Le riprese di Star Wars: Il risveglio della Forza, con J.J. Abrams regista del film che aprirà la nuova, agognata e temuta trilogia di Guerre stellari, sono terminate il 3 novembre 2014; eppure finora, alla nuova Lucasfilm di Kathleen Kennedy, le bocche sono state ancora cucite.
Pochi particolari sono stati lasciati trapelare sui tre nuovi film della saga, al di là dei già noti membri del cast (agli "storici" Mark Hamill, Carrie Fisher ed Harrison Ford si sommano, tra gli altri, Oscar Isaac, Andy Serkis e Max von Sydow, oltre ai più giovani John Boyega, Domhnall Gleeson,Daisy Ridley e Adam Driver) e della testimonianza di un commosso Kevin Smith; questi, da fan DOC, dopo la visita al set di Abrams ha "benedetto" il film, dicendo che ciò che ha visto gli ha ricordato la sua infanzia, che il tutto era reale, tangibile e non una semplice batteria di sequenze in green screen, e che il regista sta riproducendo il mondo creato da George Lucas con tutto l'amore e la competenza di un fan.
In ogni caso, tutta la crew di Episode VII è stata ben decisa a mantenere il più stretto riserbo su qualsiasi dettaglio di trama del nuovo film (dei successivi, ovviamente, neanche a parlarne) anche se ovviamente spoiler (ma saranno veri?) sono trapelati, foto ed indizi rubati non sono mancati.
Noi, piuttosto che inseguire la redda di ipotesi e rumors non confermati, abbiamo stavolta deciso di "giocare" un po', ed è così che alla vigilia della pubblicazione di quello che è probabilmente il trailer più attesa della storia del cinema ci siamo posti una domanda: dell'intera saga creata da Lucas, per come finora l'abbiamo conosciuta, cosa ci piacerebbe ritrovare nelle tre, nuove pellicole? E cosa, invece, vorremmo proprio evitare di rivedere?
Ciò che vorremmo ritrovare.
La mitologia / La visione d'insieme
Star Wars nasce nella mente di Lucas come possibile saga, ma tale esito era tutt'altro che scontato nel 1977, all'epoca dell'uscita del Guerre stellari originale. La sceneggiatura di quest'ultimo aveva carattere autoconclusivo, malgrado la fuga del villain Darth Vader, e la sopravvivenza dell'Impero, fossero già elementi che lasciavano la porta aperta per un eventuale sequel; inoltre, lo stesso rincorrersi delle dichiarazioni di Lucas nel corso degli anni (una saga di dodici episodi? Nove? Sei?) fanno capire che l'universo della sua creatura fosse tutt'altro che fissato e definito fin dall'inizio. Nonostante ciò, e nonostante le legittime (e in gran parte giuste) critiche mosse alla seconda trilogia, gli sceneggiatori sono riusciti, negli anni, a creare un universo integrato, con una sua coerenza interna. Il tutto ha delineato una mitologia e una narrazione all'insegna del gigantismo della visione, con un afflato tragico che ha mantenuto intatto, nel tempo, il suo fascino. Questa stessa coerenza di visione, questo sentore che ogni film sia parte di un universo più grande (e dai caratteri mitici) è elemento imprescindibile per qualsiasi prodotto che voglia rientrare nell'universo di Star Wars.
L'impostazione fiabesca
"Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana..." Un incipit del genere, entrato nel cuore di milioni di fans, delinea una precisa idea di racconto, oltre a fare da filo conduttore all'intera saga. È stato detto più volte, d'altronde: Star Wars è molte cose, ma è soprattutto una storia fantasy, narrata come una fiaba, ammantata del cotè della science fiction. La fascinazione di Lucas per i miti della cavalleria medievale, all'origine dello stesso genere fantasy, è del resto una componente esplicita e riconosciuta: e l'idea mistica della Forza, un ordine come quello dei cavalieri Jedi, i motivi che attraversano soprattutto la trilogia storica (principesse da salvare, incursioni da compiere in fortezze nemiche, un intero "regno" da redimere) legano a doppio filo l'universo di Lucas con quello del fantasy. Tale componente è passata, a nostro avviso, un po' in secondo piano nella seconda trilogia, sommersa da un'estetica più moderna, e da un ritmo artificialmente elevato che non si prende i suoi tempi per dare respiro, e visione epica, al racconto. Abrams, e i registi che lo seguiranno (per ora siamo a conoscenza solo del nome di quello designato per l'ottavo film, Rian Johnson) riusciranno a recuperare tale dimensione fiabesca alla saga?
