Ancora oggi, per molti, pare quasi strano che Super 8 non sia un film di Spielberg, ma che sia stato diretto da J.J. Abrams. In effetti quello che ci trovammo di fronte dieci anni fa era una sorta di sintesi di tutti gli elementi che avevano reso Steven Spielberg il regista di riferimento per intere generazioni, dai baby boomers fino ai millennials. L'adolescenza problematica, il gruppo di ragazzini unito da un'avventura pericolosa ma esaltante, il mistero e la paura connessi all'ignoto, in questo caso ad un extraterrestre, il burrascoso rapporto con la genitorialità, il mondo degli adulti come ostile e pauroso. E il cinema. L'amore per il cinema trasudava da ogni immagine di Super 8, un amore sconfinato soprattutto per il "vecchio" cinema, quello che metteva al centro i personaggi, la storia e non gli effetti speciali. A dieci anni di distanza, è giusto guardarsi indietro, affrontare la natura ibrida e complessa di quello che era molto più di un homage o di un viaggio nella nostalgia, quanto piuttosto un'operazione complessa, volta a riconnettere il pubblico con un racconto fatto di emotività, coinvolgimento e scrittura.
Nel nome di Steven Spielberg
A ben pensarci, chi meglio di J.J. Abrams poteva raccogliere questa sfida, creare un'opera che raccogliesse l'eredità di Spielberg? Sia da sceneggiatore che da regista, Abrams si è sempre mosso cercando di portare avanti l'eredità del meglio della cultura pop anni 70 e 80, i due decenni che videro l'affermazione di Spielberg ma soprattutto il trionfo di un certo modo di fare cinema. Super 8 non a caso era ambientato nel 1979, al confine tra le due epoche, per quanto in realtà a livello visivo, tematico e diegetico, appartenesse molto di più agli anni 80, anche per il suo connettersi a fobie, paure e una certa dimensione socio-culturale propria dell'America reaganiana. La città di Joe è nell'Ohio, a maggioranza bianca, il classico piccolo universo dove pare che il resto del mondo non esista, tutti si conoscono, distanti dalla dimensione opprimente della metropoli. Steven Spielberg era nato in Ohio, poi però ad 11 anni era stato costretto a lasciare tutto e seguire i suoi genitori in Arizona, a Phoenix, dove avrebbe abbracciato la sua passione per il cinema e la sua identità di ebreo americano.
Come Spielberg, anche il giovane Joe (Joel Courtney) ha un rapporto assolutamente conflittuale con la figura paterna, si rifugia tra i suoi compagni, assieme ai quali cerca di creare un film. Si tratterebbe di un horror, che fu anche il primo lavoro ufficiale di J. J. Abrams (scrisse la colonna sonora per Nightbeast di Don Dohler) ma il vero, importante film che registreranno con la loro Super 8, riguarderà un incidente ferroviario. Nel 1958, a 12 anni, Spielberg creò la sua prima opera cinematografica: era uno scontro tra i suoi treni giocattolo. Corsi, ricorsi, riferimenti ed omaggi. All'uomo, alla sua vita e alla sua opera certo, ma soprattutto al regno dell'immaginazione che Spielberg in qualità di regista ma anche produttore ha saputo rendere iconico, punto di riferimento per tanti altri registi venuti dopo.
Un film che ha aiutato a recuperare gli anni 80
La fine degli anni 70, gli anni 80, il cinema e le serie ce li hanno descritti mediante racconti adolescenziali, in cui il "gruppo" andava alla scoperta del mondo, di se stessi, seguendo le linee narrative immaginate non solo da Spielberg, ma anche da Carpenter, da Stephen King e Richard Donner. Joe ed i suoi amici non sono diversi da I Goonies, dai ragazzi di Stand by me - Ricordo di un'estate o da Elliot che salva il tenero E.T. Come loro sognano ad occhi aperti, agognano la libertà, sono l'ultimo barlume di fantasia, empatia e solidarietà in un mondo in cui i grandi portano solo rancori, insicurezza ed egoismo. Vivono in un'epoca in cui la Guerra Fredda e l'incubo nucleare sono ben presenti, in cui persino in quella piccola cittadina dell'Ohio, ai primi segnali di qualcosa che non va, il pensiero va immediatamente ai russi, complice la propaganda contro "l'impero del male".
