Non è semplice il lavoro del critico, soprattutto quando si ha a che fare con un grande successo annunciato come Suicide Squad. Perché il critico si mette in mezzo, spesso nemmeno voluto, tra il regista e lo spettatore ed ha il dovere, o meglio avrebbe il dovere, di cercare di determinare non solo temi, contenuti, messaggi, pregi e difetti di quello che ha appena visto, ma anche come questi possano essere recepiti dal pubblico a cui quel film principalmente si rivolge. Perché se un film, un qualsiasi film, deve avere un pubblico a cui rivolgersi, lo stesso vale per una recensione. Più questo pubblico è specifico, e più è semplice quantomeno provare ad immaginare quella che potrebbe essere la reazione in sala.
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Ma a chi si rivolge un film come Suicide Squad? Agli appassionati dei cinecomics degli ultimi 10 anni, o a coloro che cercano qualcosa di diverso? A chi ha amato Batman v Superman: Dawn of Justice o a coloro che l'hanno odiato? Ai fan dei personaggi DC Comics o semplicemente a quelli che ne hanno apprezzato i trailer e la promozione così squisitamente pop?
Recensire Suicide Squad è una bella gatta da pelare - chiedetelo pure ai critici USA che sono sotto accusa in questi giorni - ma non per eventuali pressioni o improbabili ipotesi di complotto a cui molti sembrano voler credere, ma semplicemente perché è un film squilibrato che vorrebbe dare una risposta positiva a tutte le domande di cui sopra. Il che, ovviamente, è impossibile. Ma lo rende necessariamente un film brutto?
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Per un certo tipo di critica sì, per forza: un film che ha evidenti problemi di sceneggiatura e montaggio non può essere considerato un buon film; da qui le recensioni fortemente negative d'oltreoceano. Ed è ovvio che chi cerca quel tipo di film dovrebbe semplicemente tenersi lontano da produzioni come Suicide Squad in prima battuta. Chi spera però di trovarsi davanti innanzitutto un film divertente, che punti tutto sui personaggi piuttosto che una trama appassionante e ben costruita o su una regia ispirata, potrebbe comunque rimanere soddisfatto. Perché il film è esattamente quello che è stato presentato, in modo massiccio, nei trailer e negli spot dell'ultimo anno. Niente di più, forse giusto qualcosa in meno.
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Il sodalizio impossibile degli antieroi DC
Lo spunto del film lo conosciamo tutti, prendere alcuni cattivi dell'Universo DC, tirarli fuori dalle prigioni in cui sono stati rinchiusi e farli combattere contro un nemico comune con la garanzia di qualche anno di sconto sulla sentenza e soprattutto la promessa di non far loro saltare la testa con la microbomba innestata alla base del collo. La premessa quindi è di quelle che non lasciano dubbi e che immediatamente separa questo Suicide Squad da quasi tutti gli altri cinecomics recenti e non: qui non abbiamo dei (super)eroi, non abbiamo persone che agiscono per un bene comune o per la salvezza del nostro pianeta, ma lo fanno solo per il proprio tornaconto... e per salvare la propria pelle.
La Marvel aveva già fatto un'operazione simile con Guardiani della Galassia - un film che ha più di un punto in comune con questo di David Ayer a partire dall'utilizzo, non altrettanto funzionale, di tanti brani di classic rock nella colonna sonora - ma senza portarla all'estremo, tanto che il film di James Gunn si chiudeva con la scelta dei protagonisti di non fare né qualcosa di buono né qualcosa di cattivo, ma semplicemente "un po' e un po'". La Warner qui invece ha davvero la possibilità di mostrarci dei personaggi sì carismatici ma comunque negativi, ma si limita invece a dare loro solo un background da villain e a giocarci intorno senza mai spingere veramente sul pedale del politicamente scorretto.
