Tapirulàn, la recensione: Correndo per restare fermi, l’opera prima di Claudia Gerini

La recensione di Tapirulàn; l'esordio alla regia di Claudia Gerini, presentato dal Bifest di Bari e al cinema dal 5 maggio, è un film coraggioso, moderno nel linguaggio e nei temi, spiazzante ed emozionante.

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Locandina di Tapirulàn

Running To Stand Still è il titolo di una famosa canzone degli U2. Vuol dire "correre restando fermi". É quello che accade, per esempio, a chi corre su un nastro trasportatore, un tapis roulant, come vi racconteremo nella recensione di Tapirulàn, esordio alla regia di Claudia Gerini, presentato dal Bifest di Bari e in uscita al cinema il 28 aprile. Ma quel correre restando fermi è ovviamente una metafora di vita, un affannarsi e affrettarsi per non andare da nessuna parte. Magari perché non si riesce. O magari perché non si vuole andare da nessuna parte. Se la corsa, grazie alla tecnologia, può essere fatta da casa, oggi tutto può essere fatto da casa. La tecnologia, la pandemia, il mondo che cambia ci ha dato la scusa per non muoverci, per non rischiare, per avere un atteggiamento guardingo, passivo, nei confronti della vita. Tapirulàn ci racconta tutto questo: è un film coraggioso, moderno nel linguaggio e nei temi, spiazzante ed emozionante.

In videochiamata, correndo senza sosta

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Tapirulàn: Claudia Gerini in una foto dal set

Emma (Claudia Gerini) è una counselor, una psicologa. Ma lavora in modo molto particolare, da remoto, com'è abitudine di tanti di noi dal lockdown in poi, tramite un'applicazione che permette una serie di colloqui on line. Solo che Emma fa i suoi colloqui correndo, senza sosta, su un tapis roulant, o un Tapirulàncome recita il titolo del film. Dice che la corsa sviluppa endorfine, che la fa stare bene, che la aiuta a concentrarsi. Così continua a prendere una videochiamata dopo l'altra, ascolta, consiglia, partecipa. E intanto corre. Ma la corsa, in fondo, è anche una droga, e allo stesso tempo una difesa, un modo per non pensare. E il tapis roulant è il modo per farlo stando a casa. Non uscire mai significa non intrecciare vere relazioni, non mettersi in gioco, non aprirsi. Perché Emma ascolta le storie degli altri, ma dentro di sé ha la sua, una storia che dovrebbe essere ascoltata. Insieme a lei assistiamo alle vicende di un aspirante suicida che ha perso la figlia, di un pirata della strada che ha ucciso un uomo, di una donna vittima di violenze. E altre storie, come un adolescente che si scopre omosessuale e una ragazza che non si piace e vorrebbe ricorrere alla chirurgia. Ma a chiamare Emma c'è anche la sorella Chiara: le dice che il padre sta male. Ma, per qualche motivo, Emma non ne vuole sapere.

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L'opera prima di Claudia Gerini

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Tapirulàn: Claudia Gerini in un'immagine dal set

Tapirulàn è l'opera prima, di grande maturità, di Claudia Gerini. É un'opera assolutamente moderna, contemporanea, nella forma e nei contenuti. L'idea, molto forte, di partenza, è quella di un film come Locke di Steven Knight (replicato proprio in questi giorni, in chiave thriller, in Corsa contro il tempo - The Desperate Hour, ma anche, in altro modo, da un film come Vetro). L'idea è quella di mettere al centro del film una persona sola, bloccata in un luogo, o in una situazione, e di far muovere intorno ad essa un intero mondo, una serie di storie, di persone, di stati d'animo, grazie a voci, telefonate, videochiamate. In questo modo, il personaggio in scena è come un sole attorno al quale ruotano tutti i personaggi e tutti i problemi. E sono i suoi raggi, cioè l'attenzione che dedica loro in quel momento, a illuminare di volta in volta una delle storie che passano accanto. Se Tom Hardy, in Locke era fermo ma in movimento, bloccato all'interno di un'automobile, e in viaggio verso la via di casa, Claudia Gerini in Tapirulàn è anche lei ferma, chiusa nel suo appartamento dalle grandi vetrate, ma in continuo movimento. E non solo perché corre su quel nastro trasportatore. Ma anche, e soprattutto, perché viaggi con la mente, entra ed esce continuamente dalle storie delle persone. Ma la sua mente è in un continuo viaggio tra l'eterno e l'interno. Perché, contemporaneamente, Emma guarda anche continuamente dentro di sé. Se Emma ascolta tutti, chi ascolta Emma?

