Accantonati i convenevoli, con la recensione del terzo episodio di Star Trek: Discovery 3 entriamo nel vivo di questa stagione all'insegna dell'ignoto, un concetto espresso nell'episodio stesso: appena promosso a capitano, Saru dichiara all'equipaggio che mai come prima il nome dell'astronave - Discovery, ossia "scoperta" - è stato perfetto per descriverne lo scopo. Scopo che è valido non solo all'interno della serie, ma anche nel contesto più generale del franchise ideato da Gene Roddenberry: al netto di ciò che possono pensare i fan più sfegatati e tradizionalisti, i quali però a loro volta dimostrano di avere la memoria molto corta (le lamentele sulla scelta di Michael Burnham - una donna di colore - come protagonista dello show avevano poco senso dati i precedenti storici delle altre serie), l'universo trekkiano è al suo meglio quando ha la possibilità di muoversi in direzioni inedite anziché impuntarsi sul passato. Era il problema delle prime due stagioni, e lo è stato in parte anche per il recente ritorno sugli schermi di Jean-Luc Picard, ma ora, scaraventando i personaggi in un futuro ignoto, le vie sono letteralmente infinite, nei limiti di un universo dove i viaggi interstellari sono ora estremamente rari.
Terra ignota
Questo episodio di Star Trek: Discovery si chiama People of Earth, ed è sul nostro pianeta che si reca l'equipaggio della Discovery, per individuare l'autore di un segnale che hanno ricevuto. Solo che in assenza della Federazione c'è una piccola unità di difesa che, giustamente, non si fida di chi entra in orbita (causa attività criminali nella zona), e Saru deve fare ricorso a una bugia parziale per non rischiare la vita: la Discovery, dice lui, è stata in missione segreta per secoli (motivo per cui è stata rimossa dagli archivi della Flotta Stellare), e gli attuali occupanti dell'astronave sarebbero i discendenti dell'equipaggio originale. Si crea così un'alleanza fragile, con non pochi dubbi al riguardo (come giustamente fanno notare i nuovi arrivati, è strano che la Discovery sia in ottime condizioni dopo tutti gli anni che sarebbero passati dall'inizio dell'incarico confidenziale), con i nostri eroi che da un lato devono scoprire cos'è successo sul pianeta dove tutti loro sono entrati a far parte della Flotta e dall'altro sventare una minaccia che potrebbe ledere al tenue equilibrio che mantiene incolume l'area cosmica circostante.
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Ritorno a casa?
La regia dell'episodio è stata affidata a Jonathan Frakes, mitico interprete di William Riker e presenza stabile dietro la macchina da presa per praticamente tutte le incarnazioni televisive di Star Trek dal 1990 a oggi (l'unica serie a cui non ha lavorato in tale veste è Star Trek: Enterprise), con l'aggiunta di due dei lungometraggi cinematografici. Una scelta logica, perché un veterano del franchise sa come giocare con gli elementi familiari, in questo caso il ritorno sulla Terra in circostanze del tutto inedite, e Frakes gestisce bene il miscuglio di noto e ignoto, costruendo un'atmosfera a base di intrigo che si sposa perfettamente con la presenza di elementi riconoscibili (in questo caso è molto intrigante il ritorno in scena dei Trill, una razza aliena la cui presenza è quella più giustificabile in questo contesto, anche a livello di funzione narrativa) e l'evoluzione dei personaggi: in tal senso è particolarmente significativa, e toccante in chiave nostalgica (ma senza sottolineare troppo l'appartenenza a una certa formula della saga), la storyline di Saru, la cui importanza è formalmente riconosciuta all'interno della storia con la promozione a capitano, mentre Burnham accetta felicemente di diventare il suo "Number One", designazione che farà sorridere i fan di Star Trek: The Next Generation. Un nuovo status quo altamente simbolico (è la prima volta che un capitano con un ruolo importante nel franchise non ha sembianze umanoidi), indice della volontà di reinventare che nelle prime due annate mancava all'appello. E con questo possiamo considerare conclusa del tutto la fase introduttiva della stagione, in vista dei dieci episodi rimanenti all'insegna di nuovi, strani mondi.
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Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Star Trek: Discovery 3x03, episodio che segna una svolta importante nell'evoluzione dei personaggi e funge da epilogo per quanto visto nei due capitoli precedenti, ponendo le basi finali per il resto della stagione.
Perché ci piace
- La regia di Jonathan Frakes mescola il familiare con l'ignoto in modo coerente.
- Doug Jones regala un'altra performance ineccepibile.
- L'inquadratura finale ha un che di magico.
Cosa non va
- Chi voleva un distanziamento totale dalle serie precedenti potrebbe non apprezzare il colpo di scena conclusivo.