Streetwalking
Erica Bain è una speaker radiofonica che, nel suo show, racconta i piccoli e grandi drammi che si consumano nel palcoscenico della sua città: la città, New York. La vita che sussurra al microfono, colorandola di grigi metropolitani e di suadenti banalità, è molto diversa dalla sua, che è "vaniglia e arancio", come gli inviti al suo matrimonio che lei e il suo aitante fidanzato stanno per inviare agli amici, tutti ammirati e un po' invidiosi di fronte alle gioie del loro amore. Ma l'idillio si spezza inevitabilmente nella maniera più violenta quando Erica e il suo David, a spasso per il parco con il loro cane, sono aggrediti e selvaggiamente malmenati da tre bruti che per di più si divertono a filmare il massacro. Soltanto lei sopravvive, per il rotto della cuffia, e si risveglia in ospedale, devastata e paranoide, senza la forza di iniziare a rimettere insieme i pezzi della sua vita, e senza molte speranze che la polizia rintracci gli assassini di David. Di qui all'acquisto di un'arma illegale il passo è breve (almeno secondo questa sceneggiatura). L'elaborazione del lutto in Erica Bain si trasforma in una furia vindice di cui restano vittime assassini, stupratori, gangster, che sembrano irresistibilmente attratti nella sua orbita; nel frattempo, la donna stringe un rapporto amichevole con l'agente Mercer, il detective che sta seguendo il caso del misterioso e inesorabile vigilante, il quale non tarderà a iniziare a sospettare di lei.
Il buio nell'anima è un film non privo di attrattive: basti fare i nomi del regista, il talentuoso Neil Jordan, e della protagonista, la due volte premio Oscar Jodie Foster. Peccato davvero che Jordan non abbia messo mano anche allo script e che alla Foster sia toccato un personaggio che, seppure interpretato con la consueta grinta e duttilità, rimane molto ambiguo e bizzarramente freddo e distante per lo spettatore. La prima parte della pellicola, a dire la verità, funziona, soprattutto grazie a una regia partecipe che suggerisce, commenta, ironizza persino, indugiando su videocamere, specchi, sistemi di sorveglianza, quasi a voler alludere ai vani tentativi di proteggersi dalla prevaricazione e alla violenza, e gioca con le prospettive e il fuori fuoco per rappresentare le paranoie di Erica. Molto bella è anche la sequenza in cui il montaggio giustappone le carezze di un amplesso tra i due innamorati ai gesti dei medici e degli infermieri che cercano di salvarli dopo l'aggressione.
Nella seconda parte del film, però, le emozioni intiepidiscono fino a svanire: il ritratto di questa donna evidentemente malata manca di quella lucidità e del distacco che ci permettevano di comprendere, ad esempio, la solitudine e la follia del giustiziere Robert De Niro in Taxi Driver. La Foster è inevitabilmente brava - talmente brava che non sorprende più - ma la sua capacità di essere credibile, vulnerabile donna innamorata e allo stesso tempo algida e spietata assassina non giova affatto all'equilibrio e alla chiarezza della pellicola. Più accattivante è il personaggio di Terrence Howard, il detective Mercer, un uomo ferito dalla rottura con la moglie e frustrato nei suoi aneliti di giustizia: i suoi duetti con la Foster rendono moderatamente tollerabile anche la seconda parte del film, almeno fino alla débacle finale della sceneggiatura, che, oltre ad essere narrativamente, cinematograficamente e razionalmente ridicola, nel dissolvere alcune delle ambiguità psicologiche dei protagonisti rivela un aberrante intento pro-vendetta.
Un film non riuscito, dunque, Il buio nell'anima, che pure avrebbe potuto offrire interessanti e disturbanti spunti di riflessione sulle reazioni di una persona sana, equilibrata e di successo a un trauma tanto spaventoso. Davvero tutti, di fronte a una simile tragedia, potremmo diventare assassini? Aspetteremo che un film scritto in maniera più intelligente e coraggiosa ci illumini sull'argomento. Per questa volta, occasione sprecata.
Movieplayer.it
2.0/5