Quando lo abbiamo visto, commosso, stringere tra le mani il Golden Globe ringraziando "il suo migliore amico Rocky Balboa", è scappata una lacrimuccia anche a noi. Alla soglia dei 70 anni, Sylvester Stallone ha l'occasione per redimere una carriera già incredibilmente ricca e longeva, che lo ha reso una star in ogni angolo del Pianeta Terra, ma avara di premi. Dopo l'incredibile exploit di Rocky che, nel 1976, ottenne tre Oscar assicurando a Stallone le candidature come miglior attore e miglior sceneggiatore, il divo si è trasformato in un'icona machista ultracommerciale divenendo bersaglio della critica con i suoi action sgangherati e con i blockbuster intrisi di retorica repubblicana. Pioggia di dollari, dunque, ma anche di fischi, e pochi premi importanti... almeno fino ad ora.
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In realtà lo Stallone italiano vanta una discreta collezione di Razzie, le famigerate pernacchie d'oro, che vengono consegnate, come da tradizione, il giorno prima degli Oscar per le peggiori performance dell'anno. Con i Razzies è riuscito a segnare diversi record. Ancora oggi ne è campione assoluto con 32 candidature e 10 vittorie, in più vanta il primato della più lunga serie ininterrotta di nomination: dal 1985 al 1997 non ha saltato un anno. Questi piccoli incidenti di percorso non hanno impedito a Stallone di diventare uno degli attori più amati di sempre, dall'esistenza (e dai bicipiti) larger than life.
Un fisico scolpito da anni di allenamento, bodybuilding e steroidi, tre mogli (tra cui la statuaria Brigitte Nielsen, sua compagna di set in Rocky IV), cinque figli, oltre 50 film. Il figlio di Hell's Kitchen nelle cui vene scorre sangue italico - il padre Frank era un immigrato pugliese - di strada ne ha fatta da quando i suoi compagni di scuola lo hanno eletto "l'allievo con più possibilità di finire sulla sedia elettrica". Lo stesso Stallone è consapevole di essersi costruito la propria fortuna con intelligenza, cuore e con lo zampino della buona sorte. In passato, parlando di sé, dichiarava: "Non sono bello nel senso classico del termine. Gli occhi sono cadenti, la bocca è storta, i denti non sono regolari, la voce suona come quella di un becchino della Mafia, ma in qualche modo l'insieme funziona".
Rocky: là dove tutto ha avuto inizio
Quando le cose devono accadere accadono. Prima di scrivere e interpretare Rocky, Stallone era un attore male in arnese che collezionava particine per sbarcare il lunario. Nel 1975 Sylvester ha 106 dollari sul conto in banca, una moglie incinta, un cane affamato e non sa come pagare l'affitto del suo squallido appartamento di Hollywood. Una sera, in un cinema, assiste all'incontro tra la leggenda Muhammad Ali e Chuck Wepner, il 'sanguinatore di Bayonne'.
Da lì ha l'idea di raccontare la storia di un perdente, di sogni e ambizioni infrante. Si mette al tavolino e in tre giorni e mezzo riempie con una penna Bic un pacco di fogli che la moglie ribatte pazientemente a macchina. Lo script è pronto, ma ancora, per Stallone, il momento non sembra propizio. Quando viene respinto all'ennesimo provino, parlando coi produttori spiega di essere anche uno sceneggiatore e fa leggere loro lo script di Rocky. La storia li rapisce, ma c'è un ulteriore ostacolo. Loro vogliono un volto famoso come protagonista, un Robert Redford o un Burt Reynolds, ma Stallone sogna di interpretare Rocky Balboa e arriva a rifiutare un'offerta di 265.000 dollari pur di non cedere i diritti della sua sceneggiatura. Confessa alla moglie che piuttosto preferirebbe seppellire lo script nel cortile, lasciando che siano i vermi a interpretare Rocky. Alla fine, però, la spunta e il suo pugile tenero e ingenuo, tutto muscoli e cuore, conquista il pubblico.
