Star Trek: Il meglio e il peggio del franchise

In occasione del cinquantesimo anniversario dell'universo fantascientifico creato da Gene Roddenberry, ripercorriamo gli alti e i bassi della grande saga televisiva e cinematografica.

Star Trek Beyond: Zachary Quinto con il regista Justin Lin sul set
Star Trek Beyond: Zachary Quinto con il regista Justin Lin sul set

Il primo episodio di Star Trek è andato in onda l'8 settembre 1966, inaugurando un franchise dalla longevità improbabile dato che, fino all'uscita del reboot cinematografico diretto da J.J. Abrams, l'universo inventato da Gene Roddenberry era considerato un fenomeno di nicchia, per pochi eletti noti affettuosamente come Trekkers (o, in senso più dispregiativo, Trekkies). Ad oggi, ciò che era iniziato come le avventure settimanali dell'equipaggio dell'astronave Enterprise si è evoluto in un vero e proprio franchise multimediale, che solo sullo schermo ha generato una versione animata, quattro spin-off con attori in carne ed ossa e tredici lungometraggi per il cinema, questi ultimi capaci di attirare registi di non poco conto come Robert Wise o il già citato Abrams.

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Zachary Quinto e Chris Pine sul set del film Star Trek (2009)
Zachary Quinto e Chris Pine sul set del film Star Trek (2009)

Un fenomeno che non si appresta a fermarsi, poiché a gennaio andrà in onda - su Netflix per l'Italia e altri mercati internazionali - una nuova serie, Star Trek: Discovery, curata da Bryan Fuller (Pushing Daisies, Hannibal). Per commemorare le cinquanta candeline del franchise, ecco quelli che, a nostro avviso, sono stati i maggiori punti di forza, ma anche i principali difetti, di un viaggio alla scoperta di nuovi mondi che continua ad esercitare lo stesso fascino che aveva nel 1966.

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Cosa ha funzionato

Kirk, Spock e McCoy

Star Trek III: Alla ricerca di Spock, un'immagine del film
Star Trek III: Alla ricerca di Spock, un'immagine del film

Quando Abrams ha avuto l'occasione di girare il suo Star Trek, rilanciando una saga che all'epoca era sul viale del tramonto, il creatore di Alias ha sottolineato quanto fosse importante ritrovare e rispettare l'essenza del franchise, che per lui, da conoscitore ma non fan accanito del franchise, era riassumibile con due nomi: Kirk e Spock. Dal 1966 al 1991, infatti, la costante fondamentale della saga è stata la chemistry fra i due personaggi principali e tra i rispettivi interpreti, William Shatner e Leonard Nimoy. Due colleghi capaci di formare un'improbabile amicizia, basata sull'equilibrio fra le loro due personalità distinte: James T. Kirk, terrestre al 100%, è passionale ed intrepido (caratteristiche condivise con lo stesso Shatner, il cui atteggiamento larger than life, spesso parodiato da vari comici americani, fu occasionale fonte di tensioni con gli altri interpreti della serie originale), mentre Spock, nato da un padre vulcaniano e una madre umana, cerca di tenere sotto controllo le proprie emozioni, all'insegna di uno stile di vita basato sulla logica.

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A questo carismatico duo possiamo aggiungere il medico Leonard "Bones" McCoy, talmente popolare che, nella seconda e terza stagione dello Star Trek primigenio, il nome di DeForest Kelley fu aggiunto a quelli di Shatner e Nimoy nei titoli di testa (gli altri attori dovettero accontentarsi di essere menzionati nei credits finali). Un trio semplicemente irresistibile, sia nella versione classica - anche nella terza stagione del prototipo, ricca di episodi imbarazzanti - che in quella nuova con i volti di Chris Pine, Zachary Quinto e Karl Urban.

Diversificazione

Star Trek - Deep Space Nine: un'immagine promozionale
Star Trek - Deep Space Nine: un'immagine promozionale

