Eccoci arrivati alla recensione di Star Trek: Discovery 3x12, la penultima tappa dell'attuale viaggio dell'equipaggio capitanato da Saru e Michael Burnham. Parlando dell'episodio precedente avevamo constatato l'efficienza del cliffhanger conclusivo, al netto degli squilibri narrativi generali (la puntata in sé aveva un che di frettoloso, dopo la digressione bipartita su Philippa Georgiou), ed è positivo che il penultimo capitolo della stagione approfondisca quel momento, accantonando per quaranta minuti la questione dell'origine del Grande Fuoco (il che significa anche che, purtroppo, Doug Jones è sostanzialmente in vacanza in questa sede, in vista di una presenza più importante nel finale di stagione). Positività accentuata dal fatto che per la terza volta all'interno dell'attuale ciclo di episodi la regia sia stata affidata a Jonathan Frakes, scelta ideale per una storia che mescola azione e suspense in un ambiente contenuto (praticamente tutto l'episodio si svolge a bordo di un'astronave o l'altra). È quindi, come minimo, una buona distrazione dal timore che il gran finale sancisca definitivamente il rifiuto della serie di crescere in maniera permanente e significativa.
Federazione e criminalità
Nel corso di questa stagione di Star Trek: Discovery si è più volte parlato di un gruppo fuorilegge, con alcuni esponenti (in particolare uno, Zareh, interpretato da Jake Weber, che torna in Un buono tra la gente) che si sono già imbattuti nell'equipaggio della Discovery, in parte a causa del legame con Book. Adesso la nave è in loro possesso, e la leader Osyraa intende servirsene per entrare in contatto con la Federazione e negoziare un qualche tipo di pace.
Star Trek: Discovery 3x11, recensione: l'origine del fuoco
Tutto questo mentre l'autorità a bordo era tecnicamente nelle mani di Tilly, che deve capire come riuscire a riprendere il controllo della Discovery senza mettere a repentaglio la vita di colleghi e amici. Un aiuto arriverà da Burnham, fuggita dal pianeta dell'episodio precedente grazie a Book e ora costretta a ricorrere a vari stratagemmi per dare manforte alla squadra (tra cui un omaggio visivo a uno dei momenti più iconici del film Trappola di cristallo). Segue un insieme di momenti carichi di tensione, ai quali Jonathan Frakes dà la giusta importanza drammaturgica dietro la macchina da presa, ricordandoci perché i suoi contributi sono sempre ben accetti all'interno del mondo di Star Trek.
Star Trek: Discovery 3x10, recensione: nostalgia problematica
La lunga attesa
Detto ciò, anche qui si nota una certa necessità di allungare il brodo, come se ci fosse un obbligo di arrivare ad almeno tredici episodi (già di suo una diminuzione rispetto alle stagioni precedenti: la prima aveva quindici capitoli e la seconda quattordici). Ed è difficile non tornare al pensiero che abbiamo già espresso parlando di Star Trek: Picard, che è cascato nella medesima trappola: al netto del fatto che sia effettivamente una moda oggi (escludendo gran parte della programmazione di CBS, tra NCIS - Unità anticrimine e le nuove incarnazioni di MacGyver e Magnum P.I.), le trame orizzontali non sono mai veramente state il forte di Star Trek, escludendo sottotrame che periodicamente potevano prestarsi ad approfondimenti occasionali (vedi ad esempio la cultura dei Klingon in Star Trek: The Next Generation o l'umanità di Sette di Nove in Star Trek Voyager). Solo Star Trek - Deep Space Nine riuscì a portare avanti una storyline a lungo termine con successo, e questo dopo aver passato le prime tre annate a porre gradualmente le basi, optando però per episodi per lo più autoconclusivi prima del grande salto. E va ricordato che, in parte proprio per quel motivo, era considerata la "pecora nera" del franchise all'epoca.
Star Trek: Picard 1x10, recensione del finale, distruzione di un mito
In questa sede, forse anche per via del pedigree degli autori (Bryan Fuller all'inizio e poi Alex Kurtzman come supervisore generale di tutte le serie attuali del franchise), era legittimo concedere il beneficio del dubbio, e nelle prime due stagioni, dove comunque era riscontrabile il classico problema da network (anche se lo show è prodotto per una piattaforma streaming) con l'imposizione di un numero minimo di episodi, cosa che in passato aveva segnato le produzioni originali di Netflix, con storie palesemente diluite per arrivare alla cifra richiesta (non per niente negli ultimi anni molti tendono a preferire un massimo di dieci episodi), la struttura orizzontale era meno problematica dell'attaccamento al passato. Con questa stagione, liberata dalle catene della nostalgia, è però emerso in modo abbastanza chiaro che, pur essendoci delle premesse molto forti, manca la volontà di andare fino in fondo con coraggio, optando per soluzioni alquanto banali (e una scena in particolare allude a una sottotrama, questa sì interessante, rimasta invisibile finora, confermando i problemi strutturali dello show). Da quel punto di vista, un lascito del passato sarebbe molto utile: mettere da parte le trame orizzontali. Al finale di stagione l'ardua sentenza.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Star Trek: Discovery 3x12, un penultimo capitolo che intrattiene ma non riesce a celare del tutto i meccanismi usurati dietro la scrittura di questo recente ciclo di episodi.
Perché ci piace
- La regia di Jonathan Frakes è molto efficace, come sempre.
- La premessa non è da buttare.
- I personaggi sono usati bene.
Cosa non va
- Si percepisce comunque una certa mancanza di equilibrio a livello di scrittura.