Un biopic su un personaggio complesso, discusso, per sua natura divisivo, come Franco Califano non era stato ancora tentato da nessuno nel nostro panorama cinematografico; una sfida che un regista come Stefano Calvagna, figura rappresentativa di un certo modo di "sentire" il cinema popolare, non si è lasciato sfuggire. Il regista romano, ammiratore e amico del cantautore (aveva già diretto un suo film-concerto, e inserito un suo pezzo nel recente Rabbia in pugno) ha voluto cogliere l'occasione di raccontare un personaggio che sente affine, concentrandosi in particolare sull'ultima parte della vita di Califano: quella che Calvagna chiama la sua "terza vita", quella del tentativo di ritorno sulla ribalta nazionale, dopo un periodo di eclissi dalle scene. Una fase segnata, tuttavia, anche dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte, il 30 marzo del 2013.
Il risultato, un film intenso che abbraccia il melò senza lasciarsene schiacciare, ma anche senza paura di mostrare tutta la portata emozionale del soggetto, è stato presentato oggi dal regista in conferenza stampa; insieme a Calvagna, il protagonista Gianfranco Butinar (già imitatore di Califano in vari show e trasmissioni televisive) e una parte del resto del cast, comprendente Rossella Infanti, Andrea De Rosa, Nadia Rinaldi, Franco Oppini, Claudio Del Falco, Saverio Vallone e Maria Monsè.
Un film-omaggio
"Il film è stato concepito con l'idea di fare un'opera per Franco", ha dichiarato Calvagna, "rispettandolo al massimo. Io lo conoscevo, ma c'è stato chi fino alla fine gli è stato vicino, e abbiamo utilizzato soprattutto la loro competenza. Abbiamo lavorato anche con Donatella, la donna che è stata vicino a lui fino all'ultimo: abbiamo utilizzato il suo stesso abbigliamento e lo stesso arredo della casa. Avremmo voluto avere anche fisicamente la stessa casa, ma purtroppo non è stato possibile e così ne abbiamo presa una molto simile. Abbiamo girato durante il nubifragio che si è abbattuto su Roma, i disagi sono stati tanti, le riprese sono durate in tutto due settimane e tre giorni. Credo comunque che Gianfranco sia riuscito a entrare nell'anima di Califano, quella che lui a volte nascondeva; riuscendo a far emergere anche la malinconia, la noia, quel senso di solitudine che lui non voleva far vedere".
"Poco prima di Natale si era parlato di una fiction in Rai, qualcosa di poco concreto sulla vita del Maestro", è intervenuto Butinar. "A quel punto, sono stato subito chiamato da Stefano e dagli sceneggiatori Manuel Melitoto e Roberto Errichetti; la loro idea era farne un film e darmi il ruolo di Franco, ma io non ero convinto, perché non sono un vero e proprio attore. Dopo 2-3 chiamate, tuttavia, sono riusciti a convincermi: d'altronde, Califano io ce l'ho nelle viscere. È stato emozionante ma è stato anche un gioco: in un certo senso è stato facile, nonostante il poco tempo a disposizione, il temporale, e i 5-6 minuti di girato buono che riuscivamo a portare a casa ogni giorno. Forse, nessuno più di me poteva raccontare la parte finale della vita di Franco, quella che io ho conosciuto bene."
La "terza vita"
Calvagna si è soffermato poi sul periodo scelto della vita di Califano, l'ultimo decennio, segnato dal tentativo di riprendersi lo spazio che gli era stato sottratto nella scena musicale, ma anche dalla malattia. "Per raccontare tutta la vita di Califano, non sarebbe probabilmente bastata una fiction in 6 puntate", ha detto il regista. "La 'terza vita' è stata quella più particolare, quella che racchiudeva la prima e la seconda: lui disse 'invecchierò cinque minuti prima di morire', e infatti è stato esattamente così. Di tutto quello che ho mostrato, ho romanzato solo la morte, ambientando l'ultima scena al mare; l'ho fatto perché lui amava il mare d'inverno, era un invernale, amava il freddo. In quella terza vita ha attraversato sofferenze, solitudini, con quel gruppo di amici che gli è rimasto vicino fino alla fine. Quando gli hanno diagnosticato il tumore, ha detto subito 'ok, andiamo a mangiare', quasi a voler festeggiare. Questo era Franco."