La cinefilia
Al di là della sua impostazione fantastico-fiabesca, quella di Lucas è una saga che si è sempre caratterizzata per le sue suggestioni multiple, all'insegna (soprattutto) di una notevole cinefilia. Influenze del genere western, ad esempio, sono ben visibili in varie sue parti, a cominciare dal locale in cui Luke e Obi-Wan fanno la conoscenza del cowboy galattico Han Solo sul pianeta Tattooine; Lucas, da par suo, ha più volte dichiarato i debiti del suo film del 1977 con i jidaigeki di Akira Kurosawa come La fortezza nascosta e La sfida del samurai; anche le suggestioni del genere bellico, specie quello basato su combattimenti aerei, e di quello storico-avventuroso dei decenni passati, sono state prese e trasportate nell'universo fantascientifico della saga. Certo, risultare cinefili (e originali) nel 2014 è molto più difficile che farlo alla fine degli anni '70: tuttavia, quest'impostazione eclettica da subito assunta dalla saga, così consapevole, e capace di rielaborare le più svariate influenze, crediamo sia anch'essa da recuperare.
Un po' di cinismo
"Ti piaccio perché sono una canaglia", diceva Han Solo a Leia ne L'impero colpisce ancora. Lo stesso Han, nel film precedente, uccideva a sangue freddo, con un colpo di pistola, un cacciatore di taglie che lo stava minacciando; in una scena poi improvvidamente modificata nella Special Edition del 1997, che ha aggiunto digitalmente un primo colpo, andato a vuoto, sparato dal nemico. Proprio ne L'impero colpisce ancora (l'episodio dal carattere più dark e adulto dell'intera saga) l'amico di Han, Lando Calrissian, non si fa scrupoli nel vendere lo stesso pilota e i suoi compagni agli agenti dell'Impero; ciò, tuttavia, non impedisce che lo stesso Lando possa successivamente ravvedersi e schierarsi dalla parte giusta. Più in generale, la prima trilogia è quasi del tutto priva del buonismo forzato che ha caratterizzato, per larghi tratti, quella successiva: ci sono personaggi coi loro coni d'ombra, anche al di là della semplice dialettica tra i due differenti lati della Forza. Quel po' di cinismo (ma forse sarebbe meglio definirlo realismo) necessario per dare credibilità ai personaggi, è stato quasi del tutto abbandonato. Recuperarlo in questi tre sequel, considerato anche il ritorno dei protagonisti storici, sarebbe a nostro avviso una buona idea.
Una nuova generazione di eroi tali da smuovere l'immaginario
Il punto è dolente ma importante: nella seconda trilogia, non abbiamo trovato interpreti che fossero in grado di sostituire i "vecchi" per carisma, resa scenica, livello di penetrazione nell'immaginario. Mark Hamill, Harrison Ford e Carrie Fisher, coi loro personaggi, hanno segnato un'epoca, e non soltanto per le loro doti recitative: la loro adesione ai rispettivi caratteri, la loro capacità di "bucare lo schermo", sono state così totali che un'intera generazione di spettatori li ha identificati, integralmente, con gli eroi da loro interpretati (a parte il caso di Ford, che ha creato almeno altre due icone - Indiana Jones e il Deckard di Blade Runner - e ha dimostrato una versatilità obiettivamente superiore a quella dei suoi colleghi). Accanto a loro, un "comprimario" di lusso come Alec Guinness, e un villain come Peter Cushing, hanno contribuito in modo notevole alla mitologia della saga. Nei prequel, Hayden Christensen, Ewan McGregor e Natalie Portman, complice anche (ma non solo) la non esaltante scrittura dei rispettivi personaggi, non sono riusciti a fare altrettanto. Ora, i più giovani protagonisti che affiancheranno il cast storico, per la maggior parte poco noti al grande pubblico, riusciranno ad essere all'altezza del mito del quale sono stati chiamati a far parte?
