L'avevamo intuito dal suo arrivo Cannes 2019: in un festival in cui tutte le star fanno a gara di eleganza, Sylvester Stallone si è presentato in jeans, stivali, cinturone da cowboy e camicia a quadrettoni da boscaiolo, una promessa di epicità per l'incontro che avrebbe tenuto più tardi, l'ultimo di questa 72esima edizione. Pugni al cielo e sorriso smagliante, l'attore è al Festival di Cannes per per promuovere il suo nuovo film, Rambo V, diretto da Adrian Grunberg (nel cast anche Paz Vega, che ha sfilato con lui sul red carpet), in uscita a settembre, ma anche per incontrare il pubblico.
Personaggio iconico e larger than life, ha preteso che l'incontro, condotto da Didier Allouch (vero fan del suo lavoro, finalmente delle domande interessanti a un rendez-vous di Cannes) fosse spostato dalla sala Buñuel, da 300 posti, alla Debussy, in grado di contenere 1600 persone: inutile dire che era tutto pieno. Presentato trionfalmente dal direttore del Festival, Thierry Frémaux, Stallone si è goduto una standing ovation di diversi minuti, prima di cominciare a parlare della sua carriera. Persino Jean-Paul Belmondo lo ama e gli ha fatto portare una foto incorniciata e autografata, che Stallone ha commentato, dopo averla sapientemente posata in piedi, accanto alla poltrona, per farla vedere al pubblico (che uomo di spettacolo totale!) così: "Grande! Per una vita ho cercato di rifare Borsalino, ma senza successo. Alain Delon lo controllava, credo. L'idea era farlo insieme a Kurt Russell". Lo show è continuato quando una ragazza gli ha chiesto se poteva sfidarlo a braccio di ferro: "Devo dirti di no perché ho visto persone insospettabili rompere il polso a gente grossa il triplo". Certo.
L'amore del pubblico per Sylvester Stallone è incondizionato: forse perché tutti i suoi personaggi, da Rocky a Rambo, passando per Cobra, sono dotati di grande resilienza? "Sì lo sono" ha detto l'attore, proseguendo: "Amo uomini e donne resilienti. Non accetto la sconfitta facilmente. Amo chi combatte per rimettersi in piedi, o reinventarsi. Le civiltà vengono distrutte, ma poi tornano". Lo stesso attore si identifica in questo spirito: "Non mi considero diverso dalle altre persone: il segreto è sconfiggere la paura. Tutti abbiamo problemi, ma se tieni duro può arrivare improvvisamente la telefonata che ti cambia la vita. Bisogna essere ottimisti. Rocky e Rambo sono così".
Quando Stallone non era ancora Sly
A vederlo ora, con almeno due ruoli leggendari all'attivo e amatissimo, non si direbbe, ma per Sylvester Stallone entrare nel mondo del cinema è stato molto difficile: "Per me non era facile: ho dei difetti fisici, ho avuto un incidente da piccolo e non pronuncio bene le parole perché ho una parte del labbro paralizzata. Quando mi presentavo ai provini per le pubblicità nessuno mi capiva. Non sapevo se ce l'avrei fatta come attore. Avevo anche un po' di accento. Poi ho incontrato Arnold Schwarzenegger e lui mi ha detto che avevo un accento. L'ha detto lui a me, capite?! Dovremmo aprire una scuola di dizione insieme. Se ce l'abbiamo fatta noi ce la possono fare tutti".
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Tutti amano Rocky
Il ruolo della vita di Sylvester Stallone, o almeno quello che gliel'ha cambiata, è sicuramente quello di Rocky Balboa: scritto e interpretato da uno Sly allora sconosciuto, nel 1976 Rocky ha vinto tre premi Oscar e trasformato l'attore in una star. Nessuno se lo aspettava, nemmeno lui: "La vita è una corsa e una lotta: Rocky è un personaggio molto amato perché il film è ottimista. Sono stato fortunato: la storia è semplice e parla di boxe, su cui sono stati fatte almeno 300 pellicole! Non sono un pugile, ho dovuto imparare: sul set hanno lavorato quasi tutti gratis, non avevamo nemmeno un camerino, ci cambiavamo in macchina, abbiamo girato tutto in 25 giorni con un budget inferiore al milione di dollari. Il nostro cameraman era al primo film: in teoria eravamo i peggiori e abbiamo finito per avere dieci nomination agli Oscar! Non avevamo nemmeno il cane: sono dovuto andare a cercarne uno! Anche dopo fatto il film, nessuno voleva distribuirlo, abbiamo dovuto lottare anche per avere una distribuzione nazionale piccola, da drive in, con biglietti meno cari. Non volevano nemmeno me come protagonista: volevano star come Burt Reynolds, Robert Redford, non me. Avrebbero preferito perfino un canguro a me! Per questo dico che non puoi mai sapere come andranno le cose".
