Con la recensione di Star Wars: The Bad Batch (o meglio, dei primi due episodi) si torna nel settore animato della galassia lontana lontana, a esattamente un anno di distanza dall'ultima volta che l'avevamo visitato: era infatti il 4 maggio 2020 che, in occasione del famoso Star Wars Day, la Lucasfilm e Disney+ misero a disposizione il gran finale della serie sulle guerre dei Cloni, una conclusione spettacolare che sembrava voler mettere la parola "fine" su tutta un'era della produzione dello studio, inaugurata nel 2008 sotto l'egida creativa di Dave Filoni. Ed ecco che, un anno dopo, arriva lo spin-off di quell'annata conclusiva, che nel primo dei suoi tre cicli narrativi aveva introdotto il gruppo noto appunto come Bad Batch, cinque cloni con delle anomalie genetiche rispetto agli altri guerrieri nati dal DNA di Django Fett. Un ritorno che si preannuncia familiare ma anche diverso, sin dai primi minuti, e che ci terrà compagnia almeno per tutto il mese di maggio (dal secondo episodio in poi si tornerà alla classica cadenza settimanale ogni venerdì).
Un insolito gruppo
La parentela tra Star Wars: The Bad Batch e Star Wars: le guerre dei Cloni è esplicitata già nei titoli di testa, con il logo del secondo che viene sostituito da quello del primo, e la classica voce narrante (Tom Kane) introduce la missione di turno. Cronologicamente siamo in contemporanea con gli eventi di Star Wars ep. III - La vendetta dei Sith, e i membri del Bad Batch (immuni alla manipolazione di Palpatine in quanto geneticamente alterati) assistono increduli all'esecuzione dell'Ordine 66. Tornati su Kamino, ascoltano il discorso con cui l'ex-Cancelliere trasforma la Repubblica in Impero, e fanno la conoscenza della misteriosa Omega, una ragazzina che assiste il personale dello stabilimento di clonazione. E poi arriva Moff Tarkin, che vuole testare le capacità di tutti i Cloni, con particolare attenzione a come obbediscono (o meno) agli ordini. Una situazione poco ideale per il gruppo, che si ritrova a dover meditare sulla possibilità di allontanarsi dal mondo per cui è stato ideato e reinventarsi altrove, lontano dalle grinfie dell'Impero.
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Un nuovo lato della galassia
Una volta stabilita l'appartenenza cronologica della serie, il legame esplicito con lo show principale diventa secondario, al fine di permettere agli autori di costruire qualcosa con un'identità propria. Se la prima serie era un'avventura corale per lo più antologica e Star Wars Rebels (citato nei primi minuti della premiere tramite un cameo di un giovane Kanan Jarrus, all'epoca noto come Caleb Dume) era un serial con un arco specifico a lungo termine, questo nuovo angolo dell'universo animato tenta di combinare le due cose, almeno a giudicare dai primi due episodi, che propongono una struttura non tanto diversa da quella di The Mandalorian: viaggi da un pianeta all'altro, con il gruppo che si ritrova a compiere piccole missioni individuali, interagendo con il contesto più vasto della galassia lucasiana (anche se, forse per venire incontro ai neofiti, i rimandi alla macrostoria sono soprattutto verbali nel secondo episodio, laddove la premiere, complice una durata generosa di 72 minuti, si concede dei passaggi mitologici più approfonditi, in particolare tramite le presenze di figure come Palpatine - un Ian McDiarmid d'archivio - e Tarkin, il cui ruolo è stato considerevolmente espanso sotto l'egida di Dave Filoni).
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È una storia familiare ma al contempo diversa, grazie alla scelta vincente di puntare sul Bad Batch: sono Cloni, ma ciascuno con una personalità ben definita, ancora di più rispetto ai personaggi a cui ci siamo affezionati nella serie madre come il capitano Rex. Un aspetto che giustifica la visione in lingua originale, per apprezzare pienamente il lavoro fatto da Dee Bradley Baker, voce fissa dei Cloni dal 2008, nel creare queste nuove figure (non a caso, per la prima volta in queste produzioni animate, egli ha diritto a una schermata tutta sua nei titoli di coda, anziché essere incluso nella menzione generale del cast intero). È un esercito racchiuso in un unico pacchetto vocale, da sempre la vera anima del racconto delle guerre dei Cloni e ora al centro di una nuova espansione dell'universo narrativo della Lucasfilm, una che, almeno sulla carta, farà qualcosa di relativamente inedito: per la natura dello show, sembra improbabile che ci imbatteremo in Jedi e Sith. Certo, la Forza sarà con questi personaggi, come accade costantemente nel franchise, ma in modo diverso. Un approccio fondamentale per continuare a raccontare queste storie dopo la conclusione della Skywalker Saga, e a giudicare da questi primi 100 minuti non ci sarà da preoccuparsi per il futuro di quella galassia così distante.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione dei primi due episodi di Star Wars: The Bad Batch, la nuova incarnazione animata del franchise ideato da George Lucas ribadendo come, rinunciando a Jedi e Sith, Dave Filoni e il suo team mettano in scena un nuovo tipo di protagonista, raccontando l'ascesa dell'Impero dal punto di vista di un gruppo di Cloni. L'avventura è garantita, la Forza, seppure in modo inedito, anche.
Perché ci piace
- Dee Bradley Baker fa un lavoro fenomenale con le voci dei protagonisti.
- La componente visiva è spettacolare.
- L'equilibrio tra azione, humour, pathos e mitologia è efficace.
Cosa non va
- Il primo episodio può contenere dei passaggi un po' ostici per chi non conosce le altre serie animate.