Sono stati davvero tanti gli incontri che si sono tenuti a Vanity Fair Stories, il festival di Vanity Fair giunto alla sua seconda edizione. Tra talk, performance e riflessioni, c'è stato spazio anche per un incontro ravvicinato del pubblico con l'attore Stefano Accorsi, giunto appositamente da Venezia e dal set del suo ultimo film Sei tornato.
L'attore si è raccontato a cuore aperto, partendo dalla sua infanzia e dal suo imprinting cinematografico, arrivando ai suoi primi passi mossi nel mondo della recitazione. Accorsi ha inoltre riflettuto sul cinema in generale e sul suo rapporto con il pubblico.
L'infanzia con Sergio Leone
Stefano Accorsi è uno di quegli attori che hanno fatto la storia del cinema italiano, di cui continua a fare parte. La sua è stata una vera e propria vocazione, tanto da sentirsi attratto verso quel mondo già da bambino: "Sono convinto che il mio imprinting sia avvenuto con Sergio Leone, non so se sia vero ma continuo a dirlo perché resta uno dei miei registi preferiti e, quando ho scoperto cosa fosse il cinema, ogni volta che si avvicinava il fine settimana chiedevo di essere portato in sala e di vedere dei film. Quando ero piccolo io, film e cartoni animati per bambini erano uno all'anno, se andava bene. Altrimenti c'erano i film dei grandi e io ero un fan assoluto di Clint Eastwood. Dopo aver visto i film di Leone, ogni volta che usciva un film di Clint Eastwood dovevo andare a vederlo. Mi ricordo che per Firefox feci un pianto incredibile, perché i miei genitori non mi portarono". Un approccio, quello di Accorsi, verso un cinema di tipo popolare: "Arrivo da una famiglia normale, la musica che si ascoltava era di Pino Daniele, Lucio Dalla, Rolling Stone, Beatles, e il cinema era quello popolare che ti andava di andare a vedere".
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Il rapporto misterioso tra film e pubblico
Stefano Accorsi è molto attento alla ricezione del pubblico e si pone molte domande a riguardo: "Per il film e la promozione si fa quel che si può, poi sei nelle mani del dio delle sale. Il dio delle sale è una cosa strana, oggi ancora di più, per cui il pubblico, quando c'è un film che lo interessa, appena ne vede tre immagini, magari con una promozione anche non devastante, ha già deciso che lo andrà a vedere, perché c'è quella cosa che ti chiama. Non dimentichiamoci che la maggior parte dei capolavori del nostro cinema, che sono rimasti nella nostra storia, hanno avuto un grande successo commerciale, popolare. C'è un rapporto misterioso tra il film e il pubblico, si può fare un film anche venuto bene e con un'ottima promozione e quel film non funzionerà. Perché c'è qualcosa che non chiama una parte intima, istintiva del pubblico".
Da bagnino ad attore, grazie a Pupi Avati
Se c'è un attore che ha inseguito a lungo il sogno di diventarlo questo è proprio Stefano Accorsi, e l'occasione è arrivata quasi per caso: "Nel 1991 facevo il bagnino, l'ho fatto per un anno e un giorno mi chiama mia madre e mi dice che Pupi Avati cercava attori e non attori per il suo prossimo film [Fratelli e sorelle, ndr], con provini nella provincia di Bologna. Ci vado, mi faccio scattare alcune foto da un fotografo locale e vado a questo incontro, ma non c'era Pupi Avati, c'era l'assistente dell'assistente, e c'era anche una miriade di gente, decine e decine di ragazzi. Dopo qualche tempo vengo richiamato per un secondo incontro con Avati: tra l'altro, si erano appoggiati alla scuola di teatro che avrei cominciato proprio l'autunno dopo.