Le tartarughe di Rocky? Le ho ancora, oggi hanno 55 anni e sono grandi quanto questa poltrona
Per chi se lo sta chiedendo, le tartarughe del film (Tarta e Ruga nella versione italiana) sono ancora vive: "Le tartarughe oggi hanno 55 anni: le ho ancora, sono delle dimensioni di questa poltrona. Dovrei fare un altro Rocky con loro: saremmo tre tartarughe. Sono rimaste vive solo loro, sarebbero le mie sole amiche". Anche la scalinata di Philadelphia gode di buona salute, tanto che ormai chiunque vada in quella città mima la corsa di Rocky sui gradini: "È vero, è un fenomeno, ma non è merito mio. La prima volta che Rocky sale sulle scale fallisce, la seconda invece guarda dall'alto la città e dice: ce l'ho fatta! Per questo la gente si identifica: è il potere del cinema. Ho visto perfino donne incinte e persone di ogni tipo farlo. È diventato un simbolo. E pensare che l'unico motivo per cui l'abbiamo girata è che non avevamo soldi ma ci serviva che Rocky si allenasse: è molto alta e per rendere maggiormente l'idea della sua forza avevo pensato di correre con in braccio il cane. Quel cane però pesava 65 chili! Era troppo pesante, non ce la facevo, arrancavo. Abbiamo quindi scartato l'idea".
In arrivo un sequel di Rocky?
Arriverà mai un nuovo sequel di Rocky? "Sono stato molto criticato per aver fatto dei sequel, ma se alcune serie tv vanno avanti per 10 anni e sono ancora amate, perché non farlo con i film? È vero, alcuni film sono pessimi, ma per Rocky abbiamo esplorato il personaggio in vari aspetti, avevo già in mente di farne una trilogia. Anche per Rambo sono stato fortunato: ero l'undicesima scelta! Nessuno voleva farlo: nel romanzo è un animale, uccide tutti, donne, bambini... Quando sono arrivati a me ci siamo detti: perché non farne un animale ferito, che torna in America, che è come sua madre, ma lo respinge? Questa è una buona storia".
Rocky ha (almeno per ora) concluso il suo percorso con Creed II, ma Stallone avrebbe ancora un'idea per lui: "In effetti ho ancora una grande idea, ma non so se la farò mai. Rocky che finisce in Messico a fare incontri clandestini e diventa tutt'altro. Penso sia fenomenale. Sarebbe qualcosa che non si è mai visto, completamente diverso. Portarlo da un'altra parte credo possa funzionare".
Rocky ha un potere catartico immenso: Stallone pensa che ci siano tanti Rocky nel mondo? "Ci sono Rockies e Rockettes: non ce ne sono mai stati così tanti. La lotta è sempre più dura. Quando dico che ero un signor nessuno mi dovete credere: l'anno prima di vincere l'Oscar facevo il parcheggiatore, che non c'è niente di male, ma la mia vita è completamente cambiata. Anche se hai centinaia di idee pessime ne basta solo una buona per cambiarti la vita. Inoltre è importante fallire: tutti i tuoi fallimenti ti rendono più intelligente. Il successo alle volte ti istupidisce, il fallimento ti rende più furbo".
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Il successo
Rocky ha trasformato Stallone in una star, ma rimanere nel mondo del cinema non è stato una passeggiata: "Sapevo di essere limitato come attore: sono un tipo fisico che può fare poche cose secondo l'industria. Ho capito che dovevo concentrarmi su quello che potevo fare. Non mi vedrete mai fare Tootsie, come Dustin Hoffman non farà mai Rambo. Amo la mitologia e me la sono costruita: amo costruire la mia realtà ogni giorno".
