Takeshi Kitano (Tokyo, 18 Gennaio 1947) è nato e cresciuto nella Tokyo dell'immediato dopoguerra. Da giovanissimo, dopo che il padre ha abbandonato la famiglia, con la madre ed i fratelli è costretto a trasferirsi nel quartiere di Senju, Tokyo, un luogo poco rassicurante con le strade che straripano di yakuza e malviventi vari. Innegabilmente le difficoltà vissute dal giovane Kitano, in questa prima fase della sua vita, influenzeranno e non poco il suo cinema.
Passano gli anni e Takeshi Kitano scopre un amore innato per la comicità, al punto da lasciare gli studi universitari e trasferirsi ad Asakusa, storico quartiere di Tokyo, nel 1972. Qui trova lavoro come tuttofare al Français, poliedrico cabaret gestito dal noto comico, sul viale del tramonto, Senzaburo Fukami.
Fukami riconosce subito le qualità del giovane Kitano e lo prende sotto la sua ala protettiva; Kitano in brevissimo tempo apprende ed assimila alla perfezione i tempi comici e lo stile del maestro, imparando a ballare il tip tap e ad eseguire esilaranti sketch comici. Kitano è fulminato dalla maestria di Fukami, tuttavia il ragazzo è assai ambizioso e vuole sfondare in tv. A malincuore, verso la fine degli anni settanta, lascia il locale e con l'amico Kaneko Kiyoshi forma il duo Two Beats, cimentandosi nel manzai. Kitano e Kiyoshi sono una forza della natura, i loro dialoghi irriverenti e politicamente scorretti, vicini allo stile di Lenny Bruce, sconvolgono la tv giapponese. Il resto è storia.
L'esordio cinematografico
La carriera televisiva di Kitano è senza freni: il noto comico in breve tempo diventa una celebrità nazionale, partorendo idee e programmi con una velocità impressionante. Tra il 1986 ed il 1989 inventa, dal nulla, il geniale e grottesco Takeshi's Castle, una sorta di "Giochi senza frontiere" in cui i concorrenti devono superare assurde e demenziali prove fino ad arrivare all'assalto al castello del conte Takeshi. Giunti all'ambito palazzo, dovranno vedersela con Kitano in persona, il quale spalleggiato da diversi sgherri darà vita ad una sorta di Death Race, degna del miglior Corman.
Parallelamente il noto comico/presentatore colleziona sporadiche apparizioni cinematografiche e la prima consacrazione arriva nel 1983 con Furyo di Nagisa Oshima.
Il pubblico fatica un po' ad abituarsi al Kitano cinematografico ma critica e produttori non vogliono lasciarselo sfuggire ed ecco che nel 1989 viene scritturato per Violent Cop. L'attore è fortemente voluto da Kinji Fukasaku, tuttavia il regista, per motivi imprevisti, abbandona all'ultimo la nave e Kitano viene quindi promosso regista (mantenendo sempre il ruolo principale).
Violent Cop è un film molto importante, Kitano inizia ad esplorare lo storico yakuza-eiga rivoluzionandolo dalle fondamenta. Il film, una sorta di ispettore Callaghan nipponico, si allontana e non poco dalla forma classica proposta spesso dalla Toei; quindi il regista rifiuta lo stoico senso di sopportazione degli eroi interpretati da Ken Takakura, proponendo altresì uno sguardo cupo e disilluso.
Kitano quando veste il ruolo di regista abbandona l'appellativo di Beat Takeshi (con cui è noto in televisione o in veste di attore) e diventa semplicemente Takeshi Kitano: autore nichilista, capace di realizzare pellicole personalissime fuori da ogni schema.
Kitano altresì gioca e non poco anche con il linguaggio filmico, proponendo soluzioni anomale ora iconiche: immagini statiche ravvivate da improvvise esplosioni di violenza, campi lunghi, ellissi, fuori campo e montaggio ellittico e sintetico qui spopolano alla grande.
Il film presenta poi altri elementi che andranno a caratterizzare la poetica del maestro. Dal binomio gioco/morte, alla presenza del mare: forza della natura tanto pericolosa quanto soave.
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Yakuza Eiga, e non solo
Passa un anno e Kitano firma il bis con Boiling Point, altro yakuza-eiga ancora più sperimentale del precedente. Un film in cui l'autore vuole sottolineare l'imprevedibilità della realtà, alternando con estrema disinvoltura toni leggeri e segmenti disorientanti e stranianti; segmenti dove basta un attimo e sei fuori da giochi, game over. Traumnovelle anarchica, Boiling Point è il perfetto punto d'incontro tra Godard e Schnitzler.
Due film, due yakuza-eiga; la critica pertanto non tarda ad etichettare Kitano come possibile nuovo maestro del genere. Il regista tuttavia non è d'accordo, odia le classificazioni, quindi nel 1991 con Il silenzio sul mare cambia rotta e realizza un sentitissimo atto d'amore nei confronti del mare, elemento imprescindibile della sua poetica.
Il mare, un po' come i personaggi dei suoi film, riesce ad essere estremamente affabile quanto spietato, così infinitamente bello e crudele.
Kitano ad ogni modo è un regista assai imprevedibile, quindi nel 1994 ritorna sui lidi dello yakuza-eiga destrutturandolo nuovamente: nasce Sonatine. Sonatine è un'opera esistenzialista laddove i silenzi tipici di Ozu, la violenza kubrickiana e le geometrie hitchcockiane si fondono in una visione assolutamente personale. Visione lontana da ogni schema, come confermato dall'avanzamento narrativo e dalla messa in scena.
