"Cosa resterà di questi anni Novanta?", cantava Raf, ed è una domanda che a suo modo riecheggia nell'affrontare il compito della recensione dei primi episodi di Stoffa da campioni: Cambio di gioco, nuova serie di Disney+ che si ricollega alla trilogia cinematografica con protagonista Emilio Estevez. Tre film, usciti tra il 1992 e il 1996, dove un avvocato arrestato per guida in stato di ebbrezza si ritrovava a dover svolgere un servizio utile alla società allenando una squadra di giovani giocatori di hockey. Una storia con una certa importanza aziendale, dato che negli stessi anni la Disney diede vita a una vera squadra di hockey professionistico, i Mighty Ducks di Anaheim, generando uno dei franchise più curiosi degli ultimi decenni (la nota più curiosa era forse la serie animata, trasmessa nel 1996 e incentrata su un gruppo di paperi antropomorfi provenienti da un pianeta dove tutto ruoto attorno all'hockey). Franchise che ora ritorna in forma seriale, con la partecipazione dello sceneggiatore originale Steven Brill, divenuto nel frattempo uno dei registi ricorrenti della filmografia di Adam Sandler. N.B. La recensione si basa sulla visione in anteprima dei primi tre episodi su dieci, disponibili a cadenza settimanale dal 26 marzo.
Chi ha bisogno di paperi?
Stoffa da campioni: Cambio di gioco introduce una nuova generazione di Mighty Ducks, ma non sono loro il punto focale dello show: con il passaggio da una fascia d'età a quella successiva, il dodicenne Evan Marrow (Brady Noon) non è più considerato idoneo dal severo allenatore Coach T, dato che la squadra è ora ai massimi livelli e fonte d'orgoglio per l'intera città. La madre di Evan, Alex (Lauren Graham), decide di creare una squadra da zero, composta da chi normalmente verrebbe scartato da un team tradizionale. Evan recluta diversi amici, tutti più o meno imbranati, ma hanno solo pochi giorni per registrare ufficialmente la squadra, e per farlo hanno bisogno di un allenatore e di una pista di pattinaggio. Alex si assume la responsabilità nel primo caso, mentre per la location è rimasta solo un'opzione, con un unico ostacolo: il proprietario non ne vuole sapere di squadre di hockey all'interno dell'edificio. E quel proprietario è nientemeno che Gordon Bombay (Emilio Estevez), storico primo allenatore dei Ducks, ora cinico e disilluso. Ma l'incontro con Alex ed Evan lo farà parzialmente tornare a connettersi con la passione di un tempo...
Da Disney+ a HBO Max: il futuro delle major di Hollywood si basa sullo streaming?
I tempi cambiano, lo spirito no
Come da titolo (in originale The Mighty Ducks: Game Changers), l'intento è quello di ricreare il franchise per una nuova generazione, senza attaccarsi troppo al passato, con un ragionamento che per certi versi ricorda la più recente trilogia di Star Wars, in particolare l'ottavo Episodio, Star Wars: Gli ultimi Jedi. Sulla falsariga di Luke Skywalker, Gordon Bombay non vuole alcun legame con ciò che è venuto prima, e ogni volta che la serie rischia di farsi troppo sdolcinata lui se ne esce con punte di cinismo esilarante. Basti pensare a quando spiega come mai non c'è attrezzatura da hockey nel suo stabilimento: "Un giorno ho preso tutta la roba che avevo, l'ho messa in un bidone della spazzatura e gli ho dato fuoco. E non è nemmeno la cosa più cupa che io abbia fatto quel giorno." Ovviamente il lato più acido del personaggio non riesce ad averla vinta troppo a lungo, dato il target dello show e del franchise in generale, ma è un regalo simpatico per i fan più attempati che, come Gordon, non si aspettavano per forza il ritorno di questi improbabili campioni.
Star Wars, Rian Johnson e il futuro della saga: prossimamente in una galassia lontana lontana
Se il primo episodio fatica un po' a ingranare, a causa della necessità di introdurre tutto e gestire l'equilibrio fra serial sportivo minimamente serio e commedia mista a romanzo di formazione, dal secondo in poi la formula funziona egregiamente e l'alternanza fra sincerità e messa alla berlina genera risultati piuttosto gradevoli, soprattutto a partire dal momento in cui tutti i giovani protagonisti hanno dei ruoli definiti e non sono dei ragazzini intercambiabili. Rimane il legittimo dubbio su come sarà possibile gestire il tutto sul lungo termine, in caso di stagioni multiple che per forza di cose richiederanno uno strato di complessità in più per quanto riguarda l'anima filosofica del franchise, ma per ora, senza troppe pretese, abbiamo a che fare con un divertimento discretamente efficace, in parte proprio per come riflette sulla natura stessa dello svago: in un mondo dove tutto è calcolato in base ai benefici che ne possiamo trarre in seguito (soprattutto negli USA, dove - come visto nel primo episodio - già a dodici anni i ragazzi con genitori benestanti hanno i consiglieri per le scelte universitarie), è importante sapersi divertire e godere di un'età in teoria più spensierata. E al giorno d'oggi, con la visione domestica che è praticamente un obbligo anziché una scelta, un po' di spensieratezza in più non fa mai male.
10 film anni novanta da rivedere su Disney+
Conclusioni
Chiudiamo la recensione dei primi episodi di Stoffa da campioni: Cambio di gioco, sottolineando come la serie usi una premessa nostalgica per regalarci un simpatico racconto contemporaneo a base di gioventù e divertimento. Molto gradito il cinico ritorno di Emilio Estevez.
Perché ci piace
- L'aggiornamento del franchise è simpatico.
- Emilio Estevez è il giusto ponte tra passato e presente.
- I giovani protagonisti sono tutti ben definiti.
Cosa non va
- Il primo episodio è un po' squilibrato.
- Chi si aspettava un numero maggiore di rimandi ai film potrebbe rimanere deluso.