Preparatevi a fare la conoscenza di Gus, un ragazzino di dieci anni, che vive in una foresta, nascosto da occhi indiscreti. Il motivo è presto detto: Gus è metà umano e metà cervo, un ibrido raro persino all'interno del mondo in cui si svolge la storia. Un mondo post-apocalittico, radicalmente cambiato a causa di un virus letale che ancora circola. Forse, la fine del mondo è iniziata proprio dalla comparsa di questi ibridi come Gus. Ma sarebbe ingiusto relegare questa nuova serie Netflix, tratta da una celebre saga a fumetti scritta e disegnata da Jeff Lemire, all'ennesimo prodotto seriale che inizia con dei presupposti simili ad altre opere recenti. Abbandonando i toni più cupi, l'opera creata da Jim Mickle (anche regista degli episodi più belli) predilige uno sguardo maturo, ma ad altezza bambino, chiudendosi vittoriosamente nei confini della fiaba. Nella nostra recensione di Sweet Tooth, ovviamente senza spoiler, vi spiegheremo perché questa prima stagione è una delle serie più belle dell'anno, pronta ad accogliervi e scaldarvi il cuore.
Golosone di avventura
"C'era una volta", potrebbe iniziare così la storia di Gus, chiamato anche "Golosone" (traduzione del titolo della serie) per la sua passione per i dolci. E, per certi versi, quella di Sweet Tooth è proprio una fiaba che si rivolge direttamente allo spettatore. Della fiaba condivide lo sguardo infantile, innocente e meraviglioso, ma anche la tradizione dell'operetta morale in cui l'insegnamento è il punto di arrivo dello svolgimento. Ne condivide anche la struttura tipica del viaggio dell'eroe, il nostro protagonista è infatti chiamato a vivere un'avventura nel mondo a lui ignoto. La trama di Sweet Tooth inizia proprio dal principio, dalla nascita di Gus, dalla sua crescita all'interno di una foresta che lo protegge dal mondo esterno. Un mondo esterno messo a soqquadro da un virus letale che sta cambiando inevitabilmente la società. È un mondo diventato pericoloso, dove le persone vivono in paranoia e dove la natura si sta riconquistando il pianeta. Ma alla vigilia dei suoi dieci anni, Gus sente il bisogno di uscire da quel perimetro in cui era rimasto chiuso e scoprire la vastità del mondo. Il suo viaggio lo porterà a conoscere altre persone che sembrano condividere con lui un passato tragico e una voglia di riscatto come Jepperd, un ex-giocatore di football dal carattere duro. Ogni episodio di Sweet Tooth si apre e si conclude con la voce di un narratore esterno (quella di James Brolin nella versione originale), che guida lo spettatore verso il tema della puntata, in modo da creare, all'interno di una storia perfettamente orizzontale (cioè che prosegue di episodio in episodio) una serie di quadri che permettono una costruzione sempre maggiore non solo degli stessi personaggi, ma anche della sensibilità dello spettatore.
Non solo una storia
Ma Sweet Tooth non è solo la storia di Gus e del suo viaggio avventuroso. È anche la storia di Aditya Singh, un medico sposato che cerca di trovare una cura per sua moglie che ha contratto il virus. Ed è anche la storia di Aimee, una psicologa che ha trovato, dopo la pandemia, rifugio in uno zoo. Infine, è anche la storia del misterioso generale Abbot, un nome che tutti conoscono ma di cui pochi conoscono il volto. Queste varie storyline, a prima vista separate dalla storia del protagonista principale, procedono in maniera parallela per costruire un universo vivo in cui descrivere in misura maggiore una mitologia che, attraverso gli occhi di Gus, non verrebbe mai raccontata. Sono storie che, anche se non sempre coinvolgenti allo stesso modo, permettono di espandere il pubblico della serie sovrapponendo alla chiara matrice young adult anche un occhio di riguardo verso il pubblico adulto. Non è questo il luogo per raccontare come e se questi vari personaggi incroceranno le loro vite, ma basti sapere che arrivati all'ottavo episodio si ha la sensazione di aver assistito a una storia compatta e coesa, che sa chiudere un ciclo, ma che ne apre un altro più intrigante.
Questione di tono
La serie televisiva richiama la struttura tipica delle serie a fumetti, dove ogni numero è un passo in avanti nel percorso dei personaggi. In questo, Sweet Tooth ha un ritmo che, nonostante i momenti distesi e rilassati di cui è infarcita la narrazione, non subisce crolli. Ogni episodio contiene rivelazioni, colpi di scena o enormi passi in avanti rispetto a quello precedente che riesce a trattenere lo spettatore davanti allo schermo, appassionandolo e lasciandogli la voglia di vedere subito il proseguimento della storia. Tuttavia, sentiamo di sconsigliare la pratica del binge-watching per meglio apprezzare tutto ciò che sta intorno alla semplice trama. Il vero punto di forza di Sweet Tooth, infatti, è dato soprattutto dal tono utilizzato per raccontarla e dall'abbassamento del target di riferimento. Lo sguardo innocente e vergine di Gus viene messo in scena con una fotografia solare, con una colonna sonora che sa colpire le corde giuste e con un'autocensura nei momenti più violenti che non appare gratuita. Proprio relegare al fuori campo i colpi di violenza e il sangue che viene versato è una scelta che funziona in particolar modo: sembra di assistere a un prodotto a marchio Steven Spielberg degli anni Ottanta, che si rivolge a giovani spettatori ma senza rinunciare a momenti più seri e maturi. Da questo punto di vista, l'equilibrio che riesce a mantenere la serie lungo il corso dei suoi otto episodi ha dell'incredibile riuscendo a ritrovare la sensibilità e la libertà del miglior cinema indie. Nonostante le premesse apocalittiche, Sweet Tooth non vuole sconvolgere o disturbare lo spettatore: preferisce accoglierlo, farlo partecipe di un'avventura alla luce del sole, facendo scoprire al pubblico la stessa meraviglia che si ritrova negli occhi da cerbiatto di Gus.
