Sulle spiagge di Acapulco ci si gode la vita. Sole, mare e birra fresca a portata di mano. Poi un dettaglio sullo sfondo turba il nostro sguardo: militari armati che si aggirano tra gli ombrelloni come se nulla fosse. Apriamo la recensione di Sundown confermando l'interesse di Michel Franco per le contraddizioni del suo amato Messico. Quei contrasti sociali alla base del prorompente Nuevo Orden, che l'anno scorso conquistò il Leone D'Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, questa volta rimangono sempre in sottofondo, latenti e pronti a esplodere da un momento all'altro. Perché al centro dello schermo questa volta non c'è tanto il collettivo ma il cuore di un uomo tutto da decifrare. Non citiamo a caso il penultimo film di Franco, perché lo scioccante ritratto popolare visto in Nuevo Orden è stato rigettato in patria, creando non pochi problemi al regista. Questo ha influenzato anche le riprese di Sundown, girato quasi "di nascosto", con discrezione, senza dare nell'occhio. Sarà forse stato questo basso profilo a influenzare tutto il nuovo film di Franco, che torna in concorso a Venezia con un film indolente e passivo, che ci trascina nello sguardo spento di un uomo solo.
Lontano da tutto e tutti
Drink, massaggi e relax. Una ricca famiglia londinese è in vacanza ad Acapulco, quando una telefonata improvvisa scuote la loro quiete. Un lutto ha colpito l'impero dei Bennett, e così via con bagagli fatti alla rinfusa, lacrime e un aereo da prendere al volo. Però, poco prima di imbarcarsi, Neil decide di non partire fingendo di aver dimenticato il passaporto in hotel. La sua famiglia parte senza di lui, e l'uomo inizia a prendere le distante da tutto e tutti, rintanandosi in una routine fatta di cose semplici. Ammettiamo che descrivere Sundown è complicato. È complicato perché Franco ha dedicato un intero film a uno stato d'animo. Tutto Sundown, infatti, combacia alla perfezione con l'interiorità di Neil. Un uomo che da una parte subisce la vita senza scuotersi mai, e dall'altra se la gode ritagliandosi spazi tutti suoi senza rendere conto a qualcuno. Tim Roth indossa la sua ormai abituale maschera di apatia per dare (poca) vita a un uomo spento, impermeabile ai suoi affetti continuamente negati e rinnegati. Praticamente sempre in scena nel corso dei suoi lenti 83 minuti, Neil plasma Sundown a sua immagine e somiglianza, contagiando il film con la sua stessa svogliatezza.
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Senza accendersi mai
Come detto Sundown si trascina con Neil e come Neil. Un protagonista respingente anche per lo spettatore, visto che Roth e Franco non vogliono (e non elemosinano) la nostra empatia. Questo fa si che il film non si accenda mai, ma giri in tondo in attesa di uno scossone che fatica ad arrivare. Nonostante questo protagonista ingombrante, Franco riesce comunque ad abbozzare un discorso sociale ed economico. Come quando il benessere dell'Occidente stride forte con quel Messico accogliente solo in apparenza e marcio dentro. Il sole del titolo acceca mostrando le cose diverse da come sono, e poco per volta anche il film stesso inizia a cambiare pelle. Dopo una prima ora placida, Sundown inserisce qui e là squarci di incubo, sporca la realtà con un'immaginazione straniante, ma sono solo attimi. Perché appena Sundown sembra aprirsi un po' si rinchiude di nuovo su sé stesso. Schivo come Neil, come un uomo che abbiamo provato a capire e in realtà non avremmo mai potuto conoscere.
Conclusioni
Nella nostra recensione di Sundown abbiamo raccontato il nuovo film di Michel Franco. Ancora una volta ambientato in Messico, ma senza la forza prorompente e la ferocia di quel Nuevo Orden tanto apprezzato l’anno scorso qui a Venezia. Sundown rievoca tutto il tempo lo stato d’animo schivo e indolente del suo protagonista, un uomo passivo che plasma il film con la sua inguaribile apatia.
Perché ci piace
- L'idea di realizzare un film che rievoca lo stato d'animo di una persona.
- Franco e Roth hanno il coraggio di creare un protagonista respingente.
- Il contrasto sociale abbozzato è significativo...
Cosa non va
- ...ma rimane un discorso aperto e mai davvero affrontato.
- Il ritmo lento e compassato rende il film ostico.
- A qualcuno potrebbe persino sembrare un'opera inconcludente.