L'ossessione per la guerra e la guerra al centro del cinema. Nel bel mezzo degli Anni Novanta, quando il filone sci-fi esplodeva tra Independence Day, Men in Black e Alien 3, lo sceneggiatore Edward Neumeier suggeriva all'amico regista Paul Verhoeven uno script che, a conti fatti, prendeva in giro l'intero assetto speculativo che ruotava attorno ad una filmografia dalle suggestioni spettacolari e guerrafondaie. Il successo del loro Robocop, datato 1987, era ancora abbastanza vivido, così come erano vividi per Verhoeven i successi di Atto di forza e Basic Instinct che, con una massiccia dose di azione ed erotismo, riscrissero in parte il cinema pruriginoso degli Anni Novanta.
Poi, però, ecco l'intoppo: nel 1995 uscì Showgirls (rivalutato poi cult), con uno scarso successo e ben otto Razzie Awards. Ahia. Una debacle che spinse il regista olandese a tornare sulla fantascienza, approfittando della sceneggiatura di Neumeier ispirata ad uno dei best seller di Robert A. Heinlein: Starship Troopers - Fanteria dello Spazio. Oggi quel film compie (già!) venticinque anni, e il lascito - come spesso accade - è di molto superiore a quando venne rilasciato in sala. Il motivo è uno: Starship Troopers può essere considerato come uno dei blockbuster sci-fi più atipici, in grado di amalgamare una storia d'amore teen ad una seconda parte in cui esce fuori una chiara accusa verso una società politica interessata a dominare il popolo tramite un regime militare propedeutico alla realizzazione privata di cittadino e di essere umano.
Una società militare e militarizzata
Insomma, una vera e propria aberrazione, preponderante nel romanzo di Heinlein (in Italia venne pubblicato dalla mitica Urania!) quanto nel film di Paul Verhoeven che, comunque, si prese delle palesi libertà intellettuali che ne modificarono in più parti il senso del racconto. Certo è che le opere nella loro complessità sono una condanna diretta al militarismo e un'accusa alle ideologie del XX Secolo. Non è un caso che il romanzo uscì nel pieno della Guerra Fredda. Mao Zedong ruppe con Chruščëv, si consumò un gioco di propaganda e, intanto, sia l'Unione Sovietica che gli Stati Uniti si contrapponevano con una corsa al riarmo nucleare, progettando innovativi sistemi di difesa e puntando dritti a quella corsa alla spazio che influenzò lo stesso Heinlein per Starship Troopers - Fanteria dello spazio. Il resto lo trovate sui libri di Storia, intanto che l'epilogo sembra non essere stato ancora scritto.
Riassumendo la trama in due righe bisogna partire dalla cornice: nel XXIII Secolo (non c'è una data specifica) l'umanità ha ormai colonizzato varie parti dell'universo e il mondo non è più diviso in Nazioni. C'è solo un'unica egemonia militare xenofoba e ossessionata dalla costante ricerca di un nemico da combattere. Proprio durante una missione ai confini della Via Lattea la Federazione scopre una specie aliena: spaventosi e famelici Aracnidi dalle dimensioni gigantesche. Svegliando il cane (ehm, il ragno) che dorme, la Terra si ritrova in guerra contro gli Aracnidi che, giustamente, difendono il loro territorio da un invasore egocentrico e squilibrato. Una guerra combattuta soprattutto dalla fanteria. Uomini e donne che svolgono il servizio militare nelle forze armate planetarie con lo scopo di ottenere pieni diritti e piene opportunità, altrimenti precluse ai civili.
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Divi anni Novanta
In questa Fanteria Spaziale c'è il protagonista della storia, ovvero Johnny Rico interpretato dall'ex star Casper Van Dien. Con lui, interpretando il personaggio di Carmen Ibanez, un altro volto per eccellenza degli Anni Novanta: la modella Denise Richards, divenuta Bond Girl per Il Mondo non basta prima di diventare una sorta di meteora. Ma Starship Troopers, in fatto di casting, è citato anche per aver lanciato Neil Patrick Harris, qui alle prese con uno dei suoi primi ruoli. Certo, il film di Verhoeven non è ricordato per le performance attoriali, tanto che fu uno degli aspetti più attaccati dalla critica, rimproverando al film dinamiche in stile Beverly Hills 9210 che, senza una giusta fluidità, sfociano in un film sci-fi che gioca con gli stilemmi del genere e sfrutta in pieno il giocattolo degli effetti visivi.
La scomodità di Verhoeven
Ma il punto però è proprio questo: Starship Troopers, targato Touchstone e distribuito dalla Tristar (ah, quanta nostalgia!) non fu un successo da box office e non fu inizialmente un successo di critica, ma l'intento di Verhoeven (regista scomodo e anarchico, mai troppo tollerato da Hollywood) era prendersi gioco delle regole e delle caratterizzazioni del genere, riempiendo la parte iniziale di bislacco umorismo e di sequenze al limite (la scena delle docce promiscue oggi farebbe molto discutere), con una messa in scena che prende immediatamente atto di una dimensione in cui il militarismo è l'unica religione concessa.
Eppure, è qui che Starship Troopers compie il passaggio necessario che lo renderà uno dei cult assoluti degli anni Novanta: prende di petto, senza mezzi termini, le assurde leggi e l'assurda giustizia (tema caro all'autore) inserite in un contesto totalitaristico, in cui il senso del dovere è imposto al cittadino con la forza o con la propaganda. Perché è proprio in questo modo che il cittadino rigetta la percezione stessa della comunità e dello Stato, divenendo insofferente alla democrazia, tratto illusorio di una libertà filtrata e costipata. In fondo, come spiega il finale del film, non c'è nulla di più pericoloso dell'assuefazione all'orrore e al conflitto. Di più, non c'è nulla di più pericoloso dell'uomo e delle sue idee, proiettate verso un'egemonia che non conosce confini.