Un cast che crea le emozioni
Si sa, per le storie corali è bene riuscire a trovare i volti giusti per portare in scena le emozioni che la storia necessita di esprimere. Il cast di Sweet Tooth è un perfetto esempio di volti, corpi e talento da lasciare stupefatti. E non possiamo che puntare i riflettori su Christian Convery, il giovanissimo attore che interpreta il protagonista Gus, una vera forza della natura, capace di farsi voler bene nel giro di pochi minuti. Gus è un personaggio complicato da portare in scena, perché a causa della sua innocenza e del suo carattere vulcanico da bambino curioso che sta scoprendo il mondo, il rischio è quello di rendersi antipatico agli occhi dello spettatore. Così non accade: Gus diventa presto il cuore vivo e pulsante della serie, tanto da far sentire la propria mancanza quando ci si concentra su altri personaggi. Un perfetto protagonista, però, ha bisogno di una perfetta spalla che si ritrova in Nonso Anozie. Il "Grande Uomo", cinico e disilluso, dal carattere schivo e riservato, è uno dei personaggi migliori della serie, che cresce lentamente. I due formano una coppia a cui è impossibile rimanere indifferenti. Per evitare potenziali spoiler ci limitiamo a citare i principali componenti del cast: Adeel Akhtar, Dania Ramirez, Neil Sandilands e Stefania LaVie Owen. Ma basti sapere che ognuno di loro sa caratterizzare il personaggio che interpreta in maniera unica e diversa: chi con una certa iconografia estetica, chi attraverso le emozioni, chi attraverso il linguaggio del corpo.
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Poco fumo e molto fuoco
All'inizio della serie Gus crede che fuori dai confini della sua casa nella foresta il mondo sia bruciato. Quando inizierà il proprio viaggio si ricorderà di non far notare il fumo dei propri falò notturni. Usiamo questa metafora per descrivere brevemente anche qualche sbavatura che, ovviamente, è presente, soprattutto nella parte centrale della serie. D'altronde, non esiste fuoco che non produce anche un po' di fumo. Come già detto precedentemente, non sempre tutte le storie dei vari personaggi riescono a coinvolgere allo stesso modo e l'assenza di Gus in più occasioni si fa sentire. Ma più che un difetto relegato agli sviluppi narrativi, è la forza del personaggio che risulta imprescindibile: quando ci si concentra sul mondo degli adulti la serie sembra rientrare in binari un po' più consolidati perdendo, a tratti, un pizzico della freschezza che la contraddistingue. Inoltre, non sempre gli effetti digitali si sposano al meglio con la scenografia e gli attori. È chiaro che il risultato ricerca una dimensione più fantastica che iper-realistica, ma per qualche spettatore potrebbe non essere sufficiente. Eppure, salvo qualche rara incertezza nel montaggio, Sweet Tooth è una serie molto attenta ai dettagli (basti notare al modo in cui Gus muove le orecchie, capaci di riflettere le sue emozioni) che sa come catapultare lo spettatore al suo interno. Perché quello che conta è l'avventura, il viaggio e quel calore umano da riscoprire. Il fuoco che dovrebbe invadere il mondo esterno si sprigiona dentro i nostri cuori, scaldandoci il sangue.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Sweet Tooth con la certezza di aver assistito a una delle serie più interessanti e riuscite di quest’anno. Con una trama avvincente, uno sguardo ad altezza bambino, una dimensione fiabesca che si rivolge sia ai giovani spettatori che agli adulti, ricca di colpi di scena e con un gran ritmo, la serie di casa Netflix è un centro quasi perfetto. Qualche sbavatura e qualche leggero calo nella parte centrale della stagione non inficiano il risultato di un’opera che sa essere intima ed epica, matura e innocente. Ma soprattutto calda ed emozionante. Si fa presto a perdersi nel mondo di Gus e si fa fatica a ritrovare la via di casa. Forse, è meglio così.
Perché ci piace
- La trama è coinvolgente, con un ottimo ritmo e parecchie rivelazioni che sviluppano la narrazione di episodio in episodio.
- Il cast è eccellente e sa come portare in scena i personaggi e le loro emozioni.
- Il tono della serie, ad altezza bambino, riesce a unire la meravigliosa innocenza a temi più maturi, appassionando giovani e adulti.
- La scelta di abbracciare una dimensione fiabesca, con le proprie morali e gli insegnamenti dovuti alla crescita, risulta particolarmente vincente.
Cosa non va
- Un leggero calo di ritmo e qualche incertezza tecnica negli episodi centrali.