Non si esce vivi dagli anni Ottanta. Lo cantava, tanti anni fa, Manuel Agnelli con i suoi Afterhours. È una frase che ci viene in mente sempre di più oggi, quando ci sembra che, ad essere usciti vivi dagli anni Ottanta... siano proprio gli anni 80. Gli Eighties sono sempre più imperanti, al cinema e nelle serie tv. Ma funzionano ancora? Il dubbio ci era venuto da tempo, ad esempio dopo aver letto la recensione di Wonder Woman 1984 a cura del nostro Giuseppe Grossi. "È Wonder Woman 1984 a essere fuori tempo massimo o sono i nostri occhi a essere diventati allergici a questo cinema così derivativo, citazionista e pieno di un'ingenuità che ormai non ci appartiene più?". La riposta è: non lo sappiamo. Prodotti come Cobra Kai, la serie tv appena arrivata in streaming su Netflix con la sua stagione 4, o come Stranger Things, ci dimostrano che la riletture degli anni Ottanta può funzionare. L'ingenuità è probabilmente negli occhi di chi guarda, non certo di chi crea certi prodotti, studiandoli alla perfezione. E quindi anche la risposta alla domanda rischia di essere qualcosa di soggettivo. Quello che ci sentiamo di dire è che i prodotti che funzionano sono quelli che, oltre a una patina d'epoca, riescono in qualche modo a cogliere lo spirito dei film di quegli anni. Abbiamo però provato a capire perché si continua a tornare agli anni Ottanta, come lo si fa, e, quando davvero il gioco funziona, perché funziona.
Perché gli anni Ottanta: bambini cresciuti a pane e Spielberg
Ma perché così tanti prodotti, al cinema o nelle serie tv, ci rimandano agli anni Ottanta? Le risposte sono tante. La prima ha a che fare con un motivo anagrafico. Quei bambini che negli anni Ottanta sono cresciuti guardando film come E.T. L'Extraterrestre, I Goonies, Stand by me - Ricordo di un'estate, Ghostbusters - Acchiappafantasmi, Karate Kid - Per vincere domani, oggi sono quarantenni - cinquantenni, sono diventati sceneggiatori, registi e produttori che guidano e influenzano il sistema dello show business. Conoscono il loro pubblico di riferimento, i loro coetanei, che erano dei bambini come loro e sono cresciuti a pane e Spielberg. È un pubblico che ama sentirsi a casa, tornare bambino, ritrovare stili e storie che gli sono familiari e gli fanno ritrovare un tempo perduto.
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Perché gli anni Ottanta: Stranger Things, il mistero dell'adolescenza
Allo stesso tempo, artisti come i Duffer Brothers hanno saputo mantenere il fanciullino che è dentro di loro, hanno ben presente chi erano da ragazzi, e sono perfettamente in grado di parlare ai ragazzi di adesso. Quelle storie preadolescenziali o adolescenziali degli anni Ottanta, così intime e così empatiche nella loro spettacolarità, riproposte oggi hanno ancora una sensibilità in grado di conquistare anche i preadolescenti e gli adolescenti di oggi. Pensiamo proprio a Stranger Things: la chiave del suo successo è che unisce mistero al mistero. Perché, certo, c'è il soprannaturale, ci sono il Sottosopra e il Demogorgone. Ma il vero mistero è il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, quello dai giochi di ruolo alle prime cotte per le ragazze: è un viaggio complicatissimo. È qui che scatta l'identificazione.
I favolosi anni Ottanta, ieri come oggi
E poi gli anni Ottanta hanno un appeal particolare. Per chi li ha vissuti, e a ogni citazione trova una madeleine proustiana che lo porta indietro ne tempo, abbiamo detto. Ma anche per chi non li ha vissuti sono immediatamente coinvolgenti. Colorati, tecnologici in maniera ingenua e vintage, sono pieni di oggetti interessanti (pensiamo ai videogiochi Arcade, ad esempio, nella scena che apre Tron Legacy o al cubo di Rubik di Ready Player One), di abiti particolari. Negli anni Ottanta si parlava di "favolosi" anni Sessanta. Ma gli anni "favolosi", se ci pensiamo, sono stati proprio gli Ottanta: si è sviluppato un cinema "favoloso", quello degli Spielberg e degli Zemeckis, di E.T. e de I Goonies, della (fine della) prima saga di Star Wars e di Indiana Jones. Era un cinema immaginifico, in grado di lasciare a bocca aperta i bambini, proprio come una favola. Allora come oggi. E riprendere il modo di raccontare certe storie, di leggere dentro il mondo dei ragazzi, funziona sempre.
