I sette, terribili giorni di un doloroso calvario, culminato nella notte fra il 21 e il 22 ottobre 2009. La morte di Stefano Cucchi, trentenne romano fermato una settimana prima dai carabinieri e arrestato per possesso di hashish e cocaina, rimane uno dei più scandalosi e discussi casi della cronaca italiana dell'ultimo decennio, con un primo processo conclusosi con un'assoluzione, la successiva riapertura delle indagini e, nel luglio 2017, il rinvio a giudizio di cinque carabinieri. E mentre la vicenda giudiziaria è ancora in pieno svolgimento, il film Sulla mia pelle rievoca invece, a partire dal suo arresto, gli ultimi giorni della vita di Cucchi. Sceneggiato e diretto da Alessio Cremonini, al suo secondo lungometraggio cinematografico dopo Border, e interpretato da Alessandro Borghi, Sulla mia pelle è stato scelto come titolo d'apertura della sezione Orizzonti alla settantacinquesima edizione della Mostra di Venezia, prima di approdare in contemporanea nelle sale italiane, distribuito da Lucky Red, e nel catalogo di Netflix.
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Il calvario di Stefano Cucchi
Aperto da una rapida prolessi sulla mattina del 22 ottobre 2009 per poi ritornare alla fatidica serata del 15 ottobre, Sulla mia pelle adotta un approccio ben preciso, a cui tiene fede poi per tutta la sua durata: un rigore che, visto il carattere della materia trattata, impedisce al racconto di scivolare nelle trappole del pathos ricercato a tutti i costi, così come nei cliché della tipica opera di denuncia. Al contrario, Alessio Cremonini evita saggiamente di forzare i toni per affidarsi in tutto e per tutto all'asciuttezza dei fatti; e laddove i fatti rimangono avvolti da un velo di indeterminatezza, la forza intrinseca del film si rivela più che sufficiente a mantenere intatti i livelli di tensione. Si veda il caso emblematico del pestaggio di Stefano Cucchi: l'evento-cardine della storia non si svolge davanti agli occhi dello spettatore, ma è relegato in un'ellissi che risuona con una potenza assordante.
In questo modo, il film di Cremonini non solo si sottrae ai rischi di un semplice manicheismo, ma lascia che a parlare siano i segni sulla pelle del protagonista, trasformando il corpo di Cucchi - livido, tumefatto, scheletrico - in un elemento narrativo primario ed ineludibile. In quest'ottica risulta eccezionale il lavoro di Alessandro Borghi, artefice di una prova mimetica, ma anche equilibrata alla perfezione: dal suo corpo ferito, dalla voce sempre più strascicata, dallo sguardo spento e disilluso emerge, giorno dopo giorno, la silenziosa disperazione del personaggio, rassegnato al proprio ruolo di vittima all'interno di un meccanismo rispetto al quale Stefano avverte di non potersi sottrarre.
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Un omicidio di Stato
E al di là delle circostanze della vicenda specifica (per la quale ancora si attende che la giustizia italiana si pronunci in maniera definitiva), il suddetto meccanismo è appunto il bersaglio primario di Sulla mia pelle, nonché il suo principale territorio d'indagine: la superficialità, l'indifferenza, la comoda vigliaccheria che intaccano come un cancro organismi e apparati dello Stato. Perché a suscitare un brivido più e più volte, nel corso della visione, sono proprio il distacco o la cecità ipocrita manifestati nei confronti di Stefano Cucchi, la facilità con cui viene accettata la sua reiterata frase "Sono caduto dalle scale": senza assunzioni di responsabilità, senza un reale tentativo di scardinare quella versione per nulla credibile. E con l'aggravante di una burocrazia disumana che impedirà ai genitori di Cucchi e alla sorella Ilaria (Jasmine Trinca) di avere contatti con il ragazzo durante il suo ricovero all'ospedale Sandro Pertini.
La fotografia cupa di Matteo Cocco e la prevalenza delle ambientazioni in interni (appartamenti, celle, aule di tribunale e camere d'ospedale) contribuiscono in misura ulteriore a quel senso di claustrofobia via via più opprimente di cui tutto il film è permeato: senza momenti di vera tregua, senza mai allontanarsi troppo a lungo dagli occhi e dal volto del suo protagonista. Quel volto fotografato in un agghiacciante ritratto post mortem, sul lettino dell'autopsia, e diventato l'inesorabile memorandum di una vergogna nazionale di cui il film di Cremonini rappresenta una penosa e lucidissima testimonianza.
Movieplayer.it
3.5/5