Il Middle East Now, manifestazione fiorentina dedicata al cinema mediorientale e nordafricano organizzata dall'associazione Map of Creation, quest'anno ci ha regalato l'inedita presenza di una star hollywoodiana come Stephen Dorff, approdato in Italia per presentare l'anteprima nazionale di Zaytoun (in israeliano 'ulivo'). Il film è l'ultima fatica dell'israeliano Eran Riklis. Il regista, noto al grande pubblico per Il giardino di limoni e La sposa siriana, ha voluto scommettere su Dorff e, nonostante le sue iniziali reticenze, lo ha convinto a interpretare il pilota israeliano precipitato in Libano agli albori della guerra che stringe amicizia con un piccolo profugo palestinese. Dopo una premiere fiorentina strapiena di pubblico, che ha costretto l'organizzazione a lasciar fuori dalla sala 200 persone, Stephen Dorff ci racconta come è approdato a questo progetto, così lontano dalla sua routine lavorativa, che lo ha portato a girare nelle zone calde del conflitto israelo-palestinese. Cogliamo l'occasione per parlare anche della sua carriera, del cambiamento avvenuto dopo Somewhere e del vistoso tatuaggio che spicca sul suo avambraccio. "C'è scritto 'Ieri è storia, domani un mistero, oggi un dono e per questo lo chiamano presente'. E' una frase che diceva sempre mia madre, ma poco tempo fa la mia sorellina mi ha detto che è anche una battuta di Kung Fu Panda. Ora sono perplesso. Sono cresciuto con mio fratello e da poco più di dieci anni ho due sorelle nate dal secondo matrimonio di mio padre; due femmine che mi prendono in giro per i miei tatuaggi, per i film che faccio, per come mi taglio i capelli... per tutto. Le donne sono terribili" ci confessa.
Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta di Eran Riklis e interpretare Zaytoun?
Stephen Dorff: Quando ho letto la sceneggiatura ho amato subito la storia. Ho lavorato molto bene con Eran e anche se non sono israeliano grazie a lui ho fatto mie le problematiche affrontate. Però il merito più grande va al mio giovane co-protagonista Abdallah El Akal. Senza di lui il film non esisterebbe.
Conoscevi già Eran Riklis?
Lo conoscevo di nome, ma non avevo mai visto niente di suo. Quando mi ha contattato ci siamo incontrati a New York e abbiamo parlato. Non mi sentivo adatto alla parte e non pensavo di avere l'aspetto israeliano, ma Eran ha tirato fuori una fotografia di un vero pilota di caccia e in effetti mi somigliava.
Sono due mondi completamente diversi. Era la prima volta che mi recavo in Israele e ho lavorato con una crew che parlava quattro lingue. Erano sia palestinesi che israeliani. Il regista si rivolgeva a me in inglese, a loro in ebraico o in arabo. Con tutte queste lingue c'era un po' di confusione, ma sono stati bravissimi. Erano tecnici eccezionali. L'ambiente può essere diverso, ma alla fine, quando fai un film il lavoro è sempre quello e comunque è una zona molto battuta dal punto di vista cinematografico e televisivo. Vicino a dove mi trovavo hanno girato anche Homeland.
Durante le riprese hai avuto modo di entrare in contatto con la popolazione locale?
Sono stato a Tel Aviv quattro mesi. Abbiamo girato anche ad Haifa e in Libano, ma facevamo soprattutto base a Tel Aviv. Gli israeliani sono un popolo pieno di passione, che vive ogni giorno come se fosse l'ultimo. Lì ho scoperto di avere un cugino e ho conosciuto membri della famiglia che non sapevo di avere. Ma soprattutto ho scoperto che gli israeliani sono grandi bevitori. Ti offrono a qualsiasi ora del giorno e della notte un liquore estremamente alcolico. Rifiutarlo è considerato scortese, ma dopo qualche giorno ho capito che dovevo trovare un modo per non berlo altrimenti, prima della fine del film sarei diventato un alcolista. La sera mi portavano fuori a bere, ma io la mattina dopo dovevo lavorare, così ho imparato a far finta di bere e poi svuotare il bicchiere di nascosto.
