Quando David Lynch riportò al successo la TV d'autore, tormentando milioni di spettatori in tutto il mondo con la domanda "Chi ha ucciso Laura Palmer?", all'inizio degli anni '90, la TV era ancora considerata un mezzo narrativo inferiore. Grazie a Lynch, le potenzialità delle serie emersero per la prima volta e venne compiuto un primo, fondamentale passo per allontanarsi dal cliché che voleva gli attori e i registi televisivi gente che aveva ripiegato sulla TV perché non aveva sfondato al cinema. A contribuire in maniera essenziale al superamento di questo pregiudizio fu anche il medical drama per eccellenza, la serie che per la prima volta nella storia univa la qualità cinematografica delle riprese - non a caso, con la Amblin Television di Steven Spielberg - ai ritmi televisivi. Trasformandoli in ritmi via via più serrati.
Un pilot che ha fatto scuola
Fin da quell'episodio pilota, che inizia e si chiude con l'infermiera Lydia (Ellen Crawford) che sveglia il medico di guardia: "6.30, dottor Greene".
Fra la prima volta che Lydia chiama Mark Greene (Anthony Edwards) e l'ultima volta che lo fa, circa 50 minuti dopo (per noi), succede di tutto. L'infermiera Carol Hathaway (Julianna Margulies) arriva al pronto soccorso in overdose dopo un tentativo di suicidio, che tutto il personale riconosce come diretta conseguenza del suo rapporto tormentato con il pediatra Doug Ross (George Clooney). A sua volta, Ross si presenta come paziente, ubriaco, prima dell'arrivo di Carol. Il nuovo arrivato, John Carter (Noah Wyle) mette per la prima volta piede in ospedale dopo la laurea e si prepara a vedere sconvolte le proprie aspettative sul lavoro che lo aspetta, soprattuto dopo essere stato assegnato al dottor Peter Benton (Eriq LaSalle), chirurgo brillante ma burbero. La dottoressa Susan Lewis (Sherry Stringfield) deve dire a un paziente che ha un cancro avanzato. Nel giro di meno di 24 ore, molte vite vengono sconvolte, altre messe alla prova, altre ancora cambiate da un nuovo inizio o un nuovo incontro. Il pilot di E.R. - intitolato, appunto, 24 ore - ha fatto scuola per la presentazione dei personaggi, l'ingresso immediato nell'atmosfera della serie, il perfetto equilibrio nel ritmo che alterna eventi più leggeri a drammi emozionalmente impegnativi.
Al debutto 24 ore dopo il diretto concorrente Chicago hope il 19 settembre 1994 su NBC, E.R. - Medici in prima linea ha già surclassato l'avversario. Irrimediabilmente.
Merito di Michael Crichton, grande scrittore ma soprattutto medico, che nel libro Casi d'emergenza racconta esperienze realmente vissute al Pronto Soccorso e che ha l'idea di adattarlo in una serie TV.
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L'effetto E.R.
23 Emmy Awards (e un solo Golden Globe a Anthony Edwards per il ruolo del dottor Mark Greene), 15 stagioni e, non ultimo, l'ingresso nella storia per il cosiddetto "effetto E.R.": le iscrizioni alle facoltà di medicina triplicarono e i candidati ai colloqui affermavano di voler diventare come i medici di E.R., il medical drama per definizione che tutt'oggi resta imbattuto in termini qualitativi. Quando una serie ha un impatto reale, concreto, al di fuori dello schermo, significa che non ha cambiato solo la storia della televisione, ha cambiato anche il mondo. E molti dei medici in corsia oggi, a fronteggiare la pandemia negli Stati Uniti, sono stati ispirati da quegli eroi in camice bianco fin troppo spesso ignorati, sottovalutati, perfino aggrediti. In E.R. - Medici in prima linea c'è tutto. L'eroismo quotidiano che per i medici e gli infermieri del Policlinico Universitario di Chicago è solo routine, la difficile conciliazione fra lavoro e famiglia, fra carriera e vita privata - non a caso il dottor Greene affronta il divorzio. Ci sono l'attualità e le tematiche più scottanti, ci sono Jeanie Boulet (Gloria Reuben) e il suo essere sieropositiva che mette la questione degli operatori sanitari a rischio AIDS al centro della narrazione dando lezioni di civiltà sia ai personaggi che al pubblico. Ci sono gli amori in corsia, quelli che non iniziano mai come l'amore fra Mark e Susan, e quelli tormentosissimi, che finiranno bene.
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Il segreto: la realtà
Ci sono le star - George Clooney lasciò la serie alla fine della stagione 5, per dedicarsi grazie alla popolarità ottenuta a una carriera cinematografica straordinaria - e i comprimari che restano per 15 anni al loro posto, fedelmente, sempre pronti a far sentire a casa il pubblico. C'è un espediente inedito per abituare gli spettatori ai cambiamenti nel cast, ovvero la realtà. Chiunque abbia frequentato un ospedale sa fin troppo bene che spesso i medici si trasferiscono, vengono chiamati altrove per avanzamenti di carriera o scelgono di cambiare struttura per stare più vicini alla famiglia. Si va dove c'è lavoro, ma anche dove si viene apprezzati. E.R. ci racconta proprio questo, quando i personaggi escono di scena. Motivi lavorativi o famigliari concreti, realistici, magari costruiti lungamente nella narrazione come per l'addio di Susan Lewis, destinata a tornare a Chicago anni dopo. Come nella realtà, a volte, i medici che se ne sono andati fanno esperienza altrove per qualche anno e poi tornano dove avevano iniziato.