Per sopravvivere sugli schermi per cinquant'anni il franchise si è dovuto adattare, e lo ha spesso fatto in modo sorprendente ed avvincente. In una stessa serie è possibile passare da episodi più filosofici a storie puramente comiche, con in mezzo dei racconti che vogliono semplicemente andare oltre le convenzioni narrative/mitologiche dell'universo di Roddenberry (esemplare, in tal senso, la puntata di Star Trek - Deep Space Nine dove, in una realtà parallela, i protagonisti fanno parte dello staff di una rivista di fantascienza negli anni Cinquanta). A questo si aggiungono le reazioni a progressi nella vita reale, affidando il ruolo del capitano a un uomo di colore (in Deep Space Nine) e poi a una donna (in Star Trek Voyager), evoluzione del concetto originale di Roddenberry che immaginava un futuro dove tutti convivono in modo più o meno armonioso (motivo per cui nel prototipo l'equipaggio dell'Enterprise vantava anche un membro russo, Pavel Chekov). Tutto questo senza dimenticare l'evoluzione della narrazione televisiva stessa, passata dalla struttura auto-conclusiva della serie originale e di Star Trek: The Next Generation alle storyline a lungo termine che hanno dominato Deep Space Nine ed Enterprise (il primo, in particolare, si è spinto in zone d'ombra impensabili all'epoca di Roddenberry con una trama orizzontale di tipo bellico).

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Ronald D. Moore

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Per la generazione odierna di telefili - per usare un termine coniato da Aldo Grasso - è lo showrunner di Outlander e il creatore della versione moderna di Battlestar Galactica, il che già di suo basterebbe per renderlo un nome indispensabile negli annali della serialità catodica statunitense. Ma il buon Ronald D. Moore ha iniziato con Star Trek e il suo contributo è stato forse il più importante nel rendere il franchise maggiormente versatile ed intrigante. Inizialmente ingaggiato come freelancer dopo aver inviato una sceneggiatura di prova per The Next Generation, Moore è poi diventato uno dei personaggi di punta nello staff del primo spin-off, famoso soprattutto per gli episodi che approfondiscono le usanze della società Klingon, che nelle sue mani si è evoluta dal ruolo di semplice antagonista che aveva in origine.

Ronald D. Moore sul set dell'episodio A Disquiet Follows My Soul di Battlestar Galactica
Ronald D. Moore sul set dell'episodio A Disquiet Follows My Soul di Battlestar Galactica

Insieme all'amico Brannon Braga ha anche firmato il copione di uno dei migliori film della saga, Star Trek: Primo Contatto (ma anche, a onor del vero, il pessimo Star Trek: L'insurrezione) e soprattutto contribuito alla grandezza di Deep Space Nine, rendendolo un vero e proprio dramma ricco di sfumature che, a livello tematico, anticipano in parte Battlestar Galactica.

Jean-Luc Picard

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Nell'episodio di The Big Bang Theory in cui scopriamo come Leonard Hofstadter è divenuto il coinquilino di Sheldon Cooper, quest'ultimo gli chiede quale versione di Star Trek sia la sua preferita. La risposta di Leonard è: "L'originale è meglio di The Next Generation, però Picard è meglio di Kirk." Il commento di Sheldon? "Corretto." Un simpatico omaggio a quello che effettivamente è uno dei personaggi più affascinanti del franchise, incarnato con tipica eleganza inglese da Patrick Stewart, attore shakespeariano che grazie a Star Trek è diventato un'icona di genere. Francese di nascita ma britannico a livello culturale (Stewart giustificò l'accento di Jean-Luc dicendo che era stato cresciuto da una bambinaia inglese), Picard è un uomo raffinato e pacifico, ma anche ligio al dovere quando le situazioni si complicano.

Tom Hardi e Patrick Stewart in Star Trek la nemesi
Tom Hardi e Patrick Stewart in Star Trek la nemesi

Appassionato di arti varie e della sua immancabile tazza di Earl Grey ("Hot!", la sua richiesta quasi bondiana ogni volta che chiede di essere servito), non cede mai di fronte a pressioni esterne, come ben sa chi ha visto l'episodio - fortemente voluto da Stewart, da sempre impegnato in varie cause sociali ed umanitarie - dove Picard viene torturato in circostanze fortemente orwelliane, ma rifiuta di dare la risposta errata pretesa dai suoi dai suoi aguzzini (è giustamente ricordato con affetto il suo urlo di commiato: "Ci sono QUATTRO luci!"). Non per niente J.J. Abrams ha detto che non gli dispiacerebbe affatto farlo apparire nella nuova linea temporale cinematografica, anche se sarà difficile sostituire Stewart (il quale però probabilmente direbbe, come solo lui sa fare, "Make it so.").