"Insomma, incontro Pupi Avati e facciamo una chiacchierata e lì mi rendo conto che Avati si aspetta qualcosa da me e io, spudoratamente, gliela do, facendo finta che, in quanto bagnino, avevo fatto un sacco di conquiste, anche se, in realtà, avevo passato la mia estate a guardare il mare. Quindi, mi chiama per un terzo incontro e mi manda un monologo da studiare. Vado con questo monologo, prendo un treno da Bologna e vado a Roma a fare questo provino, cercando di farlo al meglio, ispirandomi ai grandi attori che amavo, e in quel momento erano i grandi attori americani, come De Niro e Pacino, ma soprattutto De Niro. Faccio il mio monologo, me lo fa rifare, e mi chiede di farlo in un altro modo e lo rifaccio. Il film era su due fratelli, prende me e Luciano Federico (che oggi fa l'autore) e appena arriviamo a Roma ci dice di aver preso le due persone che avevano realizzato il provino più bello e il più brutto, dicendomi di averlo fatto nella seconda maniera. E questo è stato un modo molto intelligente di tenermi con i piedi per terra e ha continuato a farlo anche durante il film".
L'ansia da prestazione che non potrà dissolversi
Stefano Accorsi ha sempre vissuto i momenti chiave della sua carriera con un certo quantitativo di ansia, un po' come quando ci si presenta ad un esame universitario o viene richiesta un qualche tipo di performance. Dopo aver scacciato quell'angoscia derivante dai tempi del liceo, da lui definito un periodo orrendo e scioccante, per l'attore un minimo di ansia rimane sempre presente: "Se domani mi chiamassero per fare un provino, avrei ancora la stessa ansia. Nel senso che se tu ci tieni ad essere preso, ce l'hai sempre un po' d'ansia."
"Purtroppo, questo è un mestiere fatto di grande incertezza: è misterioso un film riuscito, che incontra il pubblico, ed è anche misterioso il successo di un attore, per certi aspetti. Spesso un attore è uno che vive costantemente nel desiderio dello sguardo altrui. E parlo di desiderio perché è una componente importante del nostro mestiere e la componente narcisistica è innegabile che ci sia. Ma è proprio il fatto che tu dipendi da una decisione di altri a farti portare sempre dietro quell'ansia. Una cosa grazie alla quale un po' me ne sono liberato è stata la fortuna di riuscire a realizzare dei progetti a teatro, ma anche la trilogia 1992, 1993 e 1994: se un progetto così lo proponi a un produttore, a Sky, ti dicono sì e parte un'avventura meravigliosa, questo sicuramente ti emancipa e ti fa approcciare al lavoro in maniera anche diversa, più propositiva, ed è importante secondo me e, oggi, indispensabile".
Una vita senza piano di riserva
Per Stefano Accorsi non c'è mai stato un piano di riserva nella vita: fare l'attore o fare l'attore, non c'erano storie. Ma la sua è stata una vera e propria vocazione quella della recitazione, come il richiamo di una sirena: _"Non avevo un piano B. Quando ero piccolo, pensavo di fare il veterinario, ma poi è una cosa che mi sono naturalmente dimenticato, e mi sono ricordato che volevo fare l'attore al liceo. Il liceo scientifico è stato faticoso per me, non mi corrispondeva e, un giorno, esonerato dall'ora di religione in quinta liceo, ho fatto una cosa: sono uscito e sono andato ad informarmi in questa scuola di teatro che era aperta solo la mattina e ho avuto l'istinto di sceglierne una buona".
Da lì in poi, la sua carriera è decollata, grazie anche allo spot del gelato Maxibon: "La prima volta che mi hanno riconosciuto è stato uno shock in tutti in sensi, perché arrivava questo ragazzo da lontano, sotto i portici di Bologna, e vedo che comincia a gesticolare con una signora che aveva vicino e dico 'ecco, l'ennesima figuraccia, adesso si avvicina e sarà uno del liceo che non mi ricordo', poi il mio periodo al liceo è stato bruttissimo, quindi tante cose le ho dimenticate. Questo arriva e mi chiama Maxibon come se fossi un supereroe, uno degli Avengers. Questo ragazzo mi ha riconosciuto e mi sono reso conto, visto che ero perso nei miei pensieri, che essere riconosciuto vuol dire avere un momento tuo, intimo, privato, e nel frattempo qualcuno ti sta guardando e tu non ci pensi perché non è una cosa che uno prende in considerazione, a meno di non essere Marlon Brando o Paul Newman che vanno in giro".