Il carisma dei protagonisti storici
Punto legato al precedente, il cui raggiungimento potrebbe sembrare più scontato data la presenza dei tre interpreti originali (nonché, non dimentichiamoli, dei "nascosti" Anthony Daniels, Kenny Baker e Peter Mayhew, rispettivamente nei ruoli dei droidi C-3PO ed R2-D2, e dello Wookiee Chewbecca). Tuttavia, sono passati oltre 30 anni da Il ritorno dello Jedi, e non è affatto facile, per tre attori ormai avanti negli anni, tornare nel mood dei personaggi che diedero loro il successo, riuscire a raggiungere quello stesso quid, quella mimesi totale coi loro caratteri. Ford l'ha già fatto qualche anno fa (dignitosamente, a parere di chi scrive) con un altro suo personaggio storico, ovvero Indiana Jones; in questo, quindi, parte avvantaggiato. Inoltre, molto starà, in questo senso, agli sceneggiatori dei nuovi film: anche la scrittura dei personaggi, la loro costruzione narrativa, dev'essere all'altezza di quella storica. In questo, la presenza di Lawrence Kasdan ad affiancare Abrams nella stesura del copione di Episode VII, sembrerebbe rappresentare una garanzia. Anche in questo caso, però, non ci sentiamo di dare per scontata la bontà del risultato.
L'afflato melodrammatico
Altro punto dolente, che ha segnato, a parere di chi scrive, uno dei più gravi limiti della seconda trilogia. Di più: la componente melò nei prequel di Star Wars, che doveva costituire un crescendo fino ad esplodere nel confronto finale tra Anakin e Obi-Wan, ha rappresentato una delle promesse non mantenute di quei tre discussi film. Un amore contrastato e impossibile, quello tra il giovane Jedi e la principessa Padmé, la scelta di Anakin tra le ragioni del cuore e quelle della dedizione ai suoi compiti, il contrastato rapporto con Obi-Wan, la frustrazione e le spinte alla ribellione unite ai sentimenti di affetto e riconoscenza verso il maestro; e poi la tentazione del Lato Oscuro, la brama di potere e affermazione personale, il tradimento, lo scontro fratricida alla fine. Di materiale dal respiro shakespeariano, insomma, ce n'era a sufficienza; tanto da far sperare in un approfondimento dell'afflato melò che già pervadeva la trilogia storica, introdotto da quell'indimenticato "Io sono tuo padre" pronunciato da Darth Vader all'indirizzo dell'ignaro Luke. I prequel, purtroppo, hanno tradito in questo le aspettative: anche (e forse soprattutto) quel La vendetta dei Sith che è l'episodio che generalmente, tra i tre, viene trattato con la maggior benevolenza. Serve ben altro, per emozionare e far risuonare le corde emotive, tanto dei fans quanto degli altri spettatori: Abrams, e chi lo seguirà, saranno all'altezza del compito?
La politica
Prima di diventare lo sfornatore di blockbuster che è attualmente, Lucas, non bisogna dimenticarlo, fu tra gli esponenti più importanti della New Hollywood: un movimento che aveva, nell'impegno politico dei suoi esponenti, e nella carica eversiva delle loro opere, una delle sue caratteristiche fondanti. Walter Murch, collaboratore di Lucas e montatore di Apocalypse Now, afferma che il regista, che avrebbe dovuto dirigere il capolavoro bellico poi girato da Francis Ford Coppola, trasferì parte delle sue idee in Guerre stellari: i vietnamiti erano rappresentati dai ribelli, gli Stati Uniti, con la loro arroganza, dall'Impero. I legami della sua saga con la guerra del Vietnam, e con le spinte autoritarie dell'amministrazione Nixon, sono stati d'altronde ribaditi più volte dallo stesso Lucas; molti, nella seconda trilogia, hanno visto anche un parallelo (smentito solo dal fatto che i film furono concepiti precedentemente) con le malefatte dell'amministrazione Bush. Questo, va detto, è stato forse uno dei pochi aspetti in cui la seconda trilogia non si è rivelata inferiore alla prima: l'affresco di una democrazia che lentamente, forzando i limiti della legalità, cede all'autoritarismo, è al contrario riuscito e credibile; e il Palpatine di Ian McDiarmid è un villain efficace in tutti i film in cui compare. Non sappiamo ancora quali minacce la Repubblica incontrerà nei prossimi tre film: ma ci piace pensare che anch'essi finiranno per raccontare un po' di noi, e di un'epoca in cui in molti (troppi) sarebbero disposti a rinunciare alla libertà in cambio di sicurezza e stabilità.