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Il 1976 segna il trionfo di Sylvester Stallone. Rocky diventa il più alto incasso dell'anno negli USA e i tre Oscar vinti ne segnano la consacrazione artistica. Tre anni dopo Stallone torna a far visita al suo pugile di Philadelphia in Rocky II. Stessi personaggi, situazioni simili, incassi in flessione. Anche se la critica apprezza la pellicola, manca quella rabbia di fondo, quella fame di successo che pervadeva l'originale. Eppure Rocky Balboa si è guadagnato un posto stabile nel cuore del pubblico e Stallone decide di tornare periodicamente a raccontare le gesta del suo alter ego adeguandole ai tempi. In Rocky III fanno la loro comparsa i wrestler Mr. T e Hulk Hogan, ma anche la celebre statua in bronzo di Rocky, creata dall'artista A. Thomas Schomberg e posizionata in cima alla scalinata del Philadelphia Art Museum (gesto che scatenerà le ire dei sovrintendenti del museo).
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Il film resta, però, impresso nella memoria collettiva soprattutto per l'epica Eye of the Tiger dei Survivor, brano che verrà riutilizzato in Rocky IV. Quest'ultimo è il film più camp del franchise, con Rocky all'apice della fama e Stallone che decide di dire la sua sulla Guerra Fredda con un'ardita metafora sportiva. Il mito non viene scalfito, ma la critica boccia il lungometraggio. Per Rocky V (1990), Sylvester Stallone torna a rivolgersi a John G. Avildsen, regista del primo Rocky, raccontando la storia del pugile, ormai in disgrazia, e della difficile relazione col figlio, interpretato dal vero figlio di Stallone, Sage. Con 40,9 milioni di dollari, Rocky V è il film della saga che ha incassato meno in patria.
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Sylvester Stallone tornerà a occuparsi del suo pugile solo 16 anni dopo, raccontando il suo ultimo combattimento in Rocky Balboa. Creed - Nato per combattere (attualmente nelle sale) vede un Rocky ormai vecchio e malato intento ad allenare il figlio di Apollo Creed. E mentre Stallone attende attende il verdetto degli Oscar, dopo aver centrato la candidatura come miglior attore non protagonista, l'incredibile successo di pubblico e critica riscosso in patria ha spinto MGM a mettere già in cantiere un sequel. Non è finita qui!
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Rambo: la guerra non finisce mai
A scanso di equivoci: Sylvester Stallone in Vietnam non ci è mai stato e non ha neppure fatto il militare. C'è chi sostiene che sia stato esonerato per via del nervo danneggiato da un parto difficile, che ne ha causato l'emiparesi facciale, chi vocifera che sia fuggito all'estero per evitare la chiamata alle armi. Sull'argomento il divo tace, perciò la verità non la sapremo mai. Fatto sta che nel 1982 (stesso anno di Rocky III), Stallone accetta di interpretare il reduce del Vietnam reietto e tormentato. Sono ormai dieci anni che Columbia Pictures ha acquisito i diritti del romanzo di David Morrell First Blood (uscito in Italia col titolo Rambo. Primo Sangue).
Da allora studios, registi e attori si sono succeduti nel tentativo di concretizzare l'adattamento, ma senza successo. Al Pacino declina il ruolo dopo che la sua proposta di rendere John Rambo matto come un cavallo viene rigettata, Dustin Hoffman, John Travolta e perfino l'italiano Terence Hill rifiutano per l'eccesso di violenza contenuto nella storia. Quando i produttori arrivano a Sylvester Stallone, forte del successo di Rocky, lui accetta, ma revisionerà sette volte lo script prima di approvarlo definitivamente al fine di rendere il suo personaggio più empatico. Il finale originale, in cui Rambo muore, viene eliminato, anche se pare che sia stata girata una scena di suicidio. Il film viene girato in Canada e, vista la scarsa quantità di armi a disposizione, queste vengono importate dagli USA. Per altro, 50 pezzi spariscono durante la lavorazione. Chissà se sono finiti nelle mani della blanda criminalità canadese o se adornano il camino di qualche cottage sul lago.