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Gli anni Ottanta oggi: Stranger Things vs Cobra Kai
Ma in che modo sono riletti oggi gli anni Ottanta? Ci sono vari modi di riportarli in auge. Stranger Things, la serie Netflix creata dai Duffer Brothers, decide di creare in tutto e per tutto un mondo anni Ottanta: la storia è ambientata in quegli anni, è raccontata come si faceva allora, in modo ingenuo e fantasioso, i temi sono quelli raccontati nei film di Spielberg e Zemeckis. Non è insomma solo un semplice fatto di citazioni, di ricostruzioni di ambienti, di riproposizione di certi codici visivi: è proprio la sensibilità, il tono del racconto che è quello di un certo cinema che abbiamo amato. Ed è per questo che l'immersione in quel mondo è totale. Ma ci sono altri modi di rileggerli. Uno di questi è rendersi conto di avere un'eredità importante, e capire quale sia il modo giusto per onorarla. È quello che ha fatto la franchise di Karate Kid, con la serie tv Cobra Kai, su YouTube e poi su Netflix. La storia è ambientata ai giorni nostri e i rimandi ai film degli anni Ottanta avvengono tramite la sceneggiatura, con i riferimenti a vari passi della storia, e con il montaggio, con alcune scene che vengono riproposte nel momento in cui vi si fa riferimento. I protagonisti sono i personaggi di allora che sono cresciuti, e accanto a loro si muovono giovani personaggi che riprendono i caratteri dei protagonisti di un tempo. In questo modo i temi e i toni dell'originale vengono mantenuti, quello spirito, ingenuo ed emotivo, degli anni Ottanta c'è tutto, ma con un pizzico di dissacrazione che crea distacco dalla materia originale e le fa perdere quella che rischierebbe di essere sacralità.
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Steven Spielberg e la sua eredità
A proposito di eredità, uno che, quando parliamo dei film anni Ottanta, ne ha più di ogni altro è Steven Spielberg. Prodotti come Stranger Things sono evidentemente anche figli del suo cinema. E il regista di E.T. è stato bravo, nel tempo, a citare e omaggiare se stesso. Prima producendo Super 8, il film di J.J. Abrams che omaggiava i suoi primi lavori su pellicola e il cinema della Amblin, e di fatto anticipava tutto il revival che sarebbe arrivato negli anni seguenti. Poi girando un film, Ready Player One, che è una summa dell'immaginario anni Ottanta che lui stesso ha contribuito a creare. Tra gli oggetti (il già citato cubo di Rubik), gli abiti (lo stile di Michael Jackson e dei Duran Duran) e le canzoni (A-ha, New Order, George Michael), Steven Spielberg tratta con pudore i riferimenti al suo cinema che erano presenti in modo massiccio nel libro per non rischiare di essere autoreferenziale. Ma qua e là gioca con alcuni aspetti a lui familiari, inserendo un T-Rex da Jurassic Park e la DeLorean di Ritorno al futuro nella prima gara del videogame. E omaggia, con tenerezza, o con maniacale passione cinefila, John Hughes e il suo Breakfast Club, Stanley Kubrick e il suo Shining, Brad Bird e Il gigante di ferro.
Le luci abbaglianti: Atomica bionda e Gli uomini d'oro
Ma c'è poi un altro modo, leggermente più superficiale, di riprendere gli anni Ottanta. Una tendenza in atto è quella dei colori. Il neon, i colori accesi, fluorescenti, sono innegabilmente parte dell'immaginario di quegli anni: i programmi tv, le discoteche, le sale giochi. Così, un film come Atomica bionda, tratto dalla graphic novel The Coldest City, racconta una storia in un luogo e in un momento preciso, la Berlino del 1989, ma creando una propria idea degli anni Ottanta, non ricostruendo necessariamente quella che era l'atmosfera di Berlino in quegli anni. Tutto ciò che erano gli anni Ottanta è accentuato: le luci al neon diventano ancora più accese, le batterie elettroniche più potenti di quelle che ci ricordavamo. Ancora una volta, la musica ha un ruolo importante, con i New Order, i Depeche Mode e David Bowie a creare un'atmosfera inequivocabile. A questo proposito, è curioso il caso di un film italiano, Gli uomini d'oro di Vincenzo Alfieri. La storia si svolge tra il 1995 e il 1996, ma nelle immagini c'è un evidente sapore anni Ottanta: ancora i neon fluorescenti una colonna sonora originale synth-pop che richiama quella di Stranger Things, mentre alcune delle canzoni originali sono di quegli anni (Alive And Kicking dei Simple Minds e Lullaby dei Cure). Gli anni Ottanta sono un'epoca che Alfieri non ha vissuto, ma che ha trovato più caratterizzata, a livello estetico, dei Novanta. E così è partito da qui per costruire il suo mondo.