Una straordinaria palestra per Claudia Gerini

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Tapirulàn: Claudia Gerini in una sequenza

Lo script di Antonio Baiocco e Fabio Morici, con la collaborazione di Claudia Gerini (Fabio Guaglione è il produttore creativo), geniale già di per sé, offre una straordinaria - passateci il gioco di parole - palestra per Claudia Gerini. Dal punto vi vista attoriale in primis: perché il suo "assolo" in Tapirulàn è una prova prima di tutto fisica (l'attrice corre in continuazione per tutto il film) ma finisce per essere una prova soprattutto emotiva. Perché con il corpo concentrato, teso nello sforzo fisico, è tutta negli occhi che si concentra la commozione, l'empatia, il dolore che scaturisce dal personaggio. La tensione, che dal fisico in pieno sforzo arriva al viso, un viso sicuro di sé in tutta la prima parte del film, pian piano si scioglie. La prova di Claudia Gerini però è anche nella regia, nel modo in cui, in un mondo freddo come quello delle videocall, riesce a far arrivare calore ed empatia. La sua recitazione è straordinaria, a maggior ragione se pensiamo che ha recitato per tutte le riprese davanti a uno schermo verde: la recitazione degli altri personaggi, che interagiscono con lei praticamente solo grazie a uno schermo, che è integrato sul tapis roulant dove corre, sono state aggiunte infatti in un secondo momento. E questo fa capire la grande prova dell'attrice. A livello di regia, Claudia Gerini si sofferma spesso sulla corsa del suo personaggio, sulla sua statuaria immagine, a figura intera, o nei dettagli delle gambe, riprendendo la protagonista di lato, dall'alto, da tutti i punti di vista. Man mano che il film avanza, viene dato sempre più spazio al viso.

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L'immagine delle relazioni di oggi

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Tapirulàn: Claudia Gerini in una scena del film

Tapirulàn, infatti, è una variazione sul tema "Locke" soprattutto dal punto di vista visivo. Perché, se in quel film, il mondo attorno al protagonista arrivava sempre attraverso la voce, qui avviene anche attraverso le immagini. Le relazioni di Emma con i suoi pazienti avvengono soprattutto attraverso la videochiamata, e così l'immagine cinematografica diventa quella dello schermo dello smartphone o del computer, per tutti noi ormai quotidiana. La forma visiva di Tapirulàn, in questo senso, è apparentemente quella delle inquadrature casuali, non curate, dei nostri collegamenti casalinghi, ma è in realtà perfettamente costruita e cinematografica. La regia gioca spesso con il riverbero, quello del volto della protagonista sullo schermo, in modo che appaia in qualche modo sovraimpressa ella immagini dei suoi pazienti, come se si compenetrasse con loro, cosa che effettivamente finisce per fare nel momento in cui sviluppa una forte empatia. Ma è un riverbero anche quello della voce, che arriva a noi attraverso l'amplificazione della videochiamata, effettata. L'immagine di noi che arriva dalle sequenze di Tapirulàn è quella che ci arriva ormai tutti i giorni: non un'immagine diretta, reale, quella dei rapporti dal vivo, ma quella filtrata, in qualche modo modificata che ci arriva dalle nostre relazioni che avvengono attraverso uno schermo, (sì, un Black Mirror), quello delle videochiamata, ma anche quello dei social network.

Una vita on demand e in delivery

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Tapirulàn: Claudia Gerini sul set del film in veste di regista

Tapirulàn, allora, diventa qualcosa di più importante della storia che racconta. Diventa un simbolo, una metafora dei tempi che stiamo vivendo. Emma è una persona che, in un mondo post lockdown (vediamo finalmente indossare una mascherina in un film, nel momento in cui si trova in ospedale) continua a vivere quello stile di vita che in tanti abbiamo adottato, e in tanti continueremo, in parte, a vivere, in tanti non abbandoneremo più. É una vita on demand, una vita in continuo delivery. Una vita in cui tutto si può scegliere e ordinare da casa, consumare da casa. Anche il sesso, per Emma, è on demand. Tapirulàn vuole essere allora la fotografia di un'epoca. Ma anche l'esortazione a muoverci, a non correre da fermi, e a non vivere una vita esclusivamente "da remoto".

Conclusioni

Nella recensione di Tapirulàn vi abbiamo spiegato che la tecnologia, la pandemia, il mondo che cambia ci ha dato la scusa per non muoverci, per non rischiare, per avere un atteggiamento guardingo, passivo, nei confronti della vita. Tapirulàn ci racconta tutto questo: è un film coraggioso, moderno nel linguaggio e nei temi, spiazzante ed emozionante.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.2/5

Perché ci piace

  • L'idea di partenza, una donna che, correndo, ascolta le storie di tante persone, è molto forte.
  • Claudia Gerini si getta anima e corpo nel film con un'interpretazione di grande intensità.
  • Il discorso sulle nostre abitudini è estremamente attuale.

Cosa non va

  • Il film ha bisogno del tempo necessario per entrare nel vivo.