Un personaggio scomodo, fa notare qualcuno. Per raccontare il quale ci voleva un certo coraggio. "Io, di personaggi comodi non ne ho mai affrontati", ha sottolineato Calvagna. "Io ero già un suo fan, la sua prima cassetta l'ho sentita a 10 anni grazie a mio padre. Lo incontrai molti anni dopo al Teatro Flaiano, e subito mi diede il suo numero di casa, dicendomi 'chiamami quando ti pare'. Alla fine ho avuto il coraggio di farlo, il mio sogno era quello di poterlo conoscere meglio e ne ho avuto l'opportunità. In seguito mi venne a chiamare il suo manager, chiedendomi di fare la regia per il concerto che celebrava i suoi 70 anni. Mi chiese quanto volevo, e io dissi che no, non avrei chiesto nulla perché sarebbe stato il mio regalo. A lui piaceva l'idea di un film su di lui, come titolo aveva pensato a Califano... L'ultimo concerto, e infatti questo è stato il titolo iniziale che avevamo scelto per il film. Poi, però, ho pensato che quello attuale sarebbe stato più giusto e meno documentaristico. La forza me l'ha data la passione, l'affetto che avevo per lui. Lui mi ha sempre dato una grande spinta, mi ha anche detto che ero il Califano del cinema."
Viene anche sottolineato l'episodio in cui il protagonista incontra un pugile (qui, il kickboxer Claudio Del Falco, nel ruolo di se stesso) e ne riceve in dono i guantoni. "L'episodio è vero", dice Butinar. "C'era un pugile che lui seguiva costantemente, che si chiamava anche lui Califano. E' una scena ispirata a un evento reale, come del resto tutto il film, esclusa la morte, che è stata romanzata." Del Falco spiega così il senso della scena: "Lui volle andare negli spogliatoi, un luogo in cui la tensione del combattimento lentamente si abbassa, e si crea sempre una complicità, un'intimità. Abbiamo cercato di trasmettere proprio questa sensazione, tra i due personaggi".
Atti di accusa (veri o presunti) e attestati di stima
Qualcuno chiede se, in certi frangenti del film, sia presente un'accusa verso un certo tipo di management musicale (e il riferimento è all'impresario interpretato da Enzo Salvi, che procura al cantautore serate non all'altezza della sua fama). "Nel film non c'è un'accusa", dice il regista, "ma alcuni fatti reali. Sicuramente, da parte del management c'erano buone intenzioni, ma questo ha provocato anche delle difficoltà a Franco: un esempio è stato il consiglio sulla legge Bacchelli, che lui neanche conosceva, quella che garantisce un fondo a personalità che hanno dato lustro all'Italia. Quella richiesta, derivata da un consiglio sbagliato, gli provocò un'ingiusta gogna mediatica. Quando penso alla situazione di Franco, in quel periodo, penso al film che preferisco di Paolo Sorrentino, L'uomo in più: il cantautore protagonista di quel film, interpretato da Toni Servillo, pareva ispirato a Califano; c'era una scena in cui si esibiva in una piazza vuota. Io ho provato a raccontarla in modo più spiccio: a un certo punto, infatti, dopo un'esibizione in un ristorante, il manager di Franco dice 'ma la prossima volta dove andiamo, in una tavola calda?' Alla fine, però, lui accettava anche questo tipo di spettacoli. Non è stata cattiva gestione, erano soldi che gli servivano per vivere."