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Le reazioni a Rambo sono abbastanza positive. C'è chi considera questa critica del Vietnam, che mostra gli effetti del conflitto sulla psiche dei soldati e la difficoltà di reintegrarli nella società, uno dei migliori film dell'anno. Per altro, al di là della favoleggiata violenza, nel film si conta un solo morto. Anche questa è una modifica voluta da Stallone, visto che nel libro Rambo uccideva frotte di poliziotti che gli davano la caccia. A firmare la sceneggiatura del secondo capitolo, Rambo 2 - La vendetta, viene chiamato un giovane James Cameron, ma Stallone rigetta lo script ritenendolo troppo politico. La critica boccia il sequel, in cui il reduce del Vietnam scopre l'amore e la meditazione trasferendosi definitivamente nei pressi di un monastero in Thailandia, ma il pubblico lo adora. La verosimiglianza lascia il posto al mito e Rambo diventa un'icona così come la sua fascetta sulla fronte, che molti adottano a imitazione del personaggio.
Nel 1988, in Rambo III, vediamo il combattente ripescato appositamente dall'insopportabile Trautman, che lo stana perfino nel monastero in cui si è rifugiato per convincerlo a recarsi in Afghanistan ad aiutare i Mujaeddin che combattono i russi. Rmbo rifiuta, ma sarà ugualmente costretto a intervenire quando Trautman viene rapito. Per il Guinness dei Primati Rambo III è il film più violento mai realizzato con 221 azioni violente, 70 esplosioni e più di 108 uccisioni, ma John Rambo lo supererà raggiungendo quota 236 uccisioni. Il film arriva 10 anni dopo, nel 2008, e affronta la crisi della Birmania, ma ormai il militarismo è acqua passata e il film non fa l'exploit. Si vocifera da anni di un quinto capitolo che per ora sembra cancellato dai progetti di Sly. Una curiosità: il cognome Rambo, usato da David Morrell, nel suo romanzo, deriva dalle mele Rambo, che la moglie dello scrittore aveva comprato mentre lui lavorava al suo libro.
Tra action e cinema d'autore
Facciamo un passo indietro. Nel 1971 uno sconosciuto Sylvester Stallone ottiene due particine in cult come Il dittatore dello stato libero di Bananas di Woody Allen e Una squillo per l'ispettore Klute di Alan J. Pakula. Sly è una semplice comparsa, ma se il buongiorno si vede dal mattino... E invece il cammino recitativo del buon Sylvester, nel prosieguo, si sarebbe indirizzato verso una produzione rigorosamente commerciale, concentrandosi su adrenalinici action movie con sporadiche incursioni nella commedia e nella fantascienza. Eppure qualche perla nella filmografia di Stallone la possiamo comunque trovare.
Nel 1978 la star accetta il ruolo del protagonista, il sindacalista Johnny Kovak, in F.I.S.T., dramma operaio diretto da Norman Jewison ispirato alla vita di Jimmy Hoffa. Ma la pellicola d'autore più celebre che lo vede nel cast è l'epico Fuga per la vittoria di John Huston. Chi non ha pianto almeno una volta assistendo all'epica partita di calcio tra prigionieri di guerra alleati - con Stallone in porta - e Nazisti e all'incredibile finale in cui i giocatori vengono liberati dalla follia festante? Una delle pellicole sportive più amate di sempre, il film vede nel cast anche veri campioni come Pelé e Bobby Moore. Proprio parando un tiro di Pelè, Stallone si ruppe un dito. Tanto dolore, tanto onore.
