i personaggi risultano poco coesi e la presenza di Schwarzenegger è soltanto un inno alla sua inossidabile testardaggine cinematografica. L'ironia e l'epica fanno a cazzotti per tutto il film e dispiace dire che, forse, difficilmente il vecchio T-800 avrebbe approvato con un bel pollice in su. Ennesimo tentativo fallito di rilancio, Terminator: Genisys conferma che sarebbe stato meglio fermarsi a quel memorabile 1991 senza scomodare ancora il futuro, con quel degno saluto finale che poteva servire da perfetto addio: "Hasta la vista, baby".
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