In sella alle loro Hutch Pro Star e String Ray Fastback cercano di staccarsi dalle loro famiglie noiose e consumiste, per quanto poi non vedano segretamente l'ora di essere grandi, di non dover più sottostare alla dittatura della loro inferiorità fisica e anagrafica. L'alieno con cui Joe e gli altri si devono misurare, è manifestazione dell'incredibile che si fa realtà, dell'invasione invocata da tanti film dagli anni 50 in poi. La sua natura è a metà tra il Predator e l'Alien, che negli anni in cui Spielberg ci mostrava i suoi angeli dello spazio portavano nell'universo sci-fi una sorta di gemello di quello squalo che lui aveva reso il drago dei nostri incubi marittimi. Nel descriverlo in realtà non come un vero cattivo quanto come un essere tormentato da un'umanità violenta e cieca, Abrams si connetté ancora una volta all'alieno spielberghiano. La creatura avrebbe indirettamente aiutato a far riscoprire agli adulti la centralità dei sentimenti, in particolare al padre di Joe, Jack Lamp (Kyle Chandler), Sceriffo pronto a difendere la sua città così come fece Roy Scheider sulle spiagge del 1975.
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L'adolescenza del tempo che fu
Abrams in Super 8 ha parlato di Spielberg romanzandone di fatto l'adolescenza, insistendo sul concetto di perdita, su quel rapporto paterno così terribile, fatto in incomunicabilità, di cecità emotiva e prevaricazione. Il tutto ha in realtà contribuito a togliere la patina retorica e alquanto irreale dell'adolescenza come momento idilliaco e esclusivamente positivo, che in pochi in realtà all'inizio colsero nel cinema del grande cineasta, persi nelle avventure e nelle meraviglie visive che egli ci donava. Grazie ad Abrams però, in Super 8 siamo riusciti anche ad afferrare la distanza semiotica che intercorre tra ciò che significava essere adolescenti negli anni 70 ed 80 (e perché no pure 90) e ciò che invece significa esserlo oggi. Si viveva molto più per strada che in casa, la tecnologia era comunque connessa al mondo fisico, si era meno individualisti e soprattutto si era molto più diversi gli uni dagli altri.
Oggi tutto questo è scomparso, oggi (ed è un paradosso) nell'epoca dell'inclusività, del rifiuto della discriminazione di genere e di razza, l'identità giovanile che vedeva lo spezzettarsi in gruppetti basati su diversi interessi e riti, si è completamente persa. Super 8 ci ha parlato di cosa voleva dire crescere nell'epoca del trionfo pop, anticipando per mano di Abrams ciò che poi Spielberg stesso ha omaggiato con Ready Player One, un film non per ragazzi ma per gli ex ragazzi dei tempi che furono. Quella dimensione fertile e unica di quel decennio, così diverso da tutti gli altri, è poi stata rilanciata da Stranger Things: una sorta di sequel non dichiarato, parallelo ma confluente nel racconto di Abrams.
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La mancanza di fantasia del cinema dei nostri giorni
Troppa nostalgia? L'"ok boomer" pare poter sbucare da un momento all'altro in Super 8, eppure la realtà è che J.J. Abrams ci ricordò com'era vivere al tempo del vero progresso, quando ci si stupiva per i primi miracoli dell'elettronica di massa, per gli effetti speciali di Tippett che rendevano iconici film fantasy e sci-fi. Si credeva nella tecnologia, si pensava all'anno 2000 come connesso a speranze, sogni, visioni di una dimensione avveniristica. Poi gli anni 2000 sono arrivati, la scienza è stata messa in discussione dal negazionismo e complottismo, la tecnologia non ha nobilitato le nostre vite ma le ha rese in realtà più sterili, ne ha stravolto ritmi, significato e alterato la nostra visione del futuro. Lo spazio profondo pareva il nuovo mare dentro cui perdersi con la nostra fantasia, come Joe e gli altri suoi compagni, invece lo spazio è diventato quello digitale, delle nostre vite dentro l'etere, dentro l'internet, quello sì che appare infinito eppure in realtà minuscolo.
Super 8 fu anche un grande atto d'amore verso il cinema, quel cinema che al contrario dei giganteschi cinecomics e blockbuster a base di CGI e nomi altisonanti, era fatto di idee, di sentimenti, di fantasia. Anche per questo, a distanza di quarant'anni, i film di quegli anni dominano, sono rielaborati, recuperati, tramite serie e remake, perché bene o male l'empatia che creavano con lo spettatore era insuperabile. La potenza emotiva di quattro adolescenti in bicicletta che portavano in salvo un alieno o andavano a caccia di un tesoro nascosto, non c'è budget faraonico che la possa battere. Può essere superata solo dal vedere Joe, che saluta il medaglione con l'immagine della madre, mentre vola nel cielo, portandosi via il suo dolore ma anche una parte della sua anima.