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Non funziona, invece, l'alchimia tra il nerboruto attore e John Landis, che lo dirige nella vezzosa commedia commedia degli equivoci Oscar - un fidanzato per due figlie. A fianco di Ornella Muti, che interpreta sua moglie, e dell'iracondo padre Kirk Douglas, Stallone, che veste i panni del gangster Angelo 'Snaps' Provolone, effettivamente fa la figura del... provolone, ma il film in toto è dimenticabile. Dopo anni di successi commerciali fatti a brandelli dalla critica, quali Cobra, Over the Top, Tango & Cash e Dredd - La legge sono io, il divo inaugurerà la sua redenzione artistica nei panni di uno sceriffo sfatto, mezzo sordo e dolente in Cop Land di James Mangold, ottenendo il plauso degli addetti ai lavori.
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Dietro la macchina da presa
Se davanti all'obiettivo Sylvester Stallone ha imposto la sua immagine da macho, muscoli che guizzano, capello nero e lucido, dietro le quinte l'attore si è imposto puntigliosamente lasciando la propria impronta, direttamente e indirettamente, in molte delle pellicole che lo vedono protagonista. Sceneggiatore, produttore e talvolta anche regista, quando non ha trovato nessuno di suo gradimento a cui affidare i progetti, il divo se li è diretti da solo mettendo a frutto gli studi in cinema presso l'Università di Miami. A oggi Stallone ha diretto otto pellicole, esordendo nel 1978 con l'amaro Taverna Paradiso, storia di tre fratelli, immigrati italoamericani nella New York degli anni '40, che tentano di sfondare nel wrestling.
Se la maggior parte dei film - Rocky II, Rocky III, Rocky IV, Rocky Balboa, John Rambo e I mercenari - The Expendables (saga che riunisce tutte le star action degli anni '80 ormai attempate) - lo hanno visto auto-dirigersi nei franchise milionari che hanno sancito il suo status di star commerciale, vi è un titolo che spicca per la sua assenza. Si tratta di Staying Alive, sequel de La febbre del sabato sera, che torna a raccontare le gesta del ballerino Tony Manero/John Travolta. Dopo aver lasciato Brooklyn, Tony vive a Manhattan e sbarca il lunario insegnando danza e lavorando come cameriere in un dance club. Oltre a dirigere e co-firmare la storia, Stallone si incaricò di allenare personalmente Travolta curandone la preparazione atletica. Tuttavia il film non è stato apprezzato. In molti hanno sottolineato la mancanza di cuore e Entertainment Weekly lo ha addirittura definito "il sequel più brutto di sempre".
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Le sfide a colpi di muscoli, ristoranti e cervello!
Negli anni '80 e '90 Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger si sono sfidati a colpi di muscoli e di incassi sul grande schermo. In realtà nel privato i due erano grandi amici tanto da fondare in società con Bruce Willis, altra star action, e con l'allora moglie Demi Moore, la catena di ristoranti Planet Hollywood. Noti per l'improbabile menù e per i memorabilia contenuti nei locali, i Planet Hollywood sono sbocciati come funghi in varie parti del mondo - Roma compresa, in Via del Tritone si trovava l'unico locale italiano della catena - ma l'impresa non è andata molto bene tanto che nel 1998 Schwarzenegger ha venduto la sua quota per investire su affari più redditizi. Questo scivolone non ha scalfito l'immagine di Stallone. Il divo muscolare, in realtà, è uno dei più attenti amministratori di sé stesso e dei propri beni e, contro ogni previsione, ha anche le capacità per farlo. Scorrendo la lista dei membri del MENSA troviamo, a sorpresa, sia Stallone che il rivale in Rocky IV Dolph Lundgren, entrambi con un punteggio di 160. I due battono perfino Sharon Stone, altro cervello d'oro con un punteggio di 154. A quanto pare, nell'ambiente Stallone è considerato uno dei tipi più intelligenti di Hollywood. Quanto a Dolph Lundgren, lo svedesone ha conseguito un master in ingegneria chimica presso l'Università di Sydney prima di ottenere una Borsa di Studio Fulbright per il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Mai giudicare dalle apparenze!