Nel film, fa notare qualcuno, è presente anche un interprete internazionale come Michael Madsen. "Gli ho fatto sentire le canzoni di Califano e lui se n'è innamorato", ricorda Calvagna. "L'ha definito il Frank Sinatra italiano. Io a New York ho una piccola produzione insieme a Steve Buscemi, tempo fa ero lì per distribuire un mio film, e lui si è interessato alla mia opera, così è nata una sinergia. In seguito, era in Italia per un altro suo progetto e mi ha voluto incontrare: io stavo già girando, e dovevo anche fare in fretta: ma lui mi ha chiesto di trovargli un personaggio, all'interno di una storia già esistente. Siamo riusciti ad amalgamare la sua scena nel resto del film, raccontando anche un aneddoto vero. Nonostante un doppiaggio che appare un po' 'scollato', sono molto soddisfatto della scrittura di quella scena."
Una battuta, inevitabile, sul recente rifiuto del film da parte del Festival del Film di Roma. "Non voglio fare una polemica", dice il regista. "Il festival è finito, io i film non li ho visti. Non l'ho presa bene, è vero, pensavo che almeno si sarebbe potuto trovare uno spazio al film tra i fuori concorso. Ci sono stati anche gli Spandau Ballet, credevo che un'ora e mezza per un film su Califano avrebbero potuto trovarla. Comunque è una polemica su cui non voglio tornare".
Il resto del cast
A prendere la parola è poi Nadia Rinaldi, interprete nel film di Luna, personaggio ispirato alla donna che restò vicino a Califano fino all'ultimo. "Io conosco Stefano da anni, avevo già preso parte alla sua prima opera, Senza paura, e ho sempre avuto una grande ammirazione per Califano. Nei miei spettacoli ancora canto le sue canzoni: ogni sua canzone, per me, ha segnato momenti piacevoli e momenti spiacevoli. Quando Stefano mi ha chiamato per propormi personaggio, mi ha specificato che il budget era basso, ma io l'avrei fatto anche gratis. E' un'opera che mi commuove, e a cui ho partecipato col cuore e con l'anima.".
"Io ho incontrato questo vulcano che mi ha subito vomitato entusiasmo", ha detto Franco Oppini, "e ho detto subito di sì. Mi hanno detto che, più che un low budget, sarebbe stato un love budget. Conobbi Califano quando ero nei Gatti di vicolo miracoli, lui scrisse anche il testo di una mia canzone. Il mio personaggio è il batterista storico della sua band, una presenza silenziosa ma costante, un amico intimo. Stefano, in appena due settimane, è riuscito a girare con notevole rapidità, determinazione ed entusiasmo. Spero che questa Italia così disastrata e sorda si accorga di lui".
"Io conosco Stefano da anni ma non eravamo mai riusciti a lavorare insieme", ha detto Andrea De Rosa. "Quando mi ha chiamato, dicendomi che dovevano partire tra pochissimo, ho letto la sceneggiatura in fretta e furia e l'ho subito apprezzata. Il mio personaggio e quello di Danilo Brugia sono ispirati a Manuel Melitoto e Roberto Righetti, i due sceneggiatori del film: due fan diventati amici stretti, che sono stati vicini a Franco nei momenti un po' più brutti della sua carriera, imparando e assorbendo dalla sua umanità."
"Per me era un momento difficile, mio padre era appena scomparso, e io non volevo recitare, non volevo fare più nulla", ha dichiarato Rossella Infanti. "Quando Stefano mi ha chiamato, però, mi ha dato forza, mi ha detto che mi sarebbe piaciuto far parte del film, mi ha sostenuto dicendomi di non preoccuparmi, che lui sarebbe stato lì. Loro sono professionisti, ma non stronzi come la maggior parte dei professionisti. Ho conosciuto Califano un po' meglio tramite loro: e posso dire che è vero, i personaggi scomodi sono quelli più veri."
Anche Saverio Vallone, interprete del sacerdote Don Mario, ha raccontato la sua esperienza sul set. "Una cosa che ho notato è stata questa sintonia e armonia", ha detto, "ma anche questo sconfiggere, da parte di Stefano, quello che era un dato già certo: lui è capace di spogliare una scena, un dialogo, e di rifarne uno nuovo, di farti vivere ogni giorno sul set un'avventura nuova. Gianfranco, poi, ha offerto una prova straordinaria, sia dal punto di vista narrativo che umano."