Quando si entra in sala per andare a immergerci dentro un film di David Cronenberg, non si sa mai quel che ci aspetta. Il più delle volte, alla fine della proiezione, e se il film ci ha in qualche modo interessato, abbiamo, da qualche parte della nostra psiche, e delle nostre percezioni, la sensazione che il regista canadese ci abbia preso un po' per i fondelli, e ci abbia fatto capire solo una parte di quel che in realtà ci hanno raccontato le sue immagini. Un senso di latenza, e di oscurità, ci assale. Cronenberg ci ha portati al cospetto di mondi nuovi, che non credevamo possibili e, forse, neppure concepibili, ed ha provato a dislocarci in questi mondi - nonostante il nostro senso di estraniazione o fin di disgusto - grazie a quel senso di realtà (magari parallela) che Bazin, prima, e Deleuze, poi, hanno scoperto essere la ragione fondante del coinvolgimento cinematografico. Ed è proprio perché cinema e reale molto spesso si confondono, e non sappiamo più dove termina l'uno e ricomincia l'altro, che un film di Cronenberg non può mai lasciarci al grado di conoscenza e di consapevolezza di cui eravamo in possesso prima d'entrare in sala: un'opera qualsiasi del regista canadese mette in crisi le coordinate spazio-temporali della nostra percezione, mescola le carte di un mondo che davamo per conosciuto, e ci fa sentire, almeno per qualche attimo, esseri inconsapevoli immersi dentro una realtà che, dunque, è cangiante e in perenne movimento.
D'altronde, ogni film di Cronenberg, in fin dei conti, non asserisce nient'altro se non le enunciazioni per cui non solo 'niente può essere immobile' ma, anche, 'non esistono compartimenti stagni tra realtà e realtà' e 'ogni fenomenologìa del reale è pronta a compenetrarsi con qualsivoglia altra'. In altri termini, ogni opera dell'autore di Toronto non si limita - com'è vero per la maggior parte delle esperienze cinematografiche - a osservare, seppure attentamente, la superficie del reale ma, altresì, tende a incunearsi nelle sinuosità e nelle increspature del dato ontologico, a scoprire e inventare - ma in quest'ambito di discorso i verbi finiscono per essere sinonimi... - nuove parentele tra ciò che, alla vista comune, appare discreto; in definitiva, a dar vita a nuovi assetti ontologici lontani da quelli che conosciamo. Il senso di smarrimento all'uscita della sala è dunque il minimo che possa capitare. In tal senso, raccontare il cinema di Cronenberg, con le mescolanze, le fusioni e le ideazioni di cui si fa portavoce, non è cosa facile, allo stesso modo in cui non è semplice decodificare e rendere agli schemi dell'odierna cultura dominante il cinema più avanzato, quello di David Lynch e di Peter Greenaway, di Stanley Kubrick e, anche, di Quentin Tarantino. Eppure, Cronenberg è metodico. Nei suoi mondi, seziona pezzi di realtà e li fa interagire, per raggiungere stadi di comprensione profonda. Non si abbandona a onirismi confusi e anticlassificatori ma, al contrario, in ogni operazione, produce una sorta di metodo scientifico inusitato, che lo conduce a catturare nuovi ordini del reale nelle loro contraddizioni profonde e a sbattercele in pieno viso.
Salta agli occhi, perciò, un primo tema conduttore di tutta la fimografia cronenberghiana: la sessualità. Cronenberg affronta il sesso da quasi tutti i punti di vista: innanzitutto, vuole togliere al sesso ogni aura romantica e osservarlo nella sua chimica di base, nel motore che lo produce; così, ne Il demone sotto la pelle la sessualità è ridotta a un croguiuolo di pulsioni irrefrenabili, liberate e liberatorie. Ma Cronenberg è anche interessato a esplorare i meccanismi che fanno del sesso una malattia o, per meglio dire, che rendono esplicita la patologia attraverso l'espressione sessuale: così, in Rabid, sete di sangue, il morso di Rose che produce quella sorta di pene ascellare e vampiresco è solo l'inizio di una mutazione che dal microcosmo giungerà a intaccare la sicurezza del macrocosmo, cioè dell'intera società; in Brood - La covata malefica, l'anoressia sessuale di Nola è solo l'emergenza di un disturbo della personalità che affonda le radici nella vita biologica della riproduzione e della conservazione della specie; in M. Butterfly, la sessualità distorta e irregolare è il segno della progressiva e inarrestabile perdita d'identità dei personaggi; in Spider, infine, il sesso si fa tutt'uno con la malattia, la morte e la pulsione di morte, nel classico intreccio, qui rivisitato con sguardo impassibile e diagnostico, di eros e thànatos. Eppure, ci sono infinite altre declinazioni della sessualità, che Cronenberg è deciso a scoprire e disvelare, per estendere la sessualità in quantità e qualità, verso qualcosa di altro da sé: è il caso di Videodrome, ove il sesso comincia a farsi tecnologico, a interessare, cioè, i rapporti tra uomo e macchina, nello specifico tra spettatore e schermo televisivo; o de La mosca, nel quale i nuovi e ossessivi appetiti di Seth Bundle fungono solo da primo segnale del ribaltamento ontologico che investirà il protagonista; oppure di Crash, film-manifesto della sessuologia cronenberghiana, liberata e rimodellata attraverso le esperienze estreme degli incidenti automobilistici, che sprigionano l'energia sessuale dei morti sui corpi pulsanti e caldi degli esseri vivi; infine, di eXistenZ, per il quale il sesso è solo una stringa di codice all'interno di una virtualità biotecnica che si confonde, in modo oramai inestricabile, con la realtà carnale degli uomini.
