Una linea di finzione, tra cinema e documentario. Oppure, come viene definito dallo stesso regista nelle note di produzione, "una favola nera, un po' finzione e un po' realtà". Suranga Katugampala, nato in Sri Lanka ma cresciuto in Italia, porta ad Alice nella Città la sua opera seconda, ossia Still Here. Dietro al film, l'ambizione di cercare nuove inflessioni, sperimentando un linguaggio complesso che diventa, però, cifra stilistica.
Al centro del film, un'ex attrice che affida i suoi due figli a Sunil prima di sparire nel nulla. Siamo Corvetto, quartiere sud di Milano. La gentrificaazione incombe, intanto che i due bambini esplorano un mondo circostante in costante cambiamento. "L'idea del film mi è venuta osservando i quartiere che frequento: Corvetto e Slave Island hanno una struttura particolare, nel quale si intrecciano diverse inflessioni e culture", spiega il regista.
Still Here, una Corvetto al neon
Una cifra stilistica che parte dall'uso del neon, per una fotografia che diventa una storia nella storia per un film girato quasi interamente di notte. "Mi sono scoperto molto lavorando di notte. Ma tutto è partito dal lavoro di ricerca che ho fatto. Parlai con una persona di Milano, che girava con una torcia in mano perché non c'era una luce. Non lo vedevo in faccia. È stata una lezione di cinema. La luce poi è spazio, e il film mescola due spazi quasi affettivi. Il nero ci sembrava un territorio affascinante. Questo vedere e non vedere oggi ha un certo approccio cinematografico, con un senso tutto suo".
Poi, un appunto sulla sua evoluzione da regista (il primo lungometraggio è del 2016, Per un figlio): "Questo è il mio secondo film, e già nel primo lavoravamo con un cinema del reale. Vengo da quella cultura, ma questa volta volevo sperimentare di più con la realtà. In Still Here c'è un sottile territorio tra realtà e finzione. Da una parte il lavoro dei non-attori, con questi luoghi che sono personaggi veri e propri. Intorno però c'è una struttura di finzione, di fiction".
Gentrificazione distopica
Still Here, dai dialoghi sparuti, è comunque uno specchio di una certa Italia, che Suranga Katugampala sceglie di esporre sottraendo invece che aggiungendo: "Siamo andati a togliere le parole, anche dato il mio background di regista, soffermandomi sull'altra Italia. Una sottrazione che doveva essere più che mai necessaria. Creare l'ambiguità era interessante, il veicolo della storia non doveva arrivare dai dialoghi, ma da altro". E prosegue: "Il quartiere di Corvetto è protagonista, c'è il discorso della gentrificazione con questa utopia di una grande città quasi distopica. Ho voluto lavorare su queste due linee, il quartiere e la famiglia. Con i bambini protagonisti che attendono evocando uno spazio che esiste solo nell'economia del film stesso".
Pensando a Tabu di Miguel Gomes
Il regista ci tiene a specificare il lavoro applicato sugli spazi scenici, senza che siano effettivamente un retaggio di un cinema appartenente ad altri: "È necessario attraversare una dimensione che affronti anche gli spazi dell'altro dal punto di vista politico. Un film così lo fai una volta nella vita, e basta. Più che citare, ci sono tante correnti di cinema. Ho intrapreso un lavoro di studio, tra il cinema noir americano e quello asiatico. Ci sono tanti elementi messi insieme. Recentemente ho visto Tabu di Miguel Gomes, nel quale crea lo spazio giusto del cinema".