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Il ritorno della star che non sbaglia(va) mai
In questo senso non deve certo stupire la centralità del personaggio di Floyd Lawton detto Deadshot, ovvero il cecchino infallibile interpretato da Will Smith a cui spetta l'arco narrativo più soddisfacente e più "standard", tanto da far tornare in mente alcuni grandi successi di 20 anni fa. Dopo tante difficoltà e scelte sbagliate, l'attore di Independence Day e Men in Black dimostra di non aver perso nulla del suo smalto e di poter comunque reggere sulle spalle un cinecomic di nuova generazione con un ruolo che però è molto più da (anti)eroe che da cattivo. Il suo personaggio fa quasi il paio con il Rick Flag di Joel Kinnaman tanto che potrebbero sembrare quasi una nuova coppia di Bad Boys.
La diva Harley e il suo degno e folle compare
Una coppia decisamente meno convenzionale è quella formata dalla supersexy Harley Quinn di Margot Robbie e dal Joker del premio Oscar Jared Leto, le due vere superstar del film su cui è stata fondata l'intera campagna promozionale del film. E non a torto considerato l'enorme appeal che possono avere sul grande pubblico non solo due star così amate e desiderate, ma due personaggi così sopra le righe, così disturbati ma carismatici. Anche qui non tutto funziona come speravamo perché purtroppo entrambi i personaggi sono stati in qualche modo danneggiati dall'eccessiva esposizione mediatica tanto che nel film, che comunque dura due ore e dieci, rimane davvero molto poco di inedito da vedere. E se la performance di Leto sembra comunque sufficientemente originale e diversa dalle precedenti incarnazioni del Joker da meritare senza dubbio attenzione per il futuro, il poco spazio che gli viene concesso non può che lasciare a bocca asciutta.
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Quasi lo stesso vale per l'irresistibile Margot Robbie che, pur avendo molto spazio, non ha poi molto di meglio da offrire rispetto a quanto c'era già stato già abbondantemente mostrato in precedenza. Ciò non toglie che la sua bellezza e la freschezza della sua interpretazione sia davvero ipnotica, e che, durante la proiezione, le risate maggiori le abbia comunque suscitate il suo personaggio, una spalla perfetta che forse avrebbe meritato fin da subito un film tutto suo, o quantomeno un film completamente dedicato alle sue origini e al suo complesso rapporto con l'amato "Budino".
Una scelta costata Cara
Gli altri personaggi del gruppo non possono competere con quelli finora descritti nè come minutaggio nè come presenza scenica, anche se l'aussie Jai Courtney con il suo Capitan Boomerang ce la mette tutta per mettersi in mostra, e se non sfonda del tutto è soprattutto colpa di uno script che, come già detto, non ha veramente il coraggio di osare fino in fondo. Lo stesso vale per El Diablo (Jay Hernandez), Killer Croc (Adewale Akinnuoye-Agbaje) o Katana (Karen Fukuhara) che fanno quello che possono e pagano lo scotto di dover fare spazio a camei illustri (il Batman di Ben Affleck o anche quello ben più inutile e deludente del Flash di Ezra Miller) o ad un personaggio come quello di Amanda Waller (Viola Davis ai minimi storici) che sarà anche centrale per la trama o per il futuro dell'intero DC Extended Universe ma a tratti risulta quasi imbarazzante.
E purtroppo ancor di più questo vale per l'Enchantress di Cara Delevingne a cui spetta un (doppio) ruolo ben più significativo e centrale di quanto ci si poteva attendere: la sua performance non rende affatto giustizia a questa scelta, ma anzi finisce col far risaltare ancor di più i difetti di un finale caratterizzato da villain kitsch e poco efficaci, soluzioni narrative banali e una deriva un po' sconcertante verso il fantastico e verso un cinema (non solo a fumetti) che sa un po' di vecchio.
Ma magari sarà proprio questo aspetto così poco in linea ai cinecomics attuali a fare breccia in una parte di pubblico che è stufo delle attuali tendenze e che si aspettava una risposta dalla Warner dopo la mezza delusione di un Batman v Superman fin troppo serio e ambizioso. Qui si è provato a fare quasi l'opposto, forse - come dimostrano il montaggio ed una struttura narrativa fin troppo sbilanciata - in maniera troppo brusca ed artificiosa, quasi fosse davvero una missione suicida. Ma a volte anche quelle funzionano e si trasformano in clamorose vittorie.
Movieplayer.it
2.5/5