Sulla carta Terminator: Destino Oscuro, sesto film della saga inaugurato trentacinque anni fa - di cui in questa occasione approfondiremo il finale - aveva tutte le carte in regola per riassestare la saga della guerra contro le macchine ribelli: il ritorno di James Cameron come produttore e soggettista (anche se a detta di chi ha lavorato al film ha più volte rimesso mano al copione vero e proprio); il ritorno della Sarah Connor di Linda Hamilton, al fianco dell'immancabile Cyborg con le fattezze di Arnold Schwarzenegger; e una sceneggiatura che nullificava i sequel precedenti, realizzati senza l'input di Cameron, per riallacciarsi ai primi due capitoli, pietre miliari del cinema di genere americano.
Il pubblico, però, non ha reagito nel modo sperato: forse stanchi dopo svariati seguiti più o meno irrisolti, gli spettatori hanno allegramente ignorato il nuovo film, che nel momento in cui scriviamo queste righe ha racimolato, in due settimane di programmazione mondiale, solo 130 milioni di dollari. Un risultato mortificante per un sequel a nostro avviso coraggioso, che osa fare qualcosa di nuovo con un franchise che era diventato piuttosto statico. Ma forse sono proprio quelle novità ad aver fatto disertare gli appassionati della saga, come proviamo a spiegare in questa sede, partendo dal finale del film. Attenzione, spoiler!
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Tutto come prima? No
Terminator 2 - il giorno del giudizio si chiudeva con la relativa certezza dell'eliminazione di Skynet, e con esso del futuro post-apocalittico dominato dalle macchine. Terminator: Destino Oscuro spiega che in realtà si è creato un altro futuro, con una nuova minaccia artificiale nota come Legion, un sistema di difesa che, come da copione, si è ribellato ai suoi creatori umani (come dice Sarah Connor: "Non imparano mai, cazzo!"). Arrivati alla fine del nuovo film Legion esiste ancora, ma ha fallito nell'intento di eliminare la giovane Dani, leader della Resistenza. Accompagnata da Sarah, lei parte verso nuovi orizzonti, promettendo di far sì che non si verifichi un futuro che la costringerà a mandare nel passato la guerriera Grace, una donna potenziata con innesti cibernetici. Il futuro è ancora tutto da riscrivere, e a farlo sarà Dani, che a differenza di Sarah non è la madre del futuro leader degli umani superstiti, bensì la leader stessa. Un dettaglio che non è andato giù ai fan duri e puri - come avevamo previsto nella nostra recensione di Terminator: Destino Oscuro - i quali si sono lamentati della "femminizzazione" del franchise e dell'incursione del politicamente corretto, legato anche al fatto che la ragazza sia messicana, dettaglio di non poco conto in un periodo in cui gli Stati Uniti sono in mano a un uomo che ha più volte espresso il suo disprezzo per gli immigrati provenienti dal confine con la California.
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Tale lamentela, però, significa non aver capito i primi due film, dove il personaggio più importante era Sarah, e neanche il cinema di Cameron, che al netto della scelta di protagonisti testosteronici come Arnold Schwarzenegger si è sempre interessato alle donne forti (basti pensare ad Aliens - Scontro finale). Quanto alla questione della nazionalità di Dani, l'elemento politico è senz'altro presente, ed è importante che, nel momento in cui chi detiene il potere in America è completamente noncurante di ciò che sta accadendo a livello geopolitico e climatico, la salvezza venga da un altro paese. Ma c'è anche un elemento filologico, sottile ma abbastanza evidente: il finale del primo film suggerisce che John Connor sia nato dall'altra parte del confine, e vale la pena sottolineare il fatto che Edward Furlong, storico primo interprete del personaggio, sia messicano da parte di madre. C'è quindi una non indifferente giustizia poetica nella caratterizzazione del suo successore spirituale, anche lei accompagnata da un mentore di un certo peso come Sarah.
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Imparare dal passato
L'altro elemento che ha fatto girare le scatole (per usare un eufemismo) agli appassionati di vecchia data, è proprio la scelta di eliminare John Connor, ucciso da un T-800 (lo stesso che aiuterà Sarah, Dani e Grace vent'anni dopo) dopo che è già stato scongiurato il Giorno del Giudizio. Una decisione senz'altro discutibile, ma a suo modo inevitabile perché il franchise si potesse evolvere: dal terzo film in poi, infatti, tutto ruotava intorno alla nozione che l'esistenza di Skynet fosse un punto fisso in qualsiasi linea temporale, e con essa la Resistenza guidata da John, al netto di tutti i tentativi di riscrivere gli eventi passati da parte di entrambe le fazioni. Rimuovendoli entrambi dall'equazione, Cameron e soci hanno dato al franchise una libertà che mancava all'appello da due decenni, adattando e perfezionando elementi già introdotti altrove: l'essere umano "aumentato" ciberneticamente viene da Terminator Salvation, mentre il T-800 anziano e capace di empatizzare con gli umani è un lascito di Terminator: Genisys. Ma il debito più grande è nei confronti della serie televisiva Terminator: The Sarah Connor Chronicles (il cui creatore Josh Friedman ha partecipato all'ideazione del nuovo film): in tale sede fu recuperata la figura di Sarah, morta prima degli eventi del terzo lungometraggio, e nell'involontario finale di serie fu esplorata per la prima volta l'ipotesi di un futuro senza John Connor, rimosso dalla linea temporale principale.
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John non c'è più, ma il suo fantasma aleggia sul resto del sesto capitolo, al punto che il T-800 si redime, sacrificandosi per salvare Dani, con la stessa frase usata per comunicare a Sarah nel corso degli anni i punti di arrivo dei Terminator cattivi: "For John." C'è una vena malinconica legata alla consapevolezza di un nuovo futuro da evitare, ma anche di un passato ormai irrecuperabile: quando stanno per partire per lo scontro finale, il Terminator anziano riferisce di aver detto alla compagna e al figlio adottivo "I won't be back", e prima di uscire di casa prende in mano i suoi storici occhiali da sole, per poi lasciarli dov'erano. I tempi sono cambiati, e con loro anche il franchise, e lì sta forse la lezione più grande imparata dai sequel precedenti: il quarto e il quinto episodio erano volutamente costruiti per inaugurare delle trilogie, lasciando elementi in sospeso con la certezza infondata di poterli approfondire più tardi. Il sesto film non commette questo errore, perché il finale aperto in realtà è la chiusura ideale dell'arco narrativo ideato ai tempi da Cameron: sì, Legion va fermato, ma non abbiamo bisogno di vedere una nuova guerra e nuovi viaggi nel tempo. Le informazioni essenziali sono tutte lì, in quei minuti finali che si rifanno alla sequenza di commiato del capostipite. Per questo motivo, se è vero che la saga, almeno per ora, finisce qui, è comunque possibile godersi la visione senza quella sensazione di vuoto che accompagnava i due film precedenti, e senza ripensare con troppa tristezza a quella frase di Arnold: "I won't be back."