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Cosa non ha funzionato

Gene Roddenberry

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Come George Lucas per Star Wars, il creatore di Star Trek è al contempo un uomo da ammirare e, per certi versi, il peggior nemico del franchise. Sorvolando sulla sua etica lavorativa talvolta discutibile (durante la creazione di The Next Generation avrebbe respinto certe proposte degli sceneggiatori per poi usarle sostenendo che fossero idee sue), il suo approccio alla saga era sempre ancorato nel passato, senza un occhio di riguardo per il futuro. Questo è particolarmente evidente sia nelle prime due stagioni di The Next Generation, dove diversi episodi erano praticamente fotocopiati dall'originale, che in Star Trek: Il film, dove la sua insistenza per una trama tutta filosofia e niente action portò ad un film visivamente ineccepibile ma drammaticamente inerte. In entrambi i casi il suo ruolo attivo fu drasticamente diminuito, il che permise alla saga di esplorare nuovi territori e sopravvivere in un'industria dell'audiovisivo dove adattarsi ai tempi è sempre più fondamentale. Anche se in due casi l'influenza del "Grande Uccello della Galassia" (il soprannome assegnato dai fan al creatore di Star Trek) si fece sentire.

Staticità

kate Mulgrew, Roxann Dawson, Robert Picardo e il resto del cast della serie Star Trek Voyager in una foto promozionale
kate Mulgrew, Roxann Dawson, Robert Picardo e il resto del cast della serie Star Trek Voyager in una foto promozionale

Dopo il successo di The Next Generation e Deep Space Nine, era lecito aspettarsi che il nuovo percorso creativo del franchise continuasse. E a scatola chiusa Voyager aveva tutte le carte in regola, grazie ad una premessa forte che doveva fungere da trama orizzontale permanente - il viaggio disperato e in apparenza futile dell'omonima astronave per tornare a casa - e la promessa di un equipaggio in preda a conflitti interpersonali. Due caratteristiche che furono presto accantonate per cedere il posto ad una serie che, salvo occasionali rimandi alla storyline a lunga gittata, ricordava gli episodi più deboli della serie originale ma con effetti speciali più evoluti. Un viaggio a ritroso che continuò con Star Trek: Enterprise, parzialmente spacciato a priori in quanto prequel del primo Star Trek e quindi obbligatoriamente costretto a rinunciare a molti elementi forti della saga come i Borg e i viaggi nel tempo, usati solo sporadicamente con diverse clausole per spiegare perché non ve ne fosse alcuna menzione all'epoca di Kirk e soci. Certo, non aiutò molto neanche il fatto che ci fossero degli episodi dove il protagonista era il cane del capitano.

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Il finale di Enterprise

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Parlando sempre dell'ultima serie (finora), essa è riuscita anche a fare una cosa abbastanza rara: confezionare un episodio di commiato che oltre a critica e pubblico ha fatto arrabbiare anche il cast. Questo perché il finale di Enterprise, a causa della cancellazione dello show poco prima delle riprese e dell'assenza di altre serie di Star Trek nel futuro immediato, fu riconcepito come un addio a tutto il franchise. Ed ecco che il cast si ritrova a fungere da guest star nel proprio show, poiché gli eventi in questione sono una simulazione olografica nel futuro, per l'esattezza la settima stagione di The Next Generation, con Jonathan Frakes a farla da padrone in una serie non sua. La nobiltà dell'intento è indiscutibile ma come omaggio a tutta la storia di Star Trek ha un sapore troppo artificioso, lasciando un amaro in bocca che Discovery - speriamo - contribuirà ad eliminare del tutto.

Into Darkness - Star Trek

Il comandante Chris Pine sfodera la pistola in una scena di Star Trek Into Darkness
Il comandante Chris Pine sfodera la pistola in una scena di Star Trek Into Darkness

Chiarimento: a chi scrive il dodicesimo film della saga piace parecchio, ma è innegabile che sia molto problematico e che le alte sfere della Paramount, in collaborazione con Abrams, l'abbiano gestito male in sede di marketing (il regista ha ammesso che, col senno di poi, mentire sull'identità del villain è stato un errore). Se infatti il primo capitolo del reboot abramsiano era riuscito a trovare l'equilibrio perfetto tra accontentare i fan storici e confezionare un film fruibile senza alcun problema dai neofiti, Into Darkness commette il peccato quasi mortale di ammiccare agli appassionati, in almeno due occasioni, in modo assolutamente gratuito. Sono dunque comprensibili le reazioni variegate degli spettatori che, in parte per via della delusione associata al ritorno in scena di Khan, hanno perlopiù ignorato il nuovo Star Trek Beyond (ma non ha aiutato l'assenza di una campagna pubblicitaria forte). Un vero peccato, perché ciò rischia di mettere a repentaglio il futuro di questa incarnazione del franchise, che solo pochi anni prima era riuscita a fare l'impossibile: conquistare un pubblico che di Star Trek sapeva poco o nulla.