Dalla recitazione alla regia: come è avvenuto questo processo? "Ho scritto Rocky II e al regista non è piaciuto per nulla. Pensava che una volta vinto il titolo sarebbe dovuto diventare corrotto: soldi, visite alla Playboy Mansion, cose così. Ma per me quello non era il personaggio e lui se n'è andato. Ho pensato quindi di dirigerlo io: erano tutti sconvolti dal fatto che il regista che ha vinto l'Oscar per Rocky non dirigesse il sequel. Girare il sequel di un film che ha vinto l'Oscar: poca pressione! Amo dirigere, anche se non si va mai a casa, non dormi mai nel tuo letto. Sono pronto a rifarlo. L'ispirazione non manca mai: ogni giorno puoi prendere il giornale e tirare fuori almeno quattro idee buone per fare film. Succedono talmente tsnte cose nel mondo che l'ispirazione non si esaurisce mai".
Il corpo come forma d'arte
Sylvester Stallone è la star d'azione per eccellenza: quanto ha lavorato sul suo corpo? "Ho lavorato per forgiare il corpo secondo il mio ideale di mascolinità: il primo che mi ha colpito è stato Kirk Douglas, poi l'attore di Hercules, Steve Reeves, forse il peggior attore del mondo, ma aveva un corpo incredibile. Da piccolo ero magrolino e ho deciso che volevo essere così. Quando cambi il tuo corpo e sei in gran forma, a un certo punto diventi narcisista, tanto che vorresti andare in giro sempre nudo! Il set di Cop Land mi ha fatto capire quanto sia importante il nostro corpo: avevo del silicone in un orecchio per capire come sia non sentire bene. La perdita dell'udito mi ha cambiato la recitazione: leggi le labbra, ti avvicini agli altri, cambi postura del corpo. Per Rambo IV invece ho messo su peso, per far capire ancora di più che ormai è come un animale".
Quando Dolph Lundgren ha mandato Stallone all'ospedale
Anche il corpo di Stallone non è immune ai colpi: l'attore ha raccontato di quella volta che il collega Dolph Lundgren l'ha mandato in ospedale sul set di Rocky IV: "Rocky e Toro scatenato sono due film molto diversi: Toro Scatenato è un ottimo film biografico, Rocky IV è basato tutto su un incontro. Mi serviva quindi l'avversario perfetto: a un certo punto entra Dolph. L'ho odiato immediatamente. Perché? Perché era perfetto: spalle, collo, glutei, è altissimo... Mentre Rocky, cioè io, è basso, non parla bene. Dolph è un vero lottatore: mi ha dato un pugno che mi ha quasi fermato il cuore. Mi hanno portato in ospedale e quando sono arrivato pensavano che avessi avuto un incidente stradale. Rocky IV è un film di montaggio: è così che lo volevo, alla quarta pellicola non c'era bisogno di spiegare i personaggi. Le critiche sono state un disastro, ma commercialmente è stato il film più fortunato".
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La saga di Rambo
Dopo Rocky, un'altra icona: Rambo. Un personaggio molto diverso: "Mi considero un animale apolitico: non volevo dare un messaggio politico con Rambo, o farne un simbolo, anche se lo è diventato. Rambo è come un animale che non sa più qual è la sua casa. Ci siamo concentrati sul fatto che molti dei veterani, una volta tornati dal Vietnam, sono morti suicidi. C'erano le basi per una bella storia di alienazione. Nel film Rambo è come Frankenstein, una creatura che va uccisa, ma non volevo che il film finisse così, mi sentivo responsabile per tutti quei veterani in crisi. Rambo non è mai stato scritto per rappresentare un partito o un altro, ma il presidente Reagan dopo aver visto il film mi ha chiamato dicendo che Rambo era repubblicano. In ogni film Rambo non riesce mai a tornare a casa, anche quando ci va vicino".
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Il passaggio difficile tra gli anni '80 e '90
Non si vive di solo Rocky e Rambo: anche Stallone ha dovuto ingegnarsi per rimanere a galla tra un film e l'altro: "Come attore tra gli anni '80 e '90 sono andato con il pilota automatico: ho detto sì a moltissimi film, a volte con due anni di anticipo e ho finito per fare molte pellicole spazzatura. All'epoca la star era tutto, ma perché il film funzioni deve funzionare la storia, a prescindere da chi ci sia dentro. Le mie figlie me lo rinfacciano: perché hai fatto questo schifo? Mi chiedono. Ci ho pagato la loro istruzione, quindi non si possono lamentare".
Poi è arrivato Cop Land: "Per quanto riguarda i film fisici mi sono spinto più in là possibile. Ma sul set di Cop Land ho dovuto confrontarmi con attori come Robert De Niro, Harvey Keitel e Ray Liotta: gente che recita con gli occhi, che in un altro film avrei riempito di piombo. C'era del pregiudizio su di me, invece ho scoperto che ero ancora in grado di lavorare sulle emozioni, non solo col corpo. Ho amato molto fare quel film".