Anni Ottanta senza esserlo: Euphoria e Spider-Man: Homecoming
Il discorso del neon ci porta immediatamente a un'altra riflessione. Gli anni Ottanta possono essere un mood, uno stato d'animo, uno stile, anche senza che la storia di un film o di una serie abbiano minimamente a che fare con quegli anni. Se parliamo di luci non possiamo non nominare Euphoria, che è stata definita un ritratto a luci al neon della generazione Z. Quelle immagini patinate e fluorescenti arrivano dagli anni Ottanta, e in una storia assolutamente contemporanea, non hanno il compito di evocare, ma di avvolgere, ammaliare e introdurci a una serie di storie molto dure. Un altro esempio della funzionalità degli stili degli anni Ottanta è il film Spider-Man: Homecoming, ambientato a tutti gli effetti ai giorni nostri, senza alcun riferimento a livello di storia a quegli anni. In questo caso, al momento di scrivere e girare il film, per tutti il riferimento era John Hughes, il regista di Breakfast Club e Un compleanno da ricordare - Sixteen Candles, perché il mood che si voleva dare al film, reboot della saga dell'Uomo Ragno, era il teen movie anni Ottanta, la sua leggerezza e il suo romanticismo.
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Sam Junipero e il paradiso sulla terra
Provando a tirare le somme, ancora una volta dobbiamo andare in due direzioni. Dobbiamo considerare il pubblico di adolescenti e di giovani che oggi guardano Euphoria come Stranger Things, Spider-Man: Homecoming come Cobra Kai. È probabile che riescano a trovare in questi toni, stili e atmosfere, certe storie che sono universali, archetipiche, e ad amarle come le amavamo noi a quell'età. E poi c'è da considerare il pubblico dei quarantenni o dei cinquantenni, la generazione che è cresciuta con questi film. Il discorso è semplice, eppure complesso. Rivedere oggi certe storie e certe immagini ci riporta immediatamente alla nostra infanzia, però più affascinante ed emozionante di come la ricordavamo, perché qui è ammantata dai colori, dai suoni e dal mondo delle pellicole con cui siamo cresciuti. Tutte queste cose ci sono rimaste dentro: sono nel nostro inconscio, nel nostro Dna. Stranger Things è la chiave che apre una serratura e libera tutta una serie di cose che abbiamo già dentro, e riesce a fermare un istante preciso, quello in cui abbiamo smesso di giocare e abbiamo dato il primo bacio a una ragazza. In tutte queste rivisitazioni, gli anni Ottanta sono come ce li ricordavamo da ragazzi, colorati e notturni, dolci e spensierati. Anzi, sono ancora più colorati, più notturni, più dolci e più spensierati. Pensiamo a Black Mirror e San Junipero, in cui Belinda Carlisle canta Heaven Is A Place On Earth, "il paradiso è un posto sulla terra". Per creare un luogo ideale, esattamente come lo vorremmo noi, in cui vivere per sempre, è stato scelto proprio un posto immaginario situato negli anni Ottanta.
Sing Street e l'idea di vivere dentro un videoclip
Anche Atomica Bionda, in qualche modo, riesce a cogliere l'essenza di quegli anni Ottanta. Erano anni in cui le luci abbaglianti e fluorescenti, la musica sognante ed elettrica ci cullavano dandoci l'impressione di essere in un film, in un fumetto, in un sogno, mentre sotto c'erano il freddo e il grigio della Guerra Fredda, il pericolo di crisi internazionali. Ma forse la spiegazione alla domanda sul perché gli anni Ottanta funzionano ancora molto l'abbiamo trovata guardando Sing Street di John Carney, il romanzo di formazione di un ragazzo nella Dublino degli anni Ottanta. Il momento emblematico del film è quello in cui la band del protagonista gira un video. Lo fa con le risorse che ha, nella palestra della scuola. All'improvviso, per incanto, il video diventa uno di quei minifilm ad alto budget americani, con ballerini, costumi, luci. Probabilmente amiamo così tanto gli anni Ottanta perché ci sembrava di vivere in un videoclip: tutto era brillante, tutto andava a posto, tutto aveva un lieto fine. Tutto era finto, certo, ma così rassicurante. Che poi, è come dire di vivere una favola. Ma, noi, visto che siamo cresciuti in quegli anni, possiamo dire di aver vissuto davvero in un videoclip.