Singolare l'inizio dell'opera con l'autore che ci mostra la quotidianità lavorativa dello yakuza Murakawa (lo stesso Kitano), diviso tra riunioni, lunghe attese e spedizioni punitive; il tutto contraddistinto da un ritmo volutamente lento, velocizzato improvvisamente da inaspettate esplosioni di violenza. Ma la vera rivoluzione si materializza quando gli uomini di Murakawa giungono ad Okinawa e decidono di rifugiarsi in una spiaggia cittadina. La spiaggia è il simbolo dello scorrere lento del tempo, i personaggi soli nella loro angoscia sono in attesa del loro triste destino; tuttavia per provare ad esorcizzare e allentare la tensione inventano strani giochi, tanto nazionali quanto internazionali. Scelta rivoluzionaria poiché Kitano oltre ad immortalare personaggi fuori dal loro ruolo di malviventi, fa emergere con lirismo e originalità il suo stile contraddistinto da una dialettica di elementi antitetici fra loro: gioco-morte, dramma-commedia, azione-stasi, crudeltà e dolcezza.
1994, altro giro, altra corsa. Kitano è inarrestabile e firma l'eclettico ed inclassificabile Getting Any?. Il film è una sorta di pastiche demenziale critico-autoreferenziale, con l'autore che riflette sulla sua carriera tornando fino ai suoi esordi. Non contento, decide di parodiare anche tutto lo star system cinematografico locale: dallo yakuza-eiga alla love story, dai kaiju eiga ai tokusatsu.
Biografia e percorso artistico da sempre formano un legame indissolubile nella filmografia di Kitano ed è proprio da questa prospettiva che nasce il lungometraggio. Kitano letteralmente si specchia ed affronta il proprio passato con piglio ribelle, provando addirittura a distruggere il suo cinema. Inconsciamente getta le basi del cosiddetto suicidio artistico kitaniano.
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L'incidente
Getting Any? non viene assolutamente compreso da pubblico e critica, e fallisce miseramente al box-office. A tutto ciò segue una terribile disgrazia.
Il 2 agosto 1994, Kitano è vittima di un violento incidente motociclistico, a causa del quale dovrà subire un invasivo intervento di chirurgia estetica al volto. Le conseguenze sono pesanti, con il regista che rimane paralizzato nella parte destra. Questo incidente incide profondamente sul lato psicologico dell'artista. Il nichilismo dei film precedenti si ripresenta sotto vesti ancora più cupe, e a tutto ciò si aggiunge una maggiore consapevolezza del valore della vita e della morte. Tematiche già presenti nel suo ritorno sulla scena da regista: Kids Return.
Il film è molto autobiografico e ripercorre, a grandi tratti, la giovinezza dell'autore. Kitano descrive una realtà fredda e spietata, dove ormai non esiste nessun valore se non l'individualismo. Una menzione d'onore la merita poi il finale altamente lirico con i due protagonisti che, dopo aver scelto strade diverse, si rincontrano. Entrambi sono dei falliti, scartati senza pietà dalla società, decidono quindi di evadere momentaneamente da questa triste realtà, concedendosi un soave giro in bici: in un mondo caotico che non guarda in faccia nessuno, l'amicizia sincera è forse l'unico bagliore di una falsa salvezza.
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La consacrazione internazionale
L'anno successivo Kitano cambia ancora pelle e decide di sintetizzare in un unico film sia gli afflitti romantici, intravisti ad inizio carriera, sia quelli nefasti e tragici tipici dei suoi yakuza-eiga: nasce Hana-Bi. La pellicola con estremo stupore trionfa a Venezia, insignita del Leone d'oro, e lancia Kitano nell'olimpo dei grandi autori mondiali. L'opera ancora una volta si aggrappa ad evidenti richiami biografici, questa volta veicolati in primis dalla forza guaritrice e vitale della pittura, arte appresa da Kitano dopo l'incidente. Ed ecco che l'inquadratura si riempie di immagini visionarie, prelevate dagli stessi quadri realizzati dal regista generando un nuovo percorso iconico. Dalla pittura arriviamo al baseball, sport amatissimo dal Kitano bambino, giungendo poi ai lidi dello yakuza-eiga anarchico e esistenzialista, passando infine per una storia d'amore bucolica-shakespeariana: con i due coniugi che non si sfioreranno quasi mai, basta un semplice e rapido scambio di sorrisi per comprendere il loro profondo legame. Kitano in un nanosecondo non solo diventa uno degli autori più stimati del cinema internazionale, ma anche un vero e proprio punto di riferimento per tutto il nuovo cinema giapponese.
Da questo momento in poi Kitano inanella una serie di opere distantissime tra loro, a livello tematico, ma molto affini come humus creativo e stilistico. Opere fortemente coese e fondate, come già visto, su una dialettica antitetica. Kitano realizzerà iconici chambara (Zatōichi), coloratissimi esperimenti visivi vicino al teatro bunraku (Dolls), commedie umaniste e poetiche (L'estate di Kikujiro), yakuza-eiga transatlantici (Brothers), yakuza-eiga pulp-nichilisti (la trilogia di Outrage) o yakuza-eiga parodici-demenziali (Ryuzo and the Seven Henchmen) fino ad ermeneutiche operazioni artistiche atte a rivangare la propria carriera (Glory to the Filmmaker!, Takeshis' o Achille e la tartaruga). Questo è Kitano... uno, nessuno, centomila.