La rinascita e l'autoironia di The Expendables
"Dopo quel periodo c'è stato il declino: nessuno mi rispondeva più al telefono, era difficile lavorare. Allora mi sono detto che se dovevo mettere a posto una sola cosa, quella era Rocky: dopo potevo anche ritirarmi. Tutti mi hanno riso in faccia, mi dicevano che ero troppo vecchio, ma il film che volevo fare non era più sulla boxe, ma sulla perdita. Per me è stato l'apice della mia carriera, perché è stato difficilissimo farlo. E dopo hanno voluto un altro Rambo e I mercenari - The Expendables. Sono tornato. Il successo di The Expendables si spiega facilmente: è come per i cantanti di 30 anni fa, non sono più bravi, hanno vestiti brutti. Poi però fanno concerti eventi e si vendono migliaia di biglietti per vedere un concerto orribile. Lo stesso abbiamo fatto noi: nessuno avrebbe pagato per un film con uno solo di noi, invece tutti gli eroi della tua infanzia insieme è un evento, c'è curiosità. È proprio quello che abbiamo fatto noi. Anche perché sono un rottame: la mattina per farmi muovere devono oliarmi".
L'eterna rivalità con Arnold Schwarzenegger
Dopo essersi incrociati brevemente in I mercenari 2, Stallone e Arnold Schwarzenegger hanno girato insieme Escape Plan - Fuga dall'inferno. C'era davvero così tanta rivalità tra loro due? "Arnold ha copiato tutto da me! Glielo dico sempre. Scherzo. O forse no. Ci odiavamo all'epoca: ma è stato giusto così. Avere un nemico ti aiuta a migliorarti, a restare reattivo. Se non avessi avuto competizione l'avrei creata: avrei scelto un nemico a caso. Lui poi è super competitivo: è stato sette volte Mr. Olympia! Oggi siamo grandi amici. Certo, perché sono migliore di lui. Scherzo. Ma forse no. Con Escape Plan eravamo in ritardo di 35 anni, ma prima non siamo mai riusciti a metterci d'accordo su nulla, nemmeno il tipo di coltelli da usare. Alla fine ce l'abbiamo fatta: è l'ultimo film della sua tipologia, non vedremo mai più un film così, quindi andava filmato finché era possibile".
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Rambo V
Stallone è arrivato a Cannes sopratutto per promuovere Rambo V: Last Blood e ha quindi anticipato a grandi linee la trama: "Rambo sta ancora lottando con il senso di colpa perché è sopravvissuto al Vietnam. Ha un bellissimo ranch ma vive in un tunnel sottoterra. C'è un senso di oscurità, immobilità. Ha adottato una famiglia, ha una nipote ed è molto protettivo nei suoi confronti. Lei va in Messico per cercare suo padre e succedono cose brutte. La vendetta in questo film è seria: un sacco di persone si faranno male!".
Il rimpianto di non aver reso Cobra una saga
Tra i tanti personaggi interpretati da Sylvester Stallone, Cobra è un altro che aveva il potenziale per diventare una saga: è uno dei rimpianti dell'attore non averlo fatto: "L'idea alla base di Cobra è: cosa succederebbe se Bruce Springsteen avesse un distintivo e una pistola? Rock and roll e drama. Ho adorato quel personaggio: avrebbe potuto diventare un'altra saga. L'ho completamente bruciato, è colpa mia. Sarebbe stato perfetto anche per una serie tv. Ma ormai sono bollito, si dovrebbe fare senza di me".
L'eredità di Stallone e l'Oscar mancato
Nel 2016 Stallone ha quasi vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista per il ruolo di Rocky Balboa in Creed - Nato per combattere, ma ha perso contro il Mark Rylance di Il ponte delle spie: è qualcosa che gli brucia ancora? "Sì, mi dispiace. Ma è nello stile di Rocky arrivare molto vicino alla vittoria e poi non farcela. Inoltre è più importante che vinca il film che l'attore. Amo competere, ma onestamente come puoi far competere attori che recitano ruoli diversi? Capisco fosse lo stesso ruolo, ma se sono diversi come fai? Non puoi programmare la tua eredità: o lasci dopo di te cose che sopravviveranno all'infinito anche quando non ci sarai più o no. Il segreto è non smettere mai di dare pugni. Mai".