Dopo Elle Fanning, hai recitato con un altro adolescente. Come è stata l'esperienza con Abdallah El Akas?
All'inizio Eran Riklis era un po' preoccupato perché per Abdallah era la prima esperienza. Durante la lavorazione il nostro rapporto ha attraversato varie fasi. Il film è un road movie che parla dell'incontro tra due persone educate a essere nemiche che sviluppano un rapporto. Come il suo personaggio, all'inizio Abdallah era sulla difensiva, ma quando i nostri due personaggi si avvicinano anche il nostro rapporto fuori da set è diventato più stretto. Davanti alla telecamera Abdallah era assolutamente spontaneo e questa è stata la cosa più interessante. Da allora ci teniamo in contatto e il 1 maggio lo incontrerò di nuovo alla prima israeliana del film. Non vedo l'ora di rivederlo e sono molto curioso di vedere come reagirà il pubblico al mio accento israeliano.
Io sono solo un attore, non mi sento in grado di esprimere giudizi politici. Mi tengo informato attraverso i notiziari, ma oltre a questo, non appartenendo a nessuna delle due fazioni, non posso prendere posizione. In America, tra l'altro, conosciamo solo un punto di vista unilaterale. Accendiamo la tv e ci viene detto che Israele è stata attaccata, ma la questione è molto più complessa. Entrare in contatto con la realtà del luogo mi ha aiutato a saperne di più e a conoscere persone meravigliose da entrambi i lati. Non so cosa l'arte possa fare per un conflitto così profondo, ma mi auguro che Zaytoun porti ai due popoli un sentimento positivo. Spero che la pace arrivi presto perché non credo che la morte sia un esercizio utile da praticare.
Essendo ebreo, non ti sei sentito toccato dalla questione israelo-palestinese?
Mio padre è ebreo e mia madre cattolica, ma non sono cresciuto secondo precetti religiosi. I miei nonni guardavano mia madre con sospetto perché non era ebrea perciò in casa c'è sempre stata un'atmosfera strana. Credo, però, di essere una persona spirituale.
Avete avuto problemi durante la lavorazione del film?
Solo un giorno. Dovevamo girare una delle sequenze finali ambientate al confine tra Israele e Libano, ma è sorto un problema e non ci hanno fatto attraversare il confine perciò abbiamo girato solo dalla parte israeliana. La zona più a rischio che ho vistato è stata la base aerea che si trova vicinissima al confine con Gaza. I piloti mi hanno fatto una lezione di storia per fornire il background al mio personaggio e mi hanno fatto fare il tour della base militare. In quei giorni Gaza faceva continue incursioni e c'era il rischio che i piloti venissero chiamati in missione da un momento all'altro.
Hai vistato anche il West Bank o i campi profughi palestinesi?
Avrei voluto, ma avevo poco tempo libero e poi avevo problemi con il passaporto. Spero di farlo molto presto.
Zaytoun uscirà negli USA in autunno. Quali aspettative hai?
Abbiamo presentato il film a Toronto ed è andato bene. Non so cosa aspettarmi, ma spero che il pubblico americano lo vada a vedere perché è un film che fa riflettere. E' diverso da quello che di solito vediamo nei cinema americani, perciò stiamo cercando di dargli la giusta distribuzione e spero che presto il film arrivi anche in Italia.
Hai lavorato in Israele. A quando un film in Italia?
A Roma e a Milano ho incontrato dei giovani registi, ma non ho ancora trovato il progetto giusto. Dipende dal personaggio e dalla sceneggiatura, ma se accadesse sarebbe interessante. Tra i registi italiani conosco Gabriele Muccino e mi interessa molto Paolo Sorrentino. Ho visto This Must Be the Place e mi è piaciuto, anche se è un film stranissimo. Per lavorare con voi, però, prima dovrei imparare un po' di italiano.