Ciò che non vorremmo ritrovare.
Jar Jar Binks / Gli Ewoks
Abbiamo preso due emblemi, uno per ognuna delle trilogie finora uscite, di un approccio eccessivamente infantile (e legato a doppio filo al marketing) alla saga. Anche se, stando a quanto dichiarato in alcuni documentari, gli Ewoks sarebbero stati introdotti per dimostrare la possibile prevalenza di un popolo "primitivo" su uno a tecnologia più avanzata, è un fatto che essi abbiano rappresentato il primo, reale cedimento della creatura di Lucas alla ricerca di un pubblico di giovanissimi; introducendo inoltre una stonatura nel clima complessivo della prima trilogia (che tuttavia non avrebbe pregiudicato la sua riuscita, e neanche quella del film in cui furono introdotti, Il ritorno dello Jedi). Non a caso, in seguito le piccole creature sarebbero apparse in due film televisivi a parte, entrambi per bambini, intitolati L'avventura degli Ewoks e Il ritorno degli Ewoks. Su Jar Jar Binks, invece, sono stati già impiegati fiumi di inchiostro (e migliaia di kilobyte), quindi non staremo a ripetere cose già dette: già la sua quasi totale assenza da La vendetta dei Sith fa pensare che Lucas (anche se non lo ammetterà mai) almeno in quell'occasione abbia fatto tesoro delle critiche dei fans, riducendo drasticamente lo spazio del personaggio. Da par nostro, siamo abbastanza fiduciosi che sceneggiatori e registi della nuova trilogia (specie se personaggi dall'intelligenza di Kasdan e Abrams) non ripetano un simile errore.
Gli aggiornamenti continui
Altro problema annoso, e abbondantemente dibattuto (quasi sempre con forti critiche verso l'atteggiamento di Lucas). Quello di cui il regista non sembra rendersi conto, nello specifico, è che un film non è un software; non c'è bisogno, nel cinema, di continui restyling e aggiornamenti, di versioni 1.0, 1.1, 2.0 e via dicendo. L'opera d'arte, una volta immessa nel circuito della comunicazione, non è più interamente proprietà dell'artista; e questo vale ancor più per il cinema, arte popolare e industriale per eccellenza. L'universo di Star Wars è ormai, in gran parte, proprietà dei fans, che ne hanno perpetuato il mito ed ampliato le dimensioni, con i loro tanti prodotti "collaterali"; se è giusto che la saga cinematografica non tenga conto del cosiddetto "universo espanso", e se è giusto che Lucas rivendichi una proprietà intellettuale sulla sua creatura, è ingiustificato che tale rivendicazione arrivi fino al punto di negare l'esistenza stessa di un'opera prodotta più di un trentennio fa; condannandola a un oblio che tra l'altro (data l'esistenza della pirateria) non sarà mai totale. Guerre stellari, L'impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi erano perfetti (e risulterebbero tuttora modernissimi) nelle rispettive incarnazioni originali; le modifiche che vi sono state apportate negli anni sono risultate sempre inutili, quando non dannose. Ciò che auspichiamo, per i film di questa nuova trilogia, è di non doverci ritrovare, tra un ventennio, a discutere di aggiunte digitali, scene girate ex novo, volti di vecchi attori sostituiti da altri più giovani, e via dicendo. Come si suol dire in questi casi, "abbiamo già dato".