Ma di tematiche ricorrenti ce ne sono altre; emerge, per esempio, quella del corpo umano che si disfa e muta, si contamina e cambia, dando luogo, persino, a ignote specie viventi, secondo un'ossessione che fu tipica, per molti anni, non solo di Cronenberg ma di molti altri tra gli autori maggiori del cinema dell'orrore. Cronenberg osseva la mutazione con attenzione e nei minimi dettagli, con spirito da entomologo, ha già detto qualcuno. Il corpo che cambia e si trasforma in altro è già tema portante de Il demone sotto la pelle, con le mutazioni a vista sul corpo di Nicholas Tudor, e lo sarà anche di Rabid, con quel nuovo organo - guarda caso: sessuale - che cresce sotto le ascelle degli infetti; permeerà di sé anche il mondo visivo di Scanners, attento, più che altro, alle aberrazioni psicologiche introdotte da un farmaco che genera uomini nuovi dai poteri telepatici - eppure incline a mostrare a tutto tondo i corpi che si dilaniano, esplodono e cambiano, nel duello finale tra i figli del dottor Ruth; sarà ancora più evidente in Videodrome, nella misura in cui la promiscuità sessuale tra uomini e tv diverrà, di fatto, condivisione delle opposte strutture corporali, con gli schermi che si trasformano in labbra gonfie di rossetto e gli stomaci che si aprono a ingurgitare videocassette atte a programmare «la nuova carne»; e troverà il punto di massima espressione nella struttura melodrammatica de La mosca, la cui architettura narrativa è tutta concentrata, appunto, attorno all'obiettivo di catturare le anche minime mutazioni del corpo dello scienziato che, da uomo, si fa, prima, uomomosca, e poi uomocapsulamosca, con un evidente richiamo - assai colto, peraltro - alle poetiche estreme della body art degli anni Sessanta e Settanta; dopo La mosca, la poetica della mutazione corporale diverrà meno centrale nel pensiero di Cronenberg e, quando tornerà ad esprimersi, diverrà autoreferenzialità e citazionismo, nelle improvvise trasformazioni barocche di corpi, oggetti e cose de Il pasto nudo e nei gamepod di tessuto animale o nelle pistole fatte di ossa, vertebre e denti di eXistenZ.
Ma i temi prediletti da Cronenberg non finiscono qui. Non può certo passare sottaciuto l'intreccio tra reale e virtuale - o, per meglio dire, la confusione tra diversi livelli di realtà - che è tema tipico della postmodernità, più volte affrontato, con esiti straordinari, dal regista canadese; in tal senso, molte sue opere sono immagini-cristallo purissime, nell'accezione deleuziana; Videodrome confonde la realtà della vita con quella dei mass media elettronici, senza mai suggerire soluzioni di continuità e costruendo, anzi, un tessuto narrativo in cui, alla fine, non sarà possibile comprendere cos'è stato vita e cos'è stato immagine e, più ancora, se esiste davvero differenza tra l'una e l'altra; La zona morta, pur essendo opera d'impianto narrativo e figurativo ai limiti della classicità, ruota intorno alle nuove e portentose capacità di Johnny, il protagonista, che sa vedere, allo stesso livello di realtà, il presente, il passato e il futuro; Il pasto nudo non esce mai dal circolo virtuoso per cui le allucinazioni di un artista si mostrano più reali del reale - e, di converso, la realtà, con le sue distorsioni e fantasmagorie, si presta, come per natura, ad uno sguardo il più possibile allucinatorio; eXistenZ riprende il discorso avviato da Videodrome, sostituendo, agli schermi tv, la realtà, ancora più impalpabile e diafana, di una nuova generazione di videogames, che giocano sfruttando la corteccia cerebrale degli esseri umani; e Spider, infine, a vent'anni di distanza, raccoglie l'impulso a riflettere sull'intreccio del tempo, che fu tema centrale de La zona morta, imprigionando il personaggio di un folle, o di un assassino, dentro una tela di fatti agiti, ricordi vissuti e fantasticherie in cui più niente si distingue da niente.
Infine, l'ultimo tema portante è quello di M. Butterfly: la perdita d'identità di cui è vittima l'uomo contemporaneo. È chiaro che ogni mutazione corporale, o trasformazione sessuale, o confusione dei livelli di realtà, si porta con sé il problema di un'identità che non può più essere concepita come conchiusa, formata e stabile; e, quindi, il tema è affrontato, seppure in sottotraccia, nel tessuto d'ogni film cronenberghiano, al punto da diventarne il motivo fondamentale, anche se non direttamente espresso. Eppure, come abbiamo visto in recensione, M. Butterfly affronta, senza reticenze o contenuti di copertura, il problema dei problemi, ponendosi, anche solo per questo motivo, al centro esatto dell'opera cronenberghiana; assieme ad Inseparabili, la storia dei gemelli ginecologi, il cui vincolo reciproco è talmente forte, ed espresso ad ogni livello, che si può parlare, senza timore, di fusione identitaria e di inglobamento dell'uno nell'altro; al punto tale che, nell'impossibile disgiunzione delle personalità, quando un gemello muore, l'altro non potrà far altro che lasciarsi morire.