C'è un'idea ben precisa nell'esordio da regista di Giuseppe Fiorello. L'intento, e lo capiamo via via che il film prende forma e prende corpo, non è quello di "denunciare", né tantomeno essere (troppo) protagonista di un romanzo di formazione crepato da un clima drammatico, in cui l'ambiente circostante - siamo nella Sicilia del 1982, che quasi sembra una sorta di Texas rurale - detta le leggi medievali di un tempo sbiadito. Un tempo poi sospeso, scandito dalle cicale che riempiono l'aria calda di un'estate elettrizzata dai gol di Tardelli, e rinfrescata dalla spuma, consumata frettolosamente in un bar che affaccia sulla piazza. Viene fuori forte il background del regista, che ha scritto il film insieme ad Andrea Cedrola e Carlo Salsa. Per certi versi personale e vicino alle sue corde, viene tradotta per immagini la forte emotività visiva, a cavallo tra tematica e poetica, riportando al pubblico un sentimento vivo e pulsante.
Perché in Stranizza d'amuri c'è un tema, forte e strutturato, e c'è la correlata poetica che lo avvolge come fosse un abbraccio, libero e leggero come sa essere solo l'adolescenza. Dunque, se il legaccio è la libera ispirazione alla terribile storia vera del Delitto di Giarre (tutt'ora irrisolto), Stranizza d'amuri finirà per allargare la glaciale cronaca in una pellicola dalle molte sfumature, tenute insieme dal bisogno primario di Beppe Fiorello: raccontare una storia, osservando l'universo con mezzo passo di distanza, senza la smania di "dare messaggi", che potrebbero prendere il sopravvento quando si attraversano alcuni confini. Figurarsi in un esordio alla regia. Proprio questa leggerezza, intelligente e soppesata, riuscirà a colmare le naturali increspature del film, facendoci prendere per mano i due meravigliosi (e tragici) protagonisti.
Stranizza d'amuri: l'amore tra Nino e Gianni
E allora, mentre le televisioni a colori si accalcavano fuori le case, e gli Azzurri iniziavano la cavalcata verso il tetto del mondo, la duplice attenzione di Beppe Fiorello finisce per poggiarsi su Nino (Gabriele Pizzurro) e su Gianni (Samuele Segreto) che, incontrandosi per caso o per destino tra i campi assolati della Sicilia, scopriranno cosa vuol dire amare. Un amore cristallino, puro e dolcissimo, capace però di generare un forte conflitto in essere, coadiuvato dal pregiudizio del paese e delle loro rispettive famiglie: Nino e Gianni, sospesi tra l'istinto e la paura, tirati da due famiglie diverse (ma nemmeno poi troppo) sono lo specchio dell'adolescenza palpitante e verace, figure archetipe legate alla cruda realtà, eppure elementi sognanti di un percorso immaginifico ancora prima che reale. Infatti, c'è un sogno e c'è il bisogno, dietro la trama di Stranizza d'amuri, che supera, con le bracci aperte, qualsiasi sovrastruttura e qualsiasi tipo di vezzo stilistico.
Un film ispirato e sensibile
Perché poi è chiaro: quando c'è il cuore in un film, la ragione stessa (e dunque la tecnica) potrebbe non essere il decisivo ago della bilancia. Certo, Stranizza d'amuri, in fase di scrittura e di regia, avrebbe guadagnato un tono in più se fosse stato asciugato di una decina di minuti. Minuti che poi avrebbero reso meno marcati i cambi di ritmo, dettati tanto dai protagonisti - Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto, anche loro praticamente debuttati, sono molto bravi - quanto dallo straordinario contro-coro che altererà (avvelenandolo) il cosmo di Nino e Gianni, fatto di fuochi d'artificio, bagni al fiume, corse in sella ad un rumoroso Ciao.
Del resto, il film di Beppe Fiorello è stracolmo di dettagli (l'asciugamano bagnato avvolto sul seggiolino del motorino, per esempio), di assonanze e di contrapposti (pure musicali, basti pensare all'entrata "in scena" di Franco Battiato o dei Pooh), ma non perde mai di vista la centralità umana ed empatica di Nino e di Gianni, sempre al centro dell'immagine, sempre al centro del motore che smuove le scelte visive e narrative del regista. Scelte nevralgiche e calorose, garbate e ispirate. Trasportandoci in un mondo lontano una manciata di decadi, eppure ancora terribilmente vicino. Ultima nota, uno spassionato applauso agli interpreti che compongono il presepio di Nino e Gianni, nel quale il concetto di vittima e di carnefice sfuma verso una dimensione sociale: da Fabrizia Sacchi a Simona Malato (le figure materne), da Antonio De Matteo a Giuditta Vasile, fino a Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuseppe Spata, Anita Pomario, Alessio Simonetti e il piccolo (ma fondamentale nell'economia del film) Raffaele Cordiano.
Conclusioni
Al netto di un ritmo altalenante, che non regge la durata complessiva (insomma, dieci minuti in meno avrebbero giovato) possiamo concludere la recensione di Stranizza d'amuri lodando l'ispirazione e gli umori registici di Beppe Fiorello (all'esordio), alle prese con la necessità di raccontare una storia tanto vitale quanto dolorosa.
Perché ci piace
- La regia ispirata di Beppe Fiorello, che non strafa.
- I due attori protagonisti.
- L'ambiente circostante, dettagliato ed esplicativo.
- La storia.
Cosa non va
- Il ritmo, in più parti, soffre.
- Dieci minuti di troppo.