Ha uno sguardo buono e dei modi gentili, Stefano Rulli, e, contemporaneamente, quella ruvidezza dolce tipica dei romani. Inutile eloggiare il suo documentario in cui mette a nudo se stesso, come uomo e come padre, e la sua famiglia, per una giusta causa. Non ci dilungheremo nello spiegare le emozioni che il film e Matteo, protagonista del film, ci hanno regalato, solo per senso del pudore e per non fare della facile retorica. Siamo certi, così, di rispettare l'asciutezza e la compostezza di Un silenzio particolare.
Il documentario girato attorno all'autismo del proprio figlio, Un silenzio particolare, dello sceneggiatore Stefano Rulli, è un film delicato e necessario, ed è con rammarico che dobbiamo notare il peccato che sia non avere, in Italia, un'adeguata distribuzione in sala per il cinema documentario che, più di ogni altra forma d'arte, celebra e racconta la vita.
Scelga una scena del suo film e ci spieghi perchè.
C'è un gesto molto importante che mio figlio compie nel documentario: durante un banchetto di nozze mette insistentemente il suo ditto nel mio occhio... è un gesto che Matteo ha fatto spesso nella sua vita, ma solo quel giorno ho capito che cosa volesse dire: che Matteo voleva parlare e capire il perchè della mia ruga vicino all'occhio... Forse l'ho capito allora e non prima perchè, in quel momento, degli amici cantavano e suonavano con la chitarra Father and Son di Cat Stevens. Con quel gesto ho capito qualcosa di più di mio figlio, ma soprattutto di me, come uomo e come padre! Rivedendomi ho visto molti errori che non avrei voluto commettere.
Come è nata l'idea di questo film?
Mio figlio non ha mai amato vedermi lavorare, nè quando sono seduto davanti al computer per scrivere, nè quando ho la telecamera in mano... soprattutto in quest'ultimo caso. Un giorno stavo lavorando a delle riprese con un amico e mio figlio, Matteo, è casualmente entrato in campo. L'operatore mi ha fatto notare che forse non si trattava di un caso, ma di una specifica volontà di Matteo. Abbiamo provato, quindi, a riprendere Matteo in alcuni momenti della sua vita, e lui sembrava essere affascinato dalla cosa... contemporaneamente attratto e respinto. Matteo voleva realizzare il documentario nonostante per lui fosse una forte fatica. Così, con questo film, ho presentato mio figlio: Matteo.
Io e mia moglie abbiamo aperto un agriturismo per persone con handicap mentali e malattie mentali, e questo agriturismo è stato il pretesto per il documentario.
Sceneggiatore di ottimi film di fiction, come mai sceglie la forma del documentario per un suo proprio film?
Scelgo il documentario per la regia perchè mi aiuta a capire, mentre invece quando scrivo delle sceneggiature scrivo di cose che già so. Il documentario consente una regia più conoscitiva: è il montaggio a svelare il senso del documentario che hai girato. Quando mi sono rivisto in moviola ho capito molti miei errori che, nel momento in cui agivo, non credevo di compiere... Ho deciso di lasciare nel monataggio anche quei momenti, perchè il documentario deve essere la realtà e deve aiutare a capire. Il documentario mi ha dato la possibilità di indagare in me ed in mio figlio, ma avevo bisogno anche di tornare a capire la realtà contemporanea italiana che ora come ora è così confusa.
Cosa pensa suo figlio del documentario?
Prima di renderlo pubblico, ovviamente, abbiamo mostrato il documentario a mio figlio.
La prima volta che ha visto il film, Matteo ha chiesto di rivedere una parte in particolare: il momento della sua crisi. È stato molto importante per Matteo potersi vedere in quel momento, era la prima volta che poteva prendere coscienza di una parte di sè che conoscieva poco, ed infatti non faceva altro che chiedermi "perchè?"... Il documentario è uno strumento conoscitivo importante per la società e per se stessi.
Cosa si aspetta da questo documentario?
In questo film affronto la malattia di mio figlio e, se c'è qualcosa che mi auguro, è che il mio documentario possa aiutare coloro che sono così detti normali ad accettare e ad avvicinare quelli che non lo sono... spesso sentir dire cose prive di senso spaventa, ma in realtà ciò che sentiamo privo di senso non ha significato per noi, per chi lo dice il senso c'è. E' solo più difficile decifrare il messaggio.