Stati di allucinazione
Curioso che pure in un film come Body (il titolo originale è Body sob 19, che sta a significare "Cella numero 19"), ascrivibile per la maggior parte al filone dello psycho - horror, oppure del thriller paranormale, a risultare preponderante sia non tanto la dimensione psicologica, ma anzi proprio quella più profondamente corporea. Sebbene, infatti, la trama ruoti attorno a un giovane, Chon, che sembra soffrire di acute forme di schizofrenia e di scissione di personalità, il regista tailandese Paween Purikitpanya (qui al suo esordio cinematografico) pare soprattutto preoccuparsi di tradurre la componente onirica e allucinatoria in un'inedita chiave fisica, sottolineando come sia soprattutto il nostro corpo ad assorbire e rielaborare in maniera inconscia i traumi psichici subiti. Il tema cardine alla base del soggetto è appunto quello della "memoria corporale", come è anche esplicitato in una delle sequenze più inquietanti e ansiogene del film, che ha per protagonista una professoressa di psicologia.
Chon è vittima di angoscianti incubi e di oscure visioni a occhi aperti, nelle quali una donna viene assassinata e barbaramente mutilata. Non crede però che queste tremende immagini siano il frutto della sua immaginazione; al contrario ritiene che il fantasma inquieto della vittima si stia manifestando alla sua presenza con lo scopo di ottenere vendetta. Preoccupata delle condizioni psichiche del ragazzo, la sorella Aey lo costringe a prendere contatti con una psicoterapeuta. Nel frattempo, la vicenda di Chon si intreccia in maniera inestricabile con quella dell'autoritario e misterioso dottor Suthee, direttore di un ospedale con parecchi scheletri in cantina. Pur essendo le apparizioni fantasmatiche di cui è vittima Chon perfettamente incardinate nelle convenzioni della ghost story orientale (e in primis giapponese), ciascuna delle manifestazioni di questa forza vendicativa è accompagnata da abbondanti e truculente dosi di splatter, inusitate per i canoni dell'horror psicologico. La ragione è che il cinema dell'orrore tailandese non rinuncia mai a una rappresentazione efferata e granguignolesca degli omicidi, manifestando una vera e propria ossessione per il sangue e per la lacerazione del corpo, che a ben vedere potrebbe ricondursi anche alle tormentate vicende che sta subendo in questo momento il Paese (e in cui, fra l'altro, vige una censura politica molto ferrea). In realtà non è necessario disquisire troppo sulla natura del cinema tailandese (che oscilla tra l'astrazione assoluta delle opere autoriali festivaliere e la corporeità grezza delle produzioni di genere, forse perché impossibilitato a documentare l'oggettività del reale). Infatti, la fonte d'ispirazione principale del giovane regista, come egli stesso ha dichiarato, risiede piuttosto nei modelli americani (Lucas e Spielberg sono i suoi autori preferiti). Alla sua opera prima si può dire che Paween Purikitpanya si dimostra capace di sopperire alle limitazioni di budget (evidenti soprattutto nelle ricostruzioni in computer grafica) attraverso una gestione solida della messa in scena, che privilegia soprattutto la ripresa in grandangolo di personaggi soffocati da angusti e claustrofobici spazi. Nonostante la sceneggiatura si poggi su idee alquanto convenzionali, soprattutto per quel che concerne la presenza di insistiti colpi di scena (che però, a oltre dieci anni da un film come Il sesto senso, cominciano a divenire un po' troppo prevedibili...) le soluzioni visive originali, per quanto un tantino eccessive e naif, non mancano. Vale la pena almeno di citare la suggestiva sequenza ambientata nel museo di storia naturale, in cui le creature impagliate sembrano prendere vita; oppure l'omicidio del dottor Jib, letteralmente annegato in un bagno di sangue, per non parlare dell'immagine che chiude il film. Anche gli interpreti, nonostante siano quasi tutti alla prima esperienza cinematografica, sono in grado di gestire con efficacia i propri ruoli.Dopo quest'esordio (che risale al 2007) Purikitpanya farà in seguito di meglio come autore di alcuni efficaci segmenti nei film horror collettivi Phobia e Phobia 2, proiettati nelle passate stagione al Far East Film Festival di Udine.