Sul cattivo cinema
Accanirsi su un film come Il nostro messia, parlarne in termini poco entusiasmanti serve davvero poco, perché è un'opera piccola e squattrinata che non punta a piacere, a comprare i propri spettatori ingannandoli, ma prova semplicemente a far bene, si illude di aver buone idee da sviscerare e che può farlo anche in mancanza di fondi, solo con la buona volontà e la passione di chi vuol far cinema, senza fermarsi a riflettere sull'utilità del discorso che intende affrontare. Il film di Claudio Serughetti va a inserirsi in un filone particolarmente prolifico ultimamente nel cinema italiano, che però non ha mai offerto nulla di realmente godibile: il metacinema, il film nel film, e in particolare il film che parla della difficoltà di fare cinema nel nostro paese. Il caimano, La cena per farli conoscere, L'abbuffata, La rabbia, Riprendimi sono alcune delle opere viste negli ultimi anni sui nostri schermi che hanno raccontato la disavventura del far cinema in Italia, in un paese in pieno "genocidio culturale" (come da definizione utilizzata nel film) che stenta chiaramente a offrire prodotti dignitosi, perché costretto ad affrontare tutta una serie di ostacoli, soprattutto la convinzione che il pubblico sia fondamentalmente ignorante e come tale vada trattato. Il nostro messia raggiunge ora la sala, dopo mille difficoltà di produzione e distribuzione, ma gli sforzi di questo cinema indipendente che riesce comunque a farsi vedere sono vanificati spesso da storie realmente mortificanti che contribuiscono a rendere insignificante la nostra produzione.
La domanda di fronte a opere del genere è sempre la stessa: perché fare un film sul cinema e sulle sue trappole, piuttosto che impegnarsi a fare un buon film, con una storia che valga davvero la pena di essere raccontata, con un lavoro sincero che non sia espressione di una frustrazione che punta il dito e si lascia così mummificare con grande soddisfazione? Il problema è tutto dei registi che si ostinano a voler essere anche sceneggiatori dei loro film, finendo con il riversare in essi tutte le proprie insoddisfazioni, la rabbia verso chi cerca di impedire loro l'esaudirsi del sogno del cinema che fatto in questo modo rischia invece di esaurirsi. Serughetti non sfugge a questi difetti che fanno anche dei nostri film più piccoli materiale che intasa le discariche dell'oblio, confezionando un prodotto ricco di nomi che ci vorrebbe far credere importanti (resta fuori da questa osservazione il solo Fabrizio Rongione, attore eccellente e qui pesce fuor d'acqua) ma che rappresentano bene i limiti di un film che si fa molta difficoltà a giustificare.
Sono infatti le stesse protagoniste de Il nostro messia a dichiarare "questo è il nostro film, ci riconosciamo in esso". Ebbene, nel film interpretano aspiranti attricette senza un briciolo di cervello, ma convinte di una sensualità che può far loro comodo, padrone di un corpo pronto ad affidarsi completamente nelle mani di chi può offrir loro l'illusione di un cinema gli dia la possibilità di esibirlo quel corpo. Attrici (quelle dipinte nel film, s'intende) talmente vuote che bisogna grattare con tanta pazienza sui loro corpi per riuscire a cavarne qualcosa di buono, di positivo, con la possibilità concreta che ciò non accada, donne che si dichiarano amica l'una dell'altra, prima di pugnalarsi alle spalle e tra le lenzuola di un letto per accaparrarsi un'occasione destinata a frantumarsi. Tutte a strisciare ai piedi di un regista mediocre (parliamo sempre di quello ritratto nel film) che d'incanto scopre l'esistenza degli stretti rapporti che intercorrono tra cinema, politica e Chiesa e che neutralizzano ogni possibilità di essere liberi in questo ambiente.
Il regista (francese) de Il nostro messia va girando per terribili produttori (italiani) con la sceneggiatura di un film che non a caso non viene mai raccontato, che probabilmente è solo fogli bianchi e idee che si sono già scolorite. Non contento, Il nostro messia fa anche la critica di sé stesso, affidandola a Tinto Brass che sbeffeggia chi fa quello di mestiere e si crede per questo più intelligente. Su tutto questo è giusto farsi una risata, prendere ogni suo aspetto poco sul serio e perdonare l'umile presunzione di chi ha messo in un film del genere soldi e cuore, ma tirare in ballo Pasolini, calpestare quel terreno dove il poeta ha trovato la morte per mano di tutti gli italiani che vogliono sotterrare la diversità e la cultura, non è certo un punto a suo favore, perché ci ricorda senza volerlo quanto piccoli e mediocri siamo diventati, ad accontentarci di fare questo cinema, ad andare a vedere cose ben peggiori solo perché ci viene imposto di farlo, a credere che non meritiamo la qualità perché tanto non la capiremmo.