In effetti sì. Sono cresciuto facendo film quindi credo di avere una certa esperienza e penso che saprei come fare. Non vorrei recitare nel mio film, ma magari interpretare un cameo vestito da donna. Il problema è che non ho ancora trovato la storia giusta, ma so che vorrei cominciare facendo un piccolo film, semplice e drammatico. Qualcosa di intimo.
Sia in Zaytoun che in Somewhere ci sono degli elementi ricorrenti. Il più importante è il rapporto padre-figlio. Quando scegli i copioni cerchi, anche a livello inconscio, tematiche che in qualche modo ti appartengano a livello autobiografico?
No, in realtà è stata una coincidenza. Man mano che divento vecchio mi offrono sempre più ruoli che coinvolgono la presenza di ragazzi, ma quello che mi interessa davvero è trovare una storia che mi tocchi e mi appassioni.
In una carriera così lunga e così varia come la tua, che spazia dalla tv al cinema commerciale fino a quello d'autore, senti che manca qualcosa?
Mi piacerebbe trovare un franchise commerciale che contenga elementi di qualità. Sono pochi i film veramente grandi che non siano per ragazzi. A Hollywood vanno soprattutto i blockbuster con i supereroi tratti dai fumetti o i remake. Io vorrei trovare il mio The Bourne Identity, qualcosa che il grande pubblico possa amare, ma che non mi costringa a rinunciare ai miei piccoli film indie.
Tre anni fa, però, con l'arrivo di Sofia Coppola e di Somewhere qualcosa nella tua carriera è cambiato.
Il mondo mi ha scoperto come attore drammatico, ma a Hollywood non è cambiato molto. Sofia Coppola è una cineasta indipendente che fa i suoi film al di fuori del circuito delle majors. A Hollywood lei non interessa molto, così come Paul Thomas Anderson. L'unico che riesce ad avere peso nell'industria facendo ciò che vuole è Tarantino che però ha alle spalle Harvey Weinstein. Dopo Somewhere non mi hanno offerto nessun progetto perché il film in Europa ha vinto molti premi, ma in America è stato snobbato. Forse è un po' troppo profondo per il pubblico americano. Invece mi è capitato di perdere alcuni ruoli perché non avevo alle spalle un blockbuster di successo, ma avevo un film artistico come Somewhere. La mia carriera è molto strana, c'è anche qualcuno che non ha visto nessuno dei miei film, ma mi ferma per strada facendomi i complimenti perché una volta sono apparso in un video di Britney Spears. Non sono mai diventato famoso come Tom Cruise, anche perché i miei film sono sempre stati un po' off.
E' stata dura perché i registi, i fratelli Polski, non mi volevano. Non capivo la ragione, mi sembrava il ruolo perfetto, conoscevo già Emile Hirsch che era stato già ingaggiato dai Polski, ma loro non erano convinti dal mio aspetto fisico. Ho dovuto lottare per incontrarli, ma alla fine li ho convinti. Adoro The Motel Life, credo che sia uno dei miei film migliori, è originale, la storia è molto americana, le musiche sono bellissime, ma non ha trovato ancora distribuzione né in America né in Italia. Eppure a Roma è piaciuto molto. Spero che sia solo questione di tempo.
Al di fuori del cinema, quale è la tua più grande passione?
La musica. Vengo da una famiglia di musicista e suono pianoforte e chitarra. Compongo musica strumentale e ho composto anche score per film, ma non mi sono mai esibito in pubblico. Quando sono libero mi piace uscire con gli amici e con le mie sorelline. Fare l'attore è uno strano lavoro perché quando non sei sul set non hai molto da fare, non devi andare in ufficio. Qualche volta vado al cinema, ma non sono poi così tanti i film che mi interessano da spettatore.