Il ritmo artificiosamente elevato
La seconda trilogia ha portato a una moltiplicazione delle sequenze d'azione, spesso a scapito della narrazione. Questo, a nostro avviso, è stato uno degli elementi che ne hanno decretato il fallimento; l'ipertrofia visiva ha ucciso, in gran parte, il piacere del racconto, la credibilità degli eventi e la profondità dei personaggi. La saga ha pagato pegno a un'estetica da blockbuster moderno, ma il prezzo, almeno per noi, è stata la noia: sequenze come l'inseguimento tra i cieli di Coruscant che apre L'attacco dei cloni, o i poco fantasiosi scontri aerospaziali presenti in molte scene de La vendetta dei Sith, hanno poco dell'universo di Star Wars. Da "vecchi" fans della saga (ma non da nostalgici tout court) abbiamo trovato anche piatte, nella resa spettacolare, molte di queste sequenze; e ancor più deleteria la loro moltiplicazione, specie quando questa ha nuociuto allo sviluppo del racconto. Il modo affrettato e poco credibile in cui viene descritta la "conversione" di Anakin al Lato Oscuro, momento centrale dell'intera saga, ne La vendetta dei Sith, ne è un perfetto esempio. Di nuovo: siamo abbastanza fiduciosi nelle capacità di cineasti come Abrams e Kasdan (ma anche di un regista più giovane come Rian Johnson) nel trovare il giusto equilibrio tra spettacolarità e narrazione, per rendere giustizia a una saga che ha nell'azione solo uno dei suoi elementi, ma non l'unico. Siamo consapevoli che è proprio su tale equilibrio che si reggerà, in gran parte, la riuscita di questi tre nuovi film.
Il buonismo
Ovvero: il contrario di quel sano cinismo (o realismo) di cui parlavamo sopra. La seconda trilogia, purtroppo, non ne è esente, e questo elemento ha finito per contaminare anche le nuove versioni della vecchia; ciò succede principalmente nella già ricordata sequenza del colpo di pistola sparato da Han Solo contro un cacciatore di taglie, in Una nuova speranza, che fa apparire (in modo molto politically correct) l'azione dell'eroe come una difesa. Ma, spostandosi sui prequel, è da ricordare anche l'autocensura, ne L'attacco dei cloni e La vendetta dei Sith, di due delle scene potenzialmente più cruente dell'intera saga: ovvero, rispettivamente, quella in cui Anakin, distrutto dal dolore per la morte della madre, stermina l'intera popolazione dei Tusken sul pianeta Tattooine, e quella in cui lo stesso Anakin, ormai voltosi al Lato Oscuro, uccide a sangue freddo tutti i Jedi presenti nel tempio, compresi i giovanissimi padawan. Se l'autocensura è più comprensibile nel caso della seconda sequenza (che va a toccare un tabù, specie nel cinema occidentale, come la morte violenta di un bambino) a nostro avviso essa appare molto più ingiustificata nel primo caso, quello della scena su Tattooine ne L'attacco dei cloni: anche perché si tratta della prima azione violenta compiuta da un Anakin non ancora corrotto, ma evidentemente già preda di quei sentimenti negativi che finiranno poi per sopraffarlo. Esplicitarla avrebbe aiutato non poco a definire il personaggio e la sua evoluzione.
Più in generale, quindi, ci auguriamo che questa nuova trilogia mostri, in casi come questi, un po' più di coraggio: malgrado il target resti quello (inevitabile) di un pubblico da blockbuster, troviamo inaccettabile sacrificare esigenze narrative sull'altare di un politically correct da perseguire sempre e comunque. E poi, c'è la considerazione più banale: il Lato Oscuro è parte integrante dell'universo di Star Wars. Mostrarlo esplicitamente, così come si mostra quello chiaro, ci sembra davvero il minimo.
Le parentesi "twilightesche"
La componente sentimentale, tutta incentrata, nel secondo e terzo film, sul rapporto tra Anakin e Padmé, è a nostro avviso uno dei punti deboli dell'intera trilogia. Punto debole piuttosto grave, perché proprio da quel contrastato amore ha origine (indiretta) il tradimento del giovane Jedi, oltre che la nascita dei protagonisti della trilogia storica, Luke e Leia. Eppure, qualche anno prima di Twilight, le parentesi sentimentali che coinvolgono Hayden Christensen e Natalie Portman (presenti soprattutto ne L'attacco dei cloni, ma in misura minore anche nel film successivo) finiscono per somigliare a quelle della famigerata saga vampiresca: sospiri, sguardi languidi e sottolineature artificiose del destino dei due amanti. Parte di ciò è dovuto anche all'inadeguatezza degli interpreti: a un Christensen ingessato (su di lui torneremo) si somma una Portman altrove ottima, ma qui in evidente difficoltà, specie con questo tipo di registri. Quando piange e si dispera per il suo amante, spiace dirlo ma non si riesce proprio a prenderla sul serio. Se dobbiamo pensare all'amore, nella saga di Star Wars, pensiamo piuttosto a quello tra Han e Leia nella vecchia trilogia: altrettanto stereotipato, senza dubbio, anche se in modo diverso (la "canaglia" e la ragazza prima riottosa, poi innamorata quasi suo malgrado) ma molto più in linea col clima della saga. Senza contare che a noi, personalmente, amori del genere piacciono infinitamente di più.