La straordinaria resilienza di E.R. consiste nell'aver fatto della struttura narrativa degli episodi, e non dei personaggi, la propria forza. Il pubblico sa che potrebbe "perdere" il suo personaggio preferito, ma anche che ne arriveranno di nuovi. E la struttura narrativa di E.R. si fonda, proprio come i cambiamenti nel cast, sulla realtà. Sull'esperienza di un medico vero, Michael Crichton, che ha avuto l'idea di ambientare la serie in un Pronto Soccorso "vero", con storie realistiche. Perfino le più strane sono ispirate a fatti realmente accaduti in qualche Pronto Soccorso degli Stati Uniti o del mondo.
Così come sono reali le grandi tragedie: gli incidenti che portano un afflusso eccezionale di pazienti al Policlinico, costringendo il personale a mettere in atto i protocolli per le emergenze. La realtà incombe, ma rassicura al tempo stesso perché tutti sono preparati, sanno cosa devono fare, si muovono con sicurezza e quando non lo fanno ci sarà qualcuno - un altro medico, un altro infermiere - a farlo per loro.
Non tutto finisce bene, però. Se E.R. racconta la realtà, deve raccontarla in modo completo. Guidatori ubriachi che se la cavano con un graffio mentre le loro vittime muoiono inclusi. Pazienti psichiatrici che non vengono seguiti a dovere e accoltellano il personale, fughe di pazienti dal ricovero, infusioni di farmaci sbagliati o di sacche di sangue del gruppo errato che possono costare la vita a qualcuno e un processo a qualcun altro. Aggressioni dei parenti dei pazienti, cause e denunce, rapine e chi più ne ha, più ne metta. E.R. non ha annoiato mai, in 15 lunghi anni, perché non aveva modo di farlo, come la realtà. Nel bene e nel male.
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La grande TV a cui tutti vogliono prendere parte
L'intensità delle storie, le interpretazioni maestose, la capacità di sopravvivere a drastici cambiamenti nel cast (la lettera d'addio del dottor Greene, nella stagione 8, resta uno dei momenti più drammatici nella storia delle serie TV), l'adeguamento del ritmo ai gusti del pubblico, mutati in 15 anni: tutto questo fa di E.R. "il" medical drama, come abbiamo visto. Il più completo, per tematiche e punti di vista. Il più moderno e il più adattabile, il più sensibile e avanguardista sugli argomenti d'attualità. E.R. è stata la NYPD Blue del medical drama: la realtà era rappresentata fedelmente. Le lenzuola sporche di sangue, le grida di dolore, gli interventi a cuore aperto, i muri scrostati e i bagni intasati. Eravamo in un ospedale vero, non in un ambiente patinato.
E anche per un altro futuro trend ha fatto scuola: ha ospitato un numero straordinario di prestigiose guest stars. Anni dopo, i grandi attori avrebbero fatto a gara per essere ospiti di Will & Grace, sul cui set si narra di una quasi leggendaria atmosfera idilliaca. Così adorabile che i vip lanciavano appelli sul genere: "Invitatemi, vengo gratis!".
Sul set di E.R., invece, coloro che già avevano un grande nome e coloro che solo in seguito - magari anche alla serie - se lo sarebbero costruito, quando erano di passaggio dicevano tutti la stessa cosa: che sembrava di essere in un Pronto Soccorso vero. Che la straordinaria professionalità di tutti era qualcosa che nemmeno nei loro sogni avrebbero potuto immaginare. E che non avrebbero mai dimenticato quell'esperienza.
I loro nomi sono moltissimi. Ne volete qualcuno? Pronti: Quentin Tarantino (alla regia), Susan Sarandon, Forest Whitaker, Sally Field, Aaron Paul, Ewan McGregor, Stanley Tucci, Kirsten Dunst, John Stamos, Alan Alda, Scottie Pippen, Zac Efron, Lucy Liu, Shia LaBeouf, Chris Pine, Busy Philipps, Rooney Mara, Angela Bassett, Eva Mendes e mezzo cast di Modern Family: Julie Bowen, Eric Stonestreet e Ariel Winter. Per dirne alcuni. Ma sono dozzine.
E tutti loro hanno in qualche modo fatto parte della storia di E.R., e quindi della storia della televisione. I protagonisti hanno recitato in diretta, due volte di seguito (una per l'orario della West Coast e una per quello della East Coast), mandando per la prima volta dal vivo un episodio settimanale. Ma anche le guest star, i comprimari e l'ultimo dei pazienti sono sempre stati lì, a far parte di un posto che è diventato vero per milioni di persone, tanto era realistico. Con tutti i suoi pregi, i suoi difetti e il suo gran finale, per il quale il cast storico si è in gran parte riunito. Rendendo omaggio alla serie, rendendo omaggio ai personaggi, rendendo omaggio a noi. Ed entrando nel mito.
Tutti noi siamo stati al Pronto Soccorso del Policlinico di Chicago, tutti noi avremmo voluto medici come quelli dell'ospedale più famoso della TV. Perché dal 19 settembre del 1994, la TV e le nostre vite non sono state più le stesse.