Hayden Christensen
Un altro dei punti dolenti della seconda trilogia. Gli dedichiamo un'intera voce, perché il personaggio di Anakin è il protagonista di questi tre film, e in assoluto il centro (insieme a suo figlio Luke) dell'universo di Star Wars: un personaggio del genere meritava sicuramente un interprete migliore. La mente corre al 1999, e alle voci che si ricorrevano, a ridosso dell'uscita de La minaccia fantasma, su un possibile affidamento del ruolo di Anakin adulto a Leonardo DiCaprio. All'epoca, molti fans storsero il naso: ora, guardando i risultati raggiunti, in una carriera ancora "giovane", dal protagonista di The Wolf of Wall Street, e la sua dimostrata maestria proprio in quei registri recitativi che dovevano caratterizzare il personaggio di Anakin (rabbia incontrollata, ribellione, espressione violenta delle emozioni) il paragone con Christensen appare semplicemente impietoso.
Ma, anche senza arrivare a DiCaprio, ci rifiutiamo di credere che un interprete più adatto al personaggio fosse difficile da trovare: Christensen, quando (nel secondo e ancor più nel terzo film) incupisce lo sguardo, riesce al massimo a strappare qualche sorriso, nonché l'esortazione mentale a smettere di fare i capricci. Non proprio il risultato migliore, per un personaggio di tal peso. Quello che auspichiamo, quindi, per una trilogia di cui ancora non conosciamo (nel dettaglio) eroi e antagonisti, è che i ruoli "di peso" abbiano interpreti dal carisma adeguato. John Boyega e Daisy Ridley, che saranno presumibilmente i due interpreti principali di Episode VII, sono giovani e poco conosciuti, in linea con la scelta di Abrams di non utilizzare, per i ruoli chiave, attori dal volto troppo noto (coerentemente con quanto fece Lucas nel 1977). Come per ogni altro aspetto di questi tre nuovi film, ne verificheremo, senza pregiudizi, la resa.
Il 3D posticcio
Abbiamo ancora negli occhi la brutta, inutile conversione stereoscopica de La minaccia fantasma, con un 3D appena avvertibile e dal look inevitabilmente posticcio. Ufficialmente è stata la necessità di concentrarsi sulla realizzazione dei tre nuovi film (ma forse, in realtà, le poco entusiastiche reazioni del pubblico a quell'operazione hanno avuto un certo peso) a convincere la Lucasfilm a rinviare, a data da destinarsi, la release stereoscopica dei due film successivi, nonché (viene da tremare solo a pensarlo) quella della trilogia storica. Tra le poche cose che sappiamo per certe di Episode VII, è che è stato girato in 35mm, una scelta in controtendenza con i blockbuster moderni, quasi tutti realizzati in digitale; ma anche che (purtroppo, viene da dire) godrà anch'esso di una, successiva, riconversione stereoscopica. Il 3D non ha mai fatto parte dell'universo di Star Wars: la profondità visiva, la capacità di trasportare lo spettatore nel suo mondo, la saga l'ha avuta fin dall'inizio in modo spontaneo, senza bisogno di artifici tecnici. Tuttavia, se 3D dev'essere (e questo, purtroppo, è ciò che un certo segmento dell'industria, attualmente, richiede) che almeno sia realizzato bene, e con consapevolezza. Il fatto che si tratti di una riconversione non è necessariamente sinonimo di cattiva qualità: col suo Titanic in 3D, James Cameron fece un ottimo lavoro su un film di un quindicennio prima. Abrams ha modo di controllare direttamente il processo di conversione, nonché di girare il film (anche) in quell'ottica. Fermo restando che da parte nostra, potendo scegliere, opteremo probabilmente (e qui un po' di integralismo "da fans" viene